DUE STORIE DISTANTI EPPURE VICINE, PER ANDARE OLTRE IL MALE
Pubblicato il 06/03/2025
Le vicende di Pasquale Guadagno e quella di Edith Bruck ci interrogano su come reagiamo al mistero del male.
Cari amici lettori, mi ha molto colpito un articolo di qualche giorno fa che racconta la vicenda di un ragazzo 28enne, Pasquale Guadagno, figlio di una donna vittima di femminicidio. Il padre di Pasquale, possessivo e violento, uccide la moglie quando il ragazzo ha 14 anni. Una vita divisa «fra il prima e il dopo», ha detto Pasquale. Ho provato a mettermi nei suoi panni: il dolore atroce della perdita violenta della madre, dover “fare i conti” con un padre omicida, convivere con la famiglia di suo padre dove sente sempre parlare male della madre; poi i problemi economici, la depressione, l’alcol, la droga. Ha appena scritto un libro, Figli di nessuno, per il quale ha dovuto leggere gli atti giudiziari del processo, un’esperienza terribile («Ho visto le parole del male scritte»). Davvero una storia «nera come la pece», come scrive l’intervistatrice. Eppure, Pasquale trova una minuscola luce, la forza di «attraversare tempeste inimmaginabili» e rialzarsi. Oggi gestisce un bar, ha un compagno, ha vari sogni per il futuro. Verso il padre oggi non prova «né odio né rabbia. Forse pena, indifferenza».
Sono parole che mi hanno interrogato profondamente: come reagiamo al mistero del male quando ci attraversa e ci ferisce così in profondità? «Voglio sganciarmi», ha detto Pasquale. In altre parole: non voglio rimanere invischiato in un passato di dolore. Una decisione fondamentale, per evitare di essere vittima del male per sempre, poterlo superare rielaborandolo.
Mi è venuto di collegare questa vicenda a un libro recente, Oltre il male, un dialogo tra lo storico Andrea Riccardi, fondatore di Sant’Egidio, ed Edith Bruck, poetessa ebrea sopravvissuta ad Auschwitz, testimone d’eccezione di quell’orrore. Colpisce molto, nel racconto di Bruck, la volontà di non rimanere intrappolata dal male vissuto per l’antisemitismo patito sulla propria pelle e poi per la deportazione ad Auschwitz: «Io non ho mai, mai avuto per un attimo un sentimento di odio... Per me la più grande salvezza… è che non so cosa sia l’odio», afferma. Poi racconta diversi episodi in cui ha trovato un minuscolo barlume di umanità anche nei suoi carnefici. L’inizio della sua «nuova vita», appena liberata dal lager, è segnato dalla decisione di condividere il poco cibo con i «nemici di un tempo», cinque nazifascisti in fuga. «Piccole luci che illuminano il buio», come recita il titolo del secondo capitolo del libro.
Due storie, diverse ma complementari, che ci dicono qualcosa di importante sul superamento del male. Ci dicono che la speranza, anche se esilissima, può farsi strada se sappiamo intravedere anche i minimi spiragli di bene. Può succedere che il male dilaghi nella nostra vita, ma – come afferma Bruck - «credo si possa resistere perché si ha un fondamento morale». In tempi di vittimismo, di rassegnazione, di senso di impotenza di fronte al male nel mondo, è un messaggio importante: c’è sempre un cambiamento possibile, per quanto piccolo, che parte da noi stessi, gli unici su cui abbiamo potere. «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene», dice san Paolo nella Lettera ai Romani (12, 21). «E se tu fai del bene, anche un minimo di bene, qualcosa migliora… Con il tuo bene, tu puoi cambiare un’altra persona», conclude Edith Bruck.
di: don Vincenzo Vitale
da: Credere 7/2025
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