Martedì, 10 dicembre 2024

PREMESSA

CARATTERE DELLA RIFORMA
DEL BREVIARIO AMBROSIANO

 

Il Concilio Ecumenico Vaticano II nella Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla sacra Liturgia, emanata il 4 dicembre 1963. ha indicato in forma solenne i principi ispiratori per la riforma dell'Ufficio Romano, «perché i Sacerdoti e gli altri membri della Chiesa possano meglio e più perfettamente recitare l'Ufficio divino nelle condizioni di vita di oggi» (SC n. 87). Inoltre già da più anni, per disposizione del S. Padre Paolo VI, è stato promulgato il Libro della Liturgia delle Ore secondo il Rito Romano.
Per questi motivi, l'Emm.mo e Rev.mo Cardinale Giovanni Colombo, Arcivescovo di Milano, ha invitato la S. Congregazione del Rito Ambrosiano a predisporre una riforma del Breviario Ambrosiano, che si ispiri ai medesimi principi stabiliti dal Concilio Vaticano, senza tuttavia detrarre alcunché al tesoro spirituale della venerabile tradizione ambrosiana.
Infatti il Concilio dichiara che «la santa Madre Chiesa considera con uguale diritto e onore tutti i riti legittimamente conosciuti e vuole che in avvenire essi siano conservati e in ogni modo incrementati ove sia necessario, vengano prudentemente e integralmente riveduti nello spirito della sana tradizione e venga loro dato un nuovo vigore come richiedono le circostanze e le necessità del nostro tempo» (Ibid., n. 4).
Tra i principi indicati dal Concilio per l'incremento e la riforma della liturgia «alcuni possono e devono essere applicati sia al rito romano sia agli altri riti» (Ibid., n. 3).

Perciò si sono proposti questi criteri ispiratori:

1) Devono essere conservati quegli elementi della tradizione ambrosiana che non contrastano coi documenti del Concilio Vaticano II e con le necessità pastorali del nostro tempo: anzi devono ancor più essere resi manifesti quegli elementi che arrecano nutrimento alla fede e alla pietà, favoriscono la catechesi dei sacramenti, illustrano la storia della salvezza e accrescono sia l'amore della santa Chiesa sia lo zelo apostolico.

2) «I riti splendono per nobile semplicità; siano chiari nella loro brevità ed evitino inutili ripetizioni; siano adattati alla capacità di comprensione dei fedeli e non abbiano bisogno, generalmente, di molte spiegazioni» (SC n. 34).

3) «Scopo dell'Ufficio è la santificazione del giorno: perciò l'ordinamento tradizionale dell'Ufficio sia riveduto in modo che le diverse Ore, per quanto è possibile, corrispondano al loro vero tempo, tenendo presenti però anche le condizioni della vita contemporanea in cui si trovano specialmente coloro che attendono alle opere di apostolato» (SC n. 88).

4) La Liturgia delle Ore, proprio perché è la preghiera pubblica e comune del popolo di Dio, deve inoltre essere riformata in modo tale che siano invogliati a celebrarla nell'assemblea ecclesiastica e anche da soli, non soltanto i membri degli Istituti i perfezione, ma anche i fedeli  (SC n. 98-100).

5) I Vespri come preghiera della sera, e le Lodi come preghiera del mattino, secondo la venerabile tradizione di tutta la Chiesa (e a testimonianza di ciò brilla S. Ambrogio, celebre autore di Inni per le Lodi e per i Vespri), sono il duplice cardine dell'Ufficio Ambrosiano; per questo motivo sono le Ore principali e come tali dovranno essere celebrate (cfr. SC n. 89 a).

6) Quella parte della preghiera mattutina che precede le Lodi propriamente dette, nella recitazione in coro conservi l'indole della preghiera notturna; tuttavia sia «adattata in modo da poter essere recitata in qualsiasi ora del giorno, e abbia un minor numero di salmi e letture più lunghe» (cfr. SC n. 89 c).

7) L'ora di Prima viene soppressa. Nel coro e da parte di coloro cui spettava a norma di diritto, sono conservate le ore di Terza, Sesta e Nona. Agli altri è invece permesso scegliere una delle tre, quella cioè che meglio corrisponde al momento della giornata (cfr. SC n. 89 d-e).

8) Perché realmente sia possibile celebrare la Liturgia delle Ore, aggiornata secondo le norme di cui sopra, il Salterio sarà distribuito non più per decurie e nel periodo di due settimane, «ma per uno spazio di tempo più lungo» (cfr. SC n. 91).
Conservando il criterio proprio del Rito Ambrosiano di scegliere i salmi e i cantici per il Mattutino delle domeniche, delle solennità, dei sabati, delle ferie prenatalizie, del Tempo natalizio, della Settimana santa, nulla impedisce che, per il Mattutino degli altri giorni, i salmi siano scelti come canta la Chiesa Romana; il medesimo criterio sarà osservato nei giorni comuni per le Ore minori e per i Vespri, poiché in queste parti l'uso ambrosiano già si conformava al modello vigente a Roma prima della riforma di Pio X.

9) Riguardo alle letture si seguano le seguenti norme:
a) al Mattutino o Ufficio delle letture, si facciano due letture: la prima biblica e la seconda tratta dalle opere dei Padri o dagli Scrittori ecclesiastici, oppure dalla agiografia (Cfr. più avanti, n. 66).
b) «La lettura della sacra Scrittura sia ordinata in modo da rendere più facilmente accessibili e in maggior ampiezza i tesori della parola divina» (SC n. 92 a).
c) Le letture tratte dalle opere dei Padri, dei Dottori e Scrittori ecclesiastici (SC n. 92 b) siano scelte in modo tale che risulti ampiamente il tesoro della tradizione della Chiesa Milanese, valorizzando anche le opere dei santi Padri che onorarono le Chiese vicine, come quelle di Brescia, Verona, Vercelli, Torino, Aquileia.
d) «Le "Passioni", ossia le vite dei Santi, siano riportate alla verità storica» (SC n. 92 c).

10) Poiché la Sede apostolica (S. Congr. per il Culto Divino, Notificazione 14 giugno 1971, n. 4 c) ha concesso a tutti di recitare l'Ufficio nella lingua parlata, tanto in coro quanto in comune o da soli, i testi del nostro Ufficio Ambrosiano siano rivisti in modo tale da essere adatti sia per la recita in lingua latina sia per quella in lingua italiana.

11) Con il permesso del Romano Pontefice (S. Congr. per i Sacramenti e il Culto Divino, Prot. n. CD 989/76), nel nuovo Ufficio è stata conservata la versione latina ambrosiana dei salmi, perché concorda con l'antifonale; inoltre essa non crea alcuna difficoltà dal momento che nella celebrazione pubblica si usa per lo più la lingua italiana.

 

 

CAPITOLO I

IMPORTANZA
DELLA LITURGIA DELLE ORE
O UFFICIO DIVINO
NELLA VITA DELLA CHIESA

 

1. La preghiera pubblica o comune del popolo di Dio è giustamente ritenuta tra i principali compiti della Chiesa. Per questo sin dall'inizio i battezzati «erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere» (At 2,42). Più volte gli Atti degli Apostoli attestano la preghiera unanime della comunità cristiana (cfr. At 1,14; 4,24; 12,5.12; cfr. Es 5,19-21).
le testimonianze della Chiesa primitiva attestano che anche i singoli fedeli, in ore determinate, attendevano alla preghiera.
In seguito, in varie regioni, si diffuse la consuetudine di destinare tempi particolari alla preghiera comune, come, per esempio, l'ultima ora del giorno, quando si fa sera e si accende la lucerna, oppure la prima ora, quando la notte, al sorgere del sole, volge al termine.
Con l'andare del tempo si cominciò a santificare con la preghiera comune anche altre ore, che i Padre vedevano adombrate negli Atti degli Apostoli. In questo libro, infatti, si parla dei discepoli radunati all'ora di terza (2,1-15).
Il Principe degli apostoli «salì verso mezzogiorno sulla terrazza a pregare» (10,9); «Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera verso le tre del pomeriggio» (3,1); «verso mezzanotte, Paolo e Sila in preghiera cantavano inni a Dio» (16,25).

2. Queste preghiere fatte in comune, a poco a poco, furono ordinate in modo da formare un ciclo ben definito di Ore: la Liturgia delle Ore o Ufficio divino.
Essa, arricchita anche di letture, è principalmente preghiera di lode e di supplica, e precisamente preghiera della Chiesa con Cristo e a Cristo.

 

I   PREGHIERA DI CRISTO

Cristo prega il Padre

3. Venendo per rendere gli uomini partecipi della vita di Dio, il Verbo, che procede dal Padre come splendore della sua gloria, «il Sommo Sacerdote della nuova ed eterna alleanza, Cristo Gesù, prendendo la natura umana, ha introdotto in questa terra d'esilio quell'inno che viene eternamente cantato nelle sedi celesti» (SC n. 83).
Da allora, nel cuore di Cristo, la lode di Dio risuona con parole umane di adorazione, propiziazione ed intercessione. Tutte queste preghiere, il Capo della nuova umanità e Mediatore tra Dio e gli uomini, le presenta al Padre a nome e per il bene di tutti.

4. Lo stesso Figlio di Dio, «che con il Padre suo è una cosa sola» (cfr. Gv 10,30), e che entrando nel mondo disse: «Ecco, o Dio, io vengo a fare la tua volontà» (Eb 10,9; cfr. Sal 39,8-9; Gv 6,38), ha voluto anche lasciarci testimonianza della sua preghiera. Spessissimo, infatti, i vangeli ce lo presentano in preghiera: quando viene rivelata dal Padre la sua missione (Lc 3,21-22), antecedentemente alla chiamata degli apostoli (Lc 6,12), quando rende grazie a Dio nella moltiplicazione dei pani (Mt 14,19; 15,36; Mc 6,41; 8,7; Lc 9,16; Gv 6,11), nella trasfigurazione sul monte (Lc 9,28-29), quando risana il sordomuto (Mc 7,34) e risuscita Lazzaro (Gv 11,41 ss.), prima di provocare la confessione di Pietro (Lc 9,18), quando insegna ai discepoli a pregare (Lc 11,1), quando i discepoli ritornano dall'aver compiuto la loro missione (Mt 11,25 ss.; Lc 10,21 ss.), quando benedice i fanciulli (Mt 19,13) e prega per Pietro (Lc 22,32).
La sua attività quotidiana era strettamente congiunta con la preghiera, anzi quasi derivata da essa. Così quando si ritirava nel deserto o sul monte a pregare (Mc 1,35; 6,46; Lc 5,16; cfr. Mt 4,1 par.; Mt 14,23), alzandosi al mattino presto (Mc 1,35), o quando, dalla sera alla quarta veglia (Mt 14,23.25; Mc 6,46.48), passava la nottata intera in orazione a Dio (Lc 6,12).
Egli, come giustamente si pensa, partecipò anche alle preghiere pubbliche, quali erano quelle che si facevano nelle sinagoghe dove entrò nel giorno di sabato «secondo il suo solito» (Lc 4,16), e nel tempio che chiamò casa di preghiera (Mt 21,13 par.). Non tralasciò quelle private, che si recitavano abitualmente ogni giorno dai pii israeliti.
Pronunziava anche le tradizionali preghiere di benedizione a Dio, proprie delle riunioni conviviali, come è espressamente riferito in relazione con la moltiplicazione dei pani (Mt 14,19 par.; Mt 15,36 par.) e poi nella sua Ultima Cena (Mt 26,26 par.), nel villaggio di Emmaus (Lc 24,30), ugualmente quando con i suoi discepoli recitò l'inno del cenacolo (Mt 26,30 par.).
Fino al termine della sua vita, avvicinandosi già la Passione (Gv 12,27 ss.), nell'ultima Cena (Gv 17,1-26), nell'agonia (Mt 26,36-44 par.) e sulla croce (Lc 23,34.46; Mt 27,46; Mc 15,34), il Maestro divino dimostrò che la preghiera animava il suo ministero messianico e il suo esodo pasquale.
Egli, infatti, «nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà» (Eb 5,7) e, compiuta l'oblazione di sé sull'altare della croce, rese «perfetti per sempre quelli che vengono santificati» (Eb 10,14); infine, risuscitato da morte, vive per sempre e prega per noi (Cfr. Eb 7,25).
A questo proposito, così medita S. Ambrogio: «Il Signore prega, non per implorare per sé, ma per implorare per me; sebbene infatti il Padre abbia dato tutte le cose in potere del Figlio, il Figlio tuttavia, per dare pienezza alla sua condizione di uomo, giudica opportuno supplicare il Padre per noi, perché egli è il nostro avvocato» (In Lucam, V, 42).

 

II   PREGHIERA DELLA CHIESA

Il precetto della preghiera

5. Gesù ha ordinato anche a noi di fare ciò che egli stesso fece. «Pregate», disse spesso, «domandate», «chiedete» (Mt 5,44; 7,7; 26,41; Mc 13,33; 14,38; Lc 6,28; 10,2; 11,9; 22,40.46), «nel mio nome» (Gv 14,13 ss.; 15,16; 16,23 s. 26); insegnò anche la maniera di pregare nell'orazione che si chiama domenicale (Mt 6,9-13; Lc 11,2-4) e dichiarò necessaria la preghiera (Lc 18,1), e precisamente quella umile (Lc 18,9-14), vigilante (Lc 21,36; Mc 13,33), perseverante, fiduciosa nella bontà del Padre(Lc 11,5-13; 18,1-8; Gv 14,13; 16,23), pura nell'intenzione e rispondente alla natura di Dio (Mt 6,5-8; 23,14; Lc 20,47; Gv 4,23).
A loro volta gli apostoli, che qua e là nelle lettere ci tramandano preghiere, specialmente di lode e di rendimento di grazie, ci raccomandano anch'essi la perseveranza e l'assiduità (Rm 8,15.26; 1Cor 12,3; Gal 4,6; Gd 20) della preghiera nello Spirito santo (2Cor 1,20; Col 3,17), rivolta a Dio (Eb 13,15), per mezzo di Cristo (Rm 12,12; 1Cor 7,5; Ef 6,18; Col 4,2; 1Ts 5,17; 1Tm 5,5; 1Pt 4,7).
Ci parlano della sua grande efficacia per la santificazione (1Tm 4,5; Gc 5,15 s.; 1Gv 3,22; 5,14 s.) e non mancano di ricordare la preghiera di lode (Ef 5,19 s.; Eb 13,15; Ap 19,5), di ringraziamento (Col 3,17; Fil 4,6; 1Ts 5,17; 1Tm 2,1), di domanda (Rm 8,26; Fil 4,6), e di intercessione per tutti (Rm 15,30; 1Tm 2,1 s.; Ef 6,18; 1Ts 5,25; Gc 5,14.16).

 

La Chiesa
continua la preghiera di Cristo

6. Poiché l'uomo viene interamente da Dio, deve riconoscere e professare questa sovranità del suo Creatore. È quanto gli uomini di sentimenti religiosi, vissuti in ogni tempo, hanno effettivamente fatto con la preghiera.
La preghiera diretta a Dio però deve essere connessa con Cristo, Signore di tutti gli uomini, unico Mediatore (1Tm 2,5; Eb 8,6; 9,15; 12,24), e il solo per il quale abbiamo accesso a Dio (Rm 5,2; Ef 2,18; 3,12). Cristo, infatti, unisce a sé tutta l'umanità (cfr. Sacrosanctum Concilium 83), in modo tale da stabilire un rapporto intimo fra la sua preghiera e la preghiera di tutto il genere umano.
In Cristo, appunto, ed in lui solo. la religione umana consegue il suo valore salvifico e il suo fine.

7. Tuttavia un vincolo speciale e strettissimo intercorre tra Cristo e quegli uomini che egli per mezzo del sacramento della rigenerazione unisce a sé come membra del suo Corpo, che è la Chiesa. Così effettivamente dal Capo si diffondono all'intero Corpo tutti i beni che sono del Figlio; cioè la comunicazione dello Spirito, la verità, la vita e la partecipazione alla sua filiazione divina, che si manifestava in ogni sua preghiera quando dimorava presso di noi.
Anche il sacerdozio di Cristo è condiviso da tutto il corpo della Chiesa, così che i battezzati mediante la rigenerazione e l'unzione dello Spirito santo vengono consacrati in edificio spirituale e sacerdozio santo (cfr. Lumen gentium, n. 10) e sono abilitati a esercitare il culto del Nuovo Testamento, culto che non deriva dalle nostre forze, ma dal merito e dal dono di Cristo.
«Nessun dono maggiore Dio potrebbe fare agli uomini che costituire loro capo il suo Verbo, per mezzo del quale ha creato tutte le cose, e a lui unirli come membra, così che egli fosse Figlio di Dio e Figlio dell'uomo, un solo Dio con il Padre, un solo uomo con gli uomini, Così, quando pregando parliamo con Dio, non per questo separiamo il Figlio dal Padre, e quando il Corpo del Figlio prega non separa da sé il proprio Capo, ma è lui stesso unico salvatore del suo Corpo, il Signore nostro Gesù Cristo Figlio di Dio, che prega per noi, prega in noi ed è pregato da noi. Prega per noi come nostro sacerdote, prega in noi come nostro capo, è pregato da noi come nostro Dio. Riconosciamo dunque in lui le nostre voci e le sue voci in noi» (Sant'Agostino, Enarrat in psalm, 85,1).
In questo dunque sta la dignità della preghiera cristiana, che essa partecipa dell'amore del Figlio Unigenito per il Padre e di quell'orazione, che egli durante la sua vita terrena ha espresso con le sue parole e che ora, a nome e per la salvezza di tutto il genere umano, continua incessantemente in tutta la Chiesa e in tutti i suoi membri.

 

L'azione dello Spirito santo

8. L'unità della Chiesa orante è opera dello Spirito santo, che è lo stesso in Cristo (Cfr. Lc 10,21 quando Gesù «esultò nello Spirito santo e disse: "Io ti rendo lode, Padre", ecc...»), in tutta la Chiesa e nei singoli battezzati.
Lo stesso «Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza» e «intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili» (Rm 8,26); egli stesso, in quanto Spirito del Figlio, infonde in noi «lo spirito da figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: Abbà, Padre!» (Rm 8,15; cfr. Gal 4,6; 1Cor 12,3; Ef 5,18; Gd 20).
Non vi può essere dunque nessuna preghiera cristiana senza l'azione dello Spirito santo, che, unificando tutta la Chiesa, per mezzo del Figlio la conduce al Padre.

 

Carattere comunitario della preghiera

9. L'esempio e il comando del Signore e degli apostoli di pregare sempre e assiduamente non si devono considerare come una norma puramente giuridica, ma appartengono alla intima essenza della Chiesa medesima, che è comunità e deve quindi manifestare il suo carattere comunitario anche nella preghiera. Per questo negli Atti degli Apostoli, quando per la prima volta si fa parola della comunità dei fedeli, questa appare riunita in preghiera «con alcune donne e con Maria, la Madre di Gesù, e con i fratelli di lui» (At 1,14). «La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola» (At 4,32): questa unanimità si fondava sulla parola di Dio, sulla comunione fraterna, sulla preghiera e sulla Eucaristia (cfr. At 2,42 gr.).
Sebbene la preghiera fatta nella propria stanza e a porte chiuse (cfr. Mt 6,6) sia sempre necessaria e da raccomandarsi (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 12), e venga anch'essa compiuta dai membri della Chiesa per Cristo nello Spirito santo, tuttavia all'orazione della comunità compete una dignità speciale, perché Cristo stesso ha detto: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20).

 

III   LA LITURGIA DELLE ORE

Consacrazione del tempo

10. Cristo ha comandato: «Bisogna pregare sempre senza stancarsi» (Lc 18,1). Perciò la Chiesa, obbedendo fedelmente a questo comando, non cessa mai d'innalzare preghiere e ci esorta con queste parole: «Per mezzo di lui [Gesù] offriamo continuamente un sacrificio di lode a Dio» (Eb 13,15). A questo precetto la Chiesa ottempera non soltanto celebrando l'Eucaristia, ma anche in altri modi, e specialmente con la Liturgia delle Ore, la quale, tra le altre azioni liturgiche, ha come sua caratteristica per antica tradizione cristiana di santificare tutto il corso del giorno e della notte (cfr. Sacrosanctum Concilium nn. 83-84),

11. Poiché, dunque, la santificazione del giorno e di tutta l'attività umana rientra nelle finalità della Liturgia delle Ore, il suo ordinamento è stato rinnovato in modo da far corrispondere, per quanto era possibile, la celebrazione delle Ore al loro vero tempo, sempre tenendo conto, però, delle condizioni della vita odierna (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 88),
Perciò «sia per santificare veramente il giorno sia per recitare con frutto spirituale le stesse Ore, conviene che nella recita delle Ore si osservi il tempo, che corrisponde più da vicino al tempo vero di ciascuna ora canonica»  (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 94; cfr, sotto nn. 37. 49. 78. 85),

 

Rapporto tra Liturgia elle Ore
ed Eucaristia

12. La Liturgia delle Ore estende (Presbyterorum ordinis, n. 5) alle diverse ore del giorno le prerogative del mistero eucaristico, «centro e culmine di tutta la vita della comunità cristiana» (cfr. Christus Dominus, n. 30): la lode e il rendimento di grazie, la memoria dei misteri della salvezza, le suppliche e la pregustazione della gloria celeste.
La celebrazione dell'Eucaristia viene anche preparata ottimamente mediante la Liturgia delle Ore, in quanto per suo mezzo vengono suscitate e accresciute le disposizioni necessarie alla fruttuosa celebrazione dell'Eucaristia, quali sono la fede, la speranza, la carità, la devozione e il desiderio dell'abnegazione di sé (cfr. sotto nn. 94-100).

 

Esercizio dell'ufficio sacerdotale di Cristo
nella Liturgia delle Ore

13. Cristo compie «l'opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio» (Sacrosanctum Concilium n. 5) nello Spirito santo per mezzo della sua Chiesa non soltanto quando si celebra l'Eucaristia e si amministrano i sacramenti, ma anche, a preferenza di altri modi, quando si celebra la Liturgia delle Ore (cfr, ibid., nn. 83 e 98), In essa egli stesso è presente quando si raduna l'assemblea, quando si proclama la parola di Dio, «quando la Chiesa prega e loda» (ibid., n. 7).

 

Santificazione dell'uomo

14. Nella Liturgia delle Ore si compie la santificazione dell'uomo (cfr, ibid., n. 10) e si esercita il culto divino in modo da realizzare in essa quasi quello scambio o dialogo fra Dio e gli uomini nel quale «Dio parola al suo popolo... il popolo a sua volta risponde a Dio con il canto e con la preghiera» (cfr, ibid., n. 33).
Senza dubbio i partecipamenti possono ottenere dalla Liturgia delle Ore una santificazione larghissima per mezzo della parola salvifica di Dio che ha grande importanza in essa. Dalla sacra Scrittura si scelgono, infatti, le letture. Da essa viene la parola divina dei salmi che si cantano davanti a Dio. Di afflato e ispirazione biblica sono permeate le altre preci, orazioni e canti (cfr, ibid., n. 24).
Non solo dunque quando si legge tutto ciò che è «stato scritto per nostra istruzione» (Rm 15,4), ma anche quando la Chiesa prega o canta, si alimenta la fede dei partecipanti, le menti sono sollevate verso Dio per rendergli un ossequio ragionevole e ricevere con più abbondanza la sua grazia (cfr, ibid., n. 33).

 

Lode offerta a Dio
in unione con la Chiesa celeste

15. Nella Liturgia delle Ore la Chiesa, esercitando l'ufficio sacerdotale del suo Capo, offre a Dio «incessantemente» (1Ts 5,17), il sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome (cfr. Eb 13,15). Questa preghiera è «la voce della stessa Sposa che parla allo Sposo, anzi è la preghiera che Cristo, unito al suo Corpo, eleva al Padre» (Sacrosanctum Concilium n. 84).
«Tutti coloro, pertanto, che compiono questa preghiera, adempiono da una parte l'obbligo proprio della Chiesa e dall'altra partecipano al sommo onore della Sposa di Cristo perché, celebrando la lode di Dio, stanno dinanzi al trono di Dio in nome della Madre Chiesa» (Sacrosanctum Concilium n. 85).

16. La Chiesa, dando lode a Dio nelle Ore, si associa a quel carme di lode che viene eternamente cantato nelle sedi celesti (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 83); pregusta, nel medesimo tempo, quella lode celeste descritta da Giovanni nell'Apocalisse, lode che ininterrottamente risuona davanti al trono di Dio e dell'Agnello.
La stretta unione di noi con la Chiesa celeste si realizza quando «in comune esultanza celebriamo la lode della maestà divina, e tutti, di ogni tribù e lingua, di ogni popolo e nazione, riscattati con il sangue di Cristo (cfr. Ap 5, 9) e radunati in un'unica Chiesa, con un unico canto di lode glorifichiamo Dio uno e trino» (Lumen gentium, n. 50; cfr. Sacrosanctum Concilium nn. 8 e 104). I profeti quasi previdero questa liturgia celeste nella vittoria del giorno senza notte, della luce senza tenebre: «Il sole non sarà più la tua luce di giorno, né ti illuminerà più il chiarore della luna. Ma il Signore sarà per te luce eterna» (Is 60,19; cfr. Ap 21,23.25). «Sarà un unico giorno. Il Signore lo conosce. Non ci sarà né giorno né notte. Verso sera risplenderà la luce» (Zc 14,7). Già veramente per noi «è arrivata la fine dei tempi (cfr. 1Cor 10,11), e la rinnovazione del mondo è stata irrevocabilmente fissata e in un certo modo è realmente anticipata in questo mondo» (Lumen gentium, n. 48). Così, per mezzo della fede, noi siamo anche ammaestrati sul significato della nostra vita temporale, per attendere insieme con tutte le creature la rivelazione dei figli di Dio (cfr. Rm 8,19).
Nella Liturgia delle Ore noi proclamiamo questa fede, esprimiamo e alimentiamo questa speranza, partecipiamo in qualche modo al gaudio della lode perenne e del giorno che non conosce tramonto.

 

Supplica e intercessione

17. Ma, oltre alla lode di Dio, la Chiesa nella Liturgia esprime i voti e i desideri di tutti i cristiani, anzi supplica Cristo, e, per mezzo di lui, il Padre per la salvezza di tutto il mondo (Sacrosanctum Concilium n. 83). Questa voce non è soltanto della Chiesa, ma anche di Cristo, poiché le preghiere vengono fatte a nome di Cristo, cioè «per Gesù Cristo... nostro Signore», e così la Chiesa continua a fare quelle preghiere e suppliche che Cristo offrì nei giorni della sua vita terrena (cfr. Eb 5,7), e che perciò godono di una efficacia particolare.
E così, non solo con la carità, con l'esempio e con le opere di penitenza, ma anche con l'orazione la comunità ecclesiale esercita la sua funzione materna di portare le anime a Cristo (cfr. Presbyterorum ordinis, n. 6).
Questo compito spetta particolarmente a coloro che per un mandato speciale sono chiamati a celebrare la Liturgia delle Ore: cioè ai vescovi e ai sacerdoti, che in forza del loro ufficio pregano per il loro popolo e per tutto il popolo di Dio (cfr. Lumen gentium, n. 41), e agli altri ministri sacri, come pure ai religiosi (cfr. sotto n. 24).

 

Culmine e fonte dell'azione pastorale

18. Coloro che partecipano alla Liturgia delle Ore danno incremento al popolo di Dio (cfr. Perfectae caritatis, n. 7) in virtù di una misteriosa fecondità apostolica; il lavoro apostolico, infatti, è ordinato «a che tutti, diventati figli di Dio, mediante la fede e il battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio nella Chiesa, partecipino al sacrificio e mangino la cena del Signore» (Sacrosanctum Concilium 10).
Vivendo in tal modo i fedeli esprimono e manifestano agli altri «il mistero di Cristo e la genuina natura della Chiesa, che ha la caratteristica di essere... visibile, ma dotata di realtà invisibili, ardente nell'azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e tuttavia pellegrina» (Sacrosanctum Concilium n. 2).
A loro volta, le letture e le preghiere della Liturgia delle Ore costituiscono una genuina fonte di vita cristiana. Tale vita si nutre alla mensa della sacra Scrittura e con le parole dei Santi, ma è rinvigorita dalla preghiera. Solo il Signore, infatti, senza il quale non possiamo far nulla (cfr. Gv 15,5), da noi pregato, può dare efficacia e sviluppo alle nostre opere (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 86), così che ogni giorno veniamo edificati per diventare tempio di Dio, per mezzo dello Spirito (cfr. Ef 2,21-22), fino alla misura che conviene alla piena maturità di Cristo (cfr. Ef 4,13), e nello stesso tempo irrobustiamo le nostre forze per evangelizzare il Cristo a coloro che sono fuori (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 2).

 

La mente concordi con la voce

19. Perché questa preghiera sia propria di ciascuno di coloro che vi prendono parte e sia parimenti fonte di pietà e di molteplice grazia divina, e nutrimento dell'orazione personale e dell'azione apostolica, è necessario che la mente stessa si trovi in accordo con la voce (Sacrosanctum Concilium n. 90; San Benedetto, Regula, c. 19) mediante una celebrazione degna, attenta e fervorosa.
Tutti cooperino diligentemente con la grazia divina per non riceverla invano. Cercando Cristo, e penetrando sempre più intimamente con l'orazione nel suo mistero (cfr. Presbyterorum ordinis, n. 14; Optatam totius, n. 8), lodino Dio e innalzino suppliche con quel medesimo animo con il quale pregava lo stesso divino Redentore (cfr. sotto nr. 23).

 

IV   COLORO CHE CELEBRANO
LA LITURGIA DELLE ORE

a) Celebrazione in comune

20. La Liturgia delle Ore, come tutte le altre azioni liturgiche, non è un'azione privata, ma appartiene a tutto il Corpo della Chiesa, lo manifesta e influisce in esso (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 26).
La sua celebrazione ecclesiale è posta nella sua più piena luce – e per questo è sommamente consigliata – quando la Chiesa Milanese la compie con il proprio Arcivescovo, circondato dai presbiteri e dai ministri (Sacrosanctum Concilium n. 41); in essa – come in tutte le altre Chiese particolari – «è veramente presente e opera la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica, apostolica» (Christus Dominus, n. 11).
Questa celebrazione, anche quando, in assenza dell'Arcivescovo, è fatta dal Capitolo dei canonici della chiesa metropolitana o da altri sacerdoti, si svolga sempre rispettando la corrispondenza delle Ore al loro vero tempo e, per quanto è possibile, con la partecipazione del popolo. La medesima cosa si dica dei Capitoli collegiali.

21. Dovunque legittimamente è in vigore il Rito Ambrosiano, la Liturgia delle Ore sia da tutti celebrata secondo l'ordine descritto dalla presente Istituzione e secondo il testo promulgato dall'Arcivescovo di Milano e confermato dalla Sede Apostolica.

22. Le altre assemblee dei fedeli curino anch'esse, e possibilmente in chiesa, la celebrazione comunitaria delle Ore principali. Fra queste assemblee hanno un posto preminente le parrocchie, vere cellule della diocesi, organizzate localmente sotto la guida di un pastore che fa le veci del Vescovo. Esse «rappresentano in certo modo la Chiesa visibile stabilita su tutta la terra» (Sacrosanctum Concilium n. 42; cfr. Apostolicam actuositatem, n. 10).

23. Se dunque i fedeli vengono convocati per la Liturgia delle Ore e si radunano insieme, unendo i loro cuori e le loro voci, manifestano la Chiesa che celebra il mistero di Cristo (cfr. Sacrosanctum Concilium nn. 26 e 84). «E vi è questa armonia quando nella Chiesa in una fusione unanime delle età e delle virtù più diverse, come di differenti corde musicali, risuona il salmo, si risponde e si dice Amen» (Sant'Ambrogio, In Lucam, VII, 238).

24. È compito di coloro che sono insigniti dell'ordine sacro o che hanno ricevuto una particolare missione canonica (cfr. Ad gentes, n. 17) indire e dirigere la preghiera nella comunità: «pongano ogni loro impegno perché tutti quelli che sono affidati alle loro cure siano concordi nella preghiera» (cfr. Christus Dominus, n. 15).
Curino pertanto che i fedeli siano invitati e siano istruiti con opportuna catechesi a celebrare in comune, specialmente nei giorni di domenica e di festa, le parti principali della Liturgia delle Ore (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 100). Insegnino loro ad attingere da questa partecipazione un autentico spirito di preghiera (cfr. Presbyterorum ordinis, n. 5), e perciò con una idonea formazione li guidino a comprendere i salmi in senso cristiano, in modo da condurli a poco a poco a gustare e a praticare sempre più la preghiera della Chiesa (cfr. sotto nn. 100-109; circa i vari uffici da compiere nella Liturgia delle Ore, cfr. sotto nn- 249-262).

25. Le comunità dei canonici, dei monaci, delle monache e degli altri religiosi che, in forza della loro Regola o delle loro Costituzioni, celebrano, con il rito comune o con un rito particolare, integralmente o parzialmente, la Liturgia delle Ore, rappresentano in modo speciale la Chiesa orante: esse esprimono, infatti, più pienamente il modello della Chiesa che senza interruzione e con voce concorde loda Dio, e assolvono il compito di «collaborare» innanzitutto con la preghiera, «all'edificazione e all'incremento di tutto il Corpo mistico di Cristo e al bene delle Chiese particolari» (Christus Dominus, n. 33; cfr. Perfectae caritatis, nn. 6. 7. 15; cfr. Ad gentes, n. 15).
Questo va detto soprattutto per coloro che fanno vita contemplativa.

26. I sacri ministri e tutti i chierici, che non sono per altro titolo obbligati alla celebrazione comune, se convivono o si riuniscono insieme, procurino di celebrare in comune almeno qualche parte della Liturgia delle Ore, specialmente le Lodi al mattino e alla sera i Vespri (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 99).

27. Anche ai religiosi dei due sessi che non sono obbligati alla celebrazione comune, e ai membri di qualsiasi istituto di perfezione si raccomanda vivamente di riunirsi fra loro o con il popolo, per celebrare la Liturgia delle Ore, tutta o in parte, secondo il rito della santa Chiesa Milanese, della quale sono figli onorati e carissimi.

28. Anche i laici riuniti in convegno, sono invitati ad assolvere la missione della Chiesa (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 100), celebrando qualche parte della Liturgia delle Ore, qualunque sia il motivo per cui si radunano o quello della preghiera o dell'apostolato o altro.
È necessario, infatti, che imparino ad adorare Dio Padre in spirito e verità (cfr. Gv 4,23) anzitutto nell'azione liturgica, e si ricordino che mediante il culto pubblico e la preghiera raggiungono tutti gli uomini e possono contribuire non poco alla salvezza di tutto il mondo (cfr. Gravissimus educationis, n. 2; Apostolicam actuositatem, n. 16).
È cosa lodevole, infine, che la famiglia, santuario domestico della Chiesa, oltre alle comuni preghiere celebri anche, secondo l'opportunità, qualche parte della Liturgia delle Ore, inserendosi così più intimamente nella Chiesa (cfr. Apostolicam actuositatem, n. 11).

b) Il mandato di celebrare
    la Liturgia delle Ore

29. La Liturgia delle Ore è affidata in modo particolare ai ministri sacri. Per questo incombe loro l'obbligo personale di celebrarla, anche se assente il popolo, sua pure con i necessari adattamenti.
La Chiesa, infatti, li deputa alla Liturgia delle Ore perché il compito di tutta la comunità sia adempiuto in modo sicuro e costante almeno per mezzo loro e la preghiera di Cristo continui incessantemente nella Chiesa (cfr. Presbyterorum ordinis, n. 13).
Il Vescovo rappresenta Cristo in forma eminente e visibile. È il grande sacerdote del suo gregge. Da lui deriva e dipende, in certo modo, la vita dei suoi fedeli in Cristo (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 41: Lumen gentium, n. 21).
Fra i membri della sua Chiesa, il Vescovo deve essere il primo nella preghiera. Quando poi egli celebra la Liturgia delle Ore, lo fa sempre a nome e beneficio della Chiesa, che gli è affidata (cfr. Lumen gentium, n. 26; Christus Dominus, n. 15).
I sacerdoti, uniti al Vescovo e a tutto il presbiterio, rappresentano anch'essi in grado speciale la persona di Cristo sacerdote (cfr. Presbyterorum ordinis, n. 13), partecipano al medesimo compito, pregando Dio per tutto il popolo loro affidato, anzi per tutto il mondo (cfr. Presbyterorum ordinis, n. 5). Tutti costoro compiono il ministero del buon Pastore che prega per i suoi perché abbiano la vita e perciò siano perfetti nell'unità (cfr. Gv 10,11; 17,20.23).
Nella Liturgia delle Ore, proposta loro dalla Chiesa, non solo trovino la fonte della pietà e il nutrimento dell'orazione personale (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 90), ma anche quell'abbondanza di contemplazione da cui attingere alimento e stimolo per l'azione pastorale e missionaria a conforto di tutta la Chiesa di Dio (cfr. Lumen gentium, n. 41).

30. I vescovi, dunque, i sacerdoti e gli altri ministri sacri, che hanno ricevuto dalla Chiesa il mandato (cfr. n. 17) di celebrare la Liturgia delle Ore, osservando, per quanto è possibile, il loro vero tempo. Diano prima di tutto la dovuta importanza alle Ore che sono come il cardine della Liturgia oraria, cioè alle Lodi mattutine e ai Vespri. Non tralascino mai queste Ore se non per un motivo grave. Celebrino anche fedelmente l'Ufficio delle letture, che è in gran parte celebrazione liturgica della parola di Dio; e in tal modo adempiranno ogni giorno il loro compito particolare di accogliere in sé la parola di Dio, per diventare discepoli più perfetti del Signore e gustare più profondamente le insondabili ricchezze di Cristo (cfr. Dei Verbum, n. 25; Presbyterorum ordinis, n. 13).
Per santificare meglio l'intero giorno, abbiano inoltre a cuore la recita dell'Ora durante la giornata e di Compieta, con la quale, prima del riposo notturno, portano a compimento l'«Opus Dei» e si raccomandano a Dio.

31. È sommamente conveniente che i diaconi permanenti recitino ogni giorno almeno qualche parte della Liturgia delle Ore, da determinarsi dalla Conferenza Episcopale Italiana (Sacrum Diaconatus ordinem, n. 27).

32. a) I Capitoli cattedrali e collegiali devono celebrare in coro quelle parti della Liturgia delle Ore che sono loro prescritte dal diritto comune o particolare.
I singoli membri di questi Capitoli, oltre alle Ore che tutti i ministri sacri sono tenuti a recitare, devono recitare da soli quelle ore che si celebrano nel loro Capitolo (cfr. Inter Ecumenici, n. 78 b).
b) Le comunità religiose obbligate alla Liturgia delle Ore e i loro singoli membri, celebrino le Ore a norma del loro diritto particolare, salvo quanto è prescritto al n. 30 per coloro che hanno ricevuto l'ordine sacro.

33. Si raccomanda a tutte le altre comunità religiose e ai singoli membri di celebrare, secondo le circostanze in cui si trovano, alcune parti della Liturgia delle Ore: essa è preghiera della Chiesa e fa di tutti, dovunque dispersi, un cuore solo e un'anima sola (cfr. At 4,32).
La stessa esortazione è rivolta anche ai laici (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 10).

c) Struttura della celebrazione

34. La Liturgia delle Ore Ambrosiana è regolata dalla propria tradizione e dalle proprie leggi. Riunisce insieme, in forma particolare, elementi che si trovano anche in altre celebrazioni.
Sia nella celebrazione in comune sia nella recita individuale, rimane la struttura essenziale di questa Liturgia: colloquio tra Dio e l'uomo. Tuttavia, la celebrazione in comune manifesta più chiaramente la natura ecclesiale della Liturgia delle Ore e favorisce la partecipazione attiva di tutti, secondo la condizione di ciascuno. Lo fa mediante le acclamazioni, il dialogo, la salmodia alternata e altri elementi congeneri. Tiene poi meglio conto delle diverse forme espressive (cfr. ibid. nn. 26. 28-30).
Perciò, tutte le volte che si rende possibile, la celebrazione comune con la frequenza e la partecipazione attiva dei fedeli è da preferirsi alla celebrazione individuale e quasi privata (cfr, ibid, n. 27).
È bene inoltre che l'Ufficio in coro e in comune, sia cantato, secondo l'opportunità, sempre rispettando la natura e la funzione delle singole parti.
Così si realizzerà la raccomandazione dell'Apostolo: «La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali» (Col 3,16; cfr. Ef 5,19-20) (circa il carattere comunitario della preghiera, cfr. sopra n. 9; circa le celebrazioni in comune, cfr. sopra nn. 20-28; circa i vari uffici da compiere, cfr. sotto nn. 249-262).

 

 

CAPITOLO II

LA SANTIFICAZIONE DEL GIORNO
OSSIA LE VARIE ORE LITURGICHE

I   VESPRI E LODI MATTUTINE IN GENERE

35. I Vespri, come preghiera della sera, e le Lodi, come preghiera del mattino, sono il duplice cardine dell'Ufficio quotidiano; perciò devono essere ritenute le Ore principali e come tali devono essere celebrate. «Quale uomo dotato di sensibilità – dice S. Ambrogio – non arrossirebbe di concludere la sua giornata senza la recita dei salmi, dal momento che anche gli uccelli piccolissimi accompagnano il sorgere del giorno e della notte con un atto di pietà abituale e con un dolce canto?» (Hexaemeron 5,12, n. 36; cfr. anche In psalm. 36, n. 65; In psalm. 118, serm. 8, n. 48; serm. 19, nn. 30. 32).

36. Si devono quindi tenere in grandissima considerazione i Vespri e le Lodi mattutine come preghiera della comunità cristiana: la loro celebrazione pubblica o comune sia incoraggiata specialmente presso coloro che fanno vita in comune. Anzi, la loro recita sia raccomandata anche ai singoli fedeli che non possono partecipare alla celebrazione comune.

 

II. VESPRI

37. I Vespri si celebrano quando «si fa sera e il giorno ormai declina» (Lc 24,29), «per rendere grazie di ciò che nel medesimo giorno ci è stato donato o con rettitudine abbiamo compiuto» (San Basilio M. , Regulae fusius tractatae, Resp. 37,3). Con l'orazione che innalziamo, «come incenso davanti al Signore», e nella quale «l'elevarsi delle nostre mani» diventa «sacrificio della sera» (cfr. Sal 140,2) ricordiamo anche la nostra redenzione.
E questo «si può intendere, con un significato più spirituale, dell'autentico sacrificio vespertino: sia di quello che il Signore e Salvatore affidò, nell'ora serale, agli apostoli durante la Cena, quando inaugurò i santi misteri della Chiesa, sia di quello stesso del giorno dopo, quando con l'elevazione delle sue mani in croce, offrì al Padre per la salvezza del mondo intero se stesso, quale sacrificio della sera, cioè come sacrificio della fine dei secoli» (Cassiano, De institutione coenob., lib. 3, c. 3).

a) Lucernario (Rito della luce)

38. Grande importanza sia spirituale che pastorale ha il Lucernario, con il quale iniziano i Vespri. In questa Ora, infatti, per orientare la nostra speranza alla luce che non conosce tramonto, «noi preghiamo e chiediamo che di nuovo venga sopra di noi la luce, e invochiamo la venuta di Cristo, che ci porterà l grazia della luce eterna» (San Cipriano, De oratione dominica, 35).
Inoltre con questo rito siamo in armonia con le Chiese orientali, che cantano: «O luce gioiosa della santa gloria dell'eterno Padre celeste, Gesù Cristo; giunti al tramonto del sole, vedendo il lume della sera, celebriamo il Padre e il Figlio e lo Spirito santo di Dio...».

39. Al Lucernario, nella celebrazione pubblica o comune presieduta dal sacerdote o dal diacono, il celebrante si rivolge al popolo con il saluto: Il Signore sia con voi; tutti rispondono: E con il tuo spirito.
Nella celebrazione privata o quando è assente il sacerdote o il diacono, il Lucernario comincia nel modo seguente: Signore, ascolta la nostra preghiera. R. E il nostro grido giunga fino a te. Poi si dice, anche nella recita privata, a modo di responsorio il Lucernario indicato secondo la qualità del giorno o del Tempo o della festività (cfr. nn. 251. 252).
Nella celebrazione pubblica è bene che esso sia accompagnato dal rito della luce e dell'incenso, come viene descritto al n. 256.
All'inizio della Veglia pasquale, il Lucernario è celebrato con maggiore solennità, così come è descritto nel Messale.

b) Inno e Salmodia

40. Quindi si dice subito l'Inno adatto. L'Inno è disposto in modo da conferire all'Ora o alla festa il proprio carattere e permettere, specialmente nella celebrazione con il popolo, un inizio più facile e più festoso (circa gli inni, cfr. sotto nn. 174-178). Nelle ferie comuni si può sempre scegliere l'Inno di S. Ambrogio Deus, Creator omnium (Il beato Agostino ricorda con ammirazione quest'inno nelle sue Confessiones (9, 12, 32).

41. Nelle Domeniche di Quaresima e del Tempo pasquale, nelle Ottave di Natale e di Pasqua, nelle ferie prenatalizie, nella Settimana santa e in alcune solennità e feste, subito dopo l'Inno si dice il Responsorio un tempo chiamato «in choro». Esso esprime il senso della celebrazione.

42. Dopo l'Inno, o, quando vi è, dopo il Responsorio, nei primi Vespri delle celebrazioni dei Santi, si dà notizia della loro vita. (cfr. sotto nn. 226. 231. 234).

43. Segue la Salmodia, la quale, a meno che a suo luogo non sia stabilito diversamente, è così strutturata:
a) nelle domeniche, nelle ferie e nelle memorie la Salmodia consta di due salmi o di due parti di un salmo più lungo, con le loro antifone, secondo le norme indicate nei nn. 122-126;
b) nelle solennità e nelle feste la Salmodia consta di un solo salmo a cui si aggiungono i due salmi 133 e 116 con un'unica antifona e con l'unica dossologia finale Gloria al Padre.
Terminata l Salmodia si recita la prima Orazione che, per le ferie ordinarie, si trova nel Salterio. Nell'Ufficio dei Santi, se manca quella propria, si trova nel Comune, quando la celebrazione è solennità o festa; nel Salterio quando è memoria (circa il modo di salmodiare, cfr. sotto nn. 122-126).

44. Poi, tranne che nei venerdì di Quaresima e nelle ferie della Settimana santa, si esegue solennemente, con la propria antifona, il Cantico evangelico della beata Vergine Maria Magnificat (cfr. n. 142). Questo Cantico, convalidato dalla tradizione secolare e popolare della Chiesa, esprime la lode e il rendimento di grazie per la redenzione e lo spirito di beatitudine evangelica. Dopo il Gloria e prima dell'antifona si ripete sempre il primo versetto del Cantico.
L'antifona è proposta secondo l'indole del giorno, del Tempo, o della festività.
Ripetuta l'antifona, si dice tre volte Kyrie eleison: poi la seconda Orazione, che per le ferie ordinarie si trova nel Salterio e per gli altri giorni nel Proprio; o, se l'Ufficio è di un Santo che non ha orazione propria, si trova nel Comune.

c) Commemorazione del Battesimo
    e Lode dei Santi

45. Dopo il Cantico evangelico e l'Orazione, si fa, tranne che nella Settimana santa, la Commemorazione del Battesimo. Invece nelle solennità e nelle feste dei Santi, al posto della Commemorazione del Battesimo, si celebra la «Lode dei Santi».

A   Commemorazione del Battesimo

Nelle domeniche, nelle feste e solennità del Signore, la Commemorazione del Battesimo si compie recitando un cantico del Nuovo Testamento con la sua antifona e orazione, come si trova nel Salterio o nel Proprio (cfr. n. 141).
Negli altri giorni, tranne che nelle solennità e feste dei Santi, la Commemorazione del Battesimo si compie recitando un Responsorio con la sua orazione, come indicato nel Salterio (cfr. n. 172).

B   Lode dei Santi

Nelle solennità e nelle feste dei Santi, si celebra la loro Lode, recitando la Sallenda che, secondo la nostra tradizione, viene ripetuta due volte con interposta la dossologia alla Trinità. Si conclude con l'orazione. Tutto come è indicato nel Proprio o nel Comune.

C   Processione al Battistero o al «ricordo» dei Santi

Nella solenne celebrazione pubblica si raccomanda la Processione al Fonte battesimale. Mentre ci si reca al battistero si può cantare un canto adatto; giunti al battistero si fa la memoria del Battesimo di cui sopra; dopo l'Orazione si torna all'altare.
Durante la celebrazione pubblica delle solennità e feste dei Santi è opportuno fare la processione al luogo dove c'è un ricordo del Santo di cui si fa memoria. Mentre si fa la processione si canta la Sallenda alla quale, nel luogo del ricordo, segue l'Orazione. Mentre si ritorna vengono cantate le Litanie dei Santi.

d) Intercessioni e Conclusione

46. Dopo la Commemorazione del Battesimo, si dicono le Intercessioni, di cui ai nn. 185-194 (cfr. n. 253).
Terminate le Intercessioni, si dice o si canta da tutti il Padre nostro (cfr. nn. 195-197).

47. Quindi, se presiede un sacerdote o un diacono, questi congeda il popolo con il saluto: Il Signore sia con voi, e la benedizione, come nella Messa, seguita dall'invito: Andiamo in pace, Nel nome di Cristo.
Altrimenti la celebrazione si conclude con: Il Signore ci benedica e ci custodisca, Amen, oppure con: La santa Trinità ci salvi e ci benedica, Amen.

48. Nei primi Vespri del Natale, dell'Epifania e della Pentecoste, nella celebrazione corale, dopo l'Inno e il Responsorio, si leggono quattro letture con i loro salmelli e le orazioni. È lodevole fare questo anche nella recita fuori dalla celebrazione corale. Quindi si canta la Messa di Vigilia fino alla Comunione inclusa, dopo la quale, omessi i salmi e le orazioni, si dice il Magnificat con la sua antifona. Dopo il Magnificat, omessa la Commemorazione battesimale, si dice l'Orazione dopo la Comunione e la conclusione come nel Messale.
Parimenti nei venerdì di Quaresima, dopo l'Inno e prima della Salmodia, nella celebrazione corale, si leggono due letture con i loro salmelli e le orazioni. È lodevole fare questo anche fuori della celebrazione corale.
Nel Giovedì santo, dopo l'Inno e il Responsorio e prima della Salmodia, si celebra la Messa come è indicato a suo luogo nel Messale.
Se in qualche luogo, secondo l'opportunità o in occasione della celebrazione della Parola di Dio, si desidera inserire nei Vespri una o più letture tratte dalla sacra Scrittura, si procede come nei venerdì di Quaresima, secondo quanto si è stabilito sopra.

 

III. LODI MATTUTINE

49. Le Lodi mattutine sono destinate e ordinate a santificare il tempo mattutino, come appare da molti dei loro elementi, poiché la Chiesa ci esorta vivamente  incominciare sempre il giorno con la lode. «Poiché dunque la così grande grazia della Chiesa e così grandi premi di devozione ci invitano, preveniamo il sorgere del sole, corriamo al suo nascere, prima che lui dica: Ecco, sono qui. Il Sole di giustizia vuole essere prevenuto e per essere prevenuto, aspetta... Di buon mattino affrettati e porta alla Chiesa le primizie di una preghiera devota; e poi, se ti chiamano gli impegni del mondo, andrai sicuro alle tue faccende» (Sant'Ambrogio, In psalm. 118, 19, 30. 32).

50. Quest'ora, che si celebra allo spuntar della nuova luce del giorno, ricorda la risurrezione del Signore Gesù, «luce vera che illumina ogni uomo» (Gv 1, 9) e «sole di giustizia» (Mt 4, 2), «che sorge dall'alto» (Lc 1, 78). Perciò ben si comprende la raccomandazione di san Cipriano: «Bisogna pregare al mattino, per celebrare con la preghiera mattutina la risurrezione del Signore» (De oratione dominica, 35).

51. Le Lodi mattutine incominciano con il versetto di introduzione: O Dio, vieni a salvarmi, Signore, vieni presto in mio aiuto, Gloria al Padre con il: Come era nel principio e l'Alleluia (nel Tempo di Quaresima, al posto dell'Alleluia si dice: Lode a te, Signore, re di eterna gloria).

52. Quindi, eccetto che nella Settimana santa, si esegue solennemente con la sua antifona il Cantico evangelico di Zaccaria Benedictus. Questo cantico, secondo la tradizione universale, al mattino celebra Cristo che viene per illuminare «quelli che stanno nelle tenebre e nell'ombra della morte» e procurare «la redenzione del suo popolo».
L'antifona viene proposta secondo l'indole del giorno, del tempo e della festa. Ripetuta l'antifona, si dice tre volte Kyrie eleison (cfr. n. 142). Viene poi recitata, dopo l'invito a una pausa di preghiera silenziosa, la prima Orazione che, per le ferie ordinarie, si trova nel Salterio, per gli altri giorni nel Proprio o nel Comune (Sulla pausa di silenzio da premettere alla prima Orazione delle Lodi, cfr. sotto n. 199).
Nelle domeniche del Tempo Pasquale, di Avvento e di Natale, nelle Ottave di Natale e di Pasqua e in alcune solennità e feste, dopo la prima Orazione, si propone l'Antifona chiamata «ad Crucem», con la quale si onora la Croce simbolo glorioso della Pasqua di Cristo e ci si introduce solennemente alla Salmodia delle Lodi. Tale carattere solenne è reso più evidente quando si celebra anche il rito corrispondente, come viene descritto al n. 256. All'antifona segue un'orazione propria ad essa collegata.

53. Segue la Salmodia. Dapprima si recita, con la sua antifona, un cantico desunto dall'Antico Testamento; quindi i Salmi di Lode con la loro antifona (circa il modo di salmodiare, cfr. sotto nn. 122-126). Da ultimo un salmo mattutino chiamato «Salmo diretto», che, secondo l'uso, viene recitato in piedi, da tutti e non a cori alterni. Il Cantico veterotestamentario e i Salmi laudativi per le solennità e le feste si trovano nell'Ordinario, per le domeniche, le ferie e le memorie, nel Salterio; per gli altri giorni nel Proprio o nel Comune. Terminata la Salmodia si dice la seconda Orazione che, nelle ferie ordinarie e nelle memorie si trova nel Salterio, per gli altri giorni nel Proprio o nel Comune.

54. Quindi si dice l'Inno adatto. L'Inno viene scelto secondo la qualità dell'Ufficio del Tempo o della festa. Nei giorni del Tempo ordinario si può sempre scegliere l'Inno di S. Ambrogio Splendor paternæ gloriæ (è l'inno al quale con molta probabilità allude sant'Ambrogio nel Sermo contra Auxentium de basilicis traendis, n. 34. Circa gli inni, cfr. sotto n. 174-178).

55. Quindi si recitano le Acclamazioni a Cristo Signore, poiché, come dice S. Ambrogio, «se avrai preceduto questo sole prima del suo sorgere, vedrai Cristo fonte di Luce: Lui stesso per primo brilla nel profondo del tuo cuore» (Sant'Ambrogio, In psalm. 118, 19, 30).
Le Acclamazioni sono concluse dal Padre Nostro, da tutti cantato o recitato (circa la «Preghiera del Signore», cfr. sotto nn. 195-197) (cfr. nn. 252. 253).

56. Da ultimo, se presiede un sacerdote o un diacono, questi congeda il popolo con il saluto: Il Signore sia con voi e con la benedizione, come nella Messa, seguita dall'invito: Andiamo in pace, Nel nome di Cristo.
Altrimenti la celebrazione si conclude con: Il Signore ci benedica e ci esaudisca, Amen, oppure con: La santa Trinità ci salvi e ci benedica, Amen.

 

IV. L'UFFICIO DELLE LETTURE

57. L'Ufficio delle letture ha lo scopo di proporre al popolo di Dio, e specialmente a quelli che sono consacrati al Signore in modo particolare, una meditazione più sostanziosa della sacra Scrittura e le migliori pagine degli autori spirituali. Sebbene, infatti, la Messa quotidiana offra un ciclo di letture della sacra Scrittura più abbondante, quel tesoro della rivelazione e della tradizione contenuto nell'Ufficio delle letture sarà di grande profitto per lo spirito. «Questa infatti è la Scrittura divina, che ha in sé significati profondi e l'altezza degli enigmi profetici; è un mare nel quale si sono riversati numerosissimi fiumi» (Sant'Ambrogio, Ep. 2, 3), cioè, sono testi scritti da diversi autori di diverso genere. Perciò l'esplorare questo mare è cosa senza fine piacevolissima; anzi la Scrittura è un paradiso in terra, dove è possibile trovare il Signore: «Dio passeggia nel paradiso, mentre sto leggendo la divina Scrittura» (Id., Ep. 49, 3. Circa la lettura della S. Scrittura, cfr. sotto nn. 143-161).

58. Quanto si legge della sacra Scrittura deve essere accompagnato dalla preghiera, perché in tal modo si stabilisce un vero colloquio fra Dio e l'uomo. Infatti quando preghiamo parliamo a lui e quando leggiamo i divini oracoli ascoltiamo lui (Dei Verbum, n. 25, che cita Sant'Ambrogio, De officiis, I, 20, 88); per questo motivo l'Ufficio delle letture consta anche dell'Inno, del Cantico di Daniele o, quando vi è, del Responsorio, di Salmi o Cantici, dell'Orazione e di altre formule, in modo da avere un carattere di preghiera.

59. L'Ufficio delle letture, a norma della Costituzione Sacrosanctum Concilium, «pur conservando nel coro il carattere di preghiera notturna, deve essere adattato in modo che possa essere recitato in qualsiasi ora del giorno, e abbia un minor numero di salmi e letture più lunghe» (Sacrosanctum Concilium n. 89 c).

60. Coloro pertanto che in forza del loro diritto particolare devono conservare a questo Ufficio il carattere di Lode notturna, come pure coloro che lodevolmente lo desiderano, sia che lo recitino di notte, sia che lo recitino di buon mattino e prima delle Lodi mattutine, scelgano l'Inno da quella serie destinata a questo scopo.
Inoltre, per alcuni giorni, si dovrà tener presente quanto è detto per le celebrazioni vigiliari ai nn. 71-74.

61. Ferma restando la disposizione precedente, l'Ufficio delle letture si può recitare in qualsiasi ora del giorno, sempre tuttavia nel tempo che decorre dai primi Vespri (o comunque da quelli del giorno precedente) ai secondi Vespri (o comunque a quelli del giorno seguente).

62. L'Ufficio delle letture incomincia con il versetto d'introduzione: O Dio, vieni a salvarmi, Signore, vieni presto in mio aiuto, Gloria al Padre con il: Come era nel principio e l'Alleluia (nel Tempo di Quaresima invece dell'Alleluia si dice: Lode a te, Signore, re di eterna gloria).

63. Quindi si dice l'Inno. Questo, se non è proprio, si sceglie o dalla serie notturna, come è indicato sopra al n. 60, o dalla serie diurna, come richiede la corrispondenza del tempo.

64. Dopo l'Inno si dice il Cantico dei tre giovani dal Libro di Daniele (Dn 3,52-56), che è adatto ad elevare i cuori al Dio altissimo, principio della salvezza e fonte della verità eterna.
Nelle domeniche dei Tempi forti, nelle ferie prenatalizie, nella Settimana santa, nelle Ottave di Natale e di Pasqua e in alcune solennità e feste, al posto del Cantico si dice il Responsorio dopo l'Inno, per esprimere più chiaramente e con maggiore efficacia il senso della celebrazione.

65. Segue la Salmodia. Questa, per le solennità e le feste, per le ferie prenatalizie, i giorni dell'ottava di Natale e della Settimana santa, è indicata nel Proprio o nel Comune (circa il modo di salmodiare, cfr. sotto nn. 122-126). Per gli altri giorni, la Salmodia si prende dal Salterio corrente.
Nelle domeniche la Salmodia consta di tre cantici con le loro antifone; nei sabati è composta di un cantico e due salmi (o parti di salmi, se il salmo da recitare è più lungo), anch'essi con antifone proprie. Negli altri giorni, la Salmodia consta di tre salmi (o parti) con le loro proprie antifone. Dopo aver ripetuta l'antifona, al termine dell'ultimo cantico o salmo, si dice tre volte: Kyrie eleison e si aggiunge: Tu sei benedetto, Signore; Amen.

66. Terminata la Salmodia, si fanno due Letture: la prima è biblica, l'altra è tratta dalle opere dei Padri o degli scrittori ecclesiastici, oppure è agiografica.
Nella celebrazione pubblica o comune, se presiede un sacerdote o un diacono, prima di ciascuna lettura, il lettore chiede e riceve la benedizione (cfr. n. 255).

67. Normalmente si deve adottare la Lettura biblica riportata nel Proprio del Tempo, secondo le norme che verranno indicate sotto (cfr. nn. 143-158). Tuttavia nelle solennità e nelle feste la Lettura biblica si prende dal Proprio o dal Comune. Nelle feste non del Signore la Lettura biblica, se non è propria, può essere presa dalla feria corrente.

68. La seconda Lettura, normalmente, è quella riportata nel Proprio del Tempo. Tuttavia nelle celebrazioni dei Santi si usa la lettura agiografica propria, la seconda lettura nelle solennità e nelle feste è presa dal corrispondente Comune dei Santi, nelle memorie è presa dal Proprio del Tempo (cfr. nn. 162-167).

69. Alla prima Lettura segue il Responsorio. Nelle domeniche fuori dall'Avvento e della Quaresima, nelle solennità e nelle feste, nelle ottave di Natale e di Pasqua, dopo la seconda Lettura si dice l'Inno Te Deum. Quando non si dice il Te Deum, si recita lodevolmente la Laus angelorum magna (tranne che nel Tempo quaresimale).

70. L'Ufficio delle letture, a meno che non sia seguito immediatamente dalle Lodi mattutine, si conclude con l'Orazione propria del giorno (nelle ore notturne, si può sempre concludere con la Orazione Expelle) e con l'acclamazione: Bendiciamo il Signore. Rendiamo grazie a Dio.

 

V. CELEBRAZIONI VIGILIARI

71. La Veglia pasquale viene celebrata da tutta la Chiesa nel modo descritto nei rispettivi libri liturgici. «La veglia di questa notte ha un'importanza così grande – dice sant'Agostino – che da sola potrebbe appropriarsi come nome proprio, il nome comune anche alle altre veglie» (Sermo Guelferbytanus 5). Infatti «lo svolgersi di questa veglia santa tutto abbraccia il mistero della nostra salvezza; nella rapida corsa di un'unica notte si avverano preannunzi e fatti profetici di vari millenni» (Laus cerei ambrosiana).

72. Sul modello della Veglia pasquale, si introdusse nelle diverse Chiese la consuetudine di iniziare con una veglia altre solennità; tra queste si distinguono, nella nostra Chiesa Milanese: il Natale e l'Epifania del Signore, la Pentecoste, gli anniversari dei Santi Patroni e Titolari. È un uso che merita di essere conservato e promosso secondo le norme riportate sopra (cfr. n. 48). Se si ritenesse conveniente dotare di veglie altre solennità o pellegrinaggi, si osservino le norme generali proposte per le celebrazioni della parola di Dio.

73. I Padri e gli autori spirituali spessissimo hanno esortato i fedeli, specialmente coloro che fanno vita contemplativa, alla preghiera notturna, con la quale si esprime e si incita all'attesa del Signore che ritornerà: «A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro!» (Mt 25,6); «Vigilate, dunque, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera, o a mezzanotte, o al canto del gallo, o al mattino, perché non giunga all'improvviso, trovandovi addormentati» (Mc 13,35-36). E sant'Ambrogio ci ha ammoniti perché «preveniamo il sole del mattino»: «... Previeni – dice – il sole che vedi; sorgi tu che dormi; levati dai morti affinché risplenda per te Cristo. Se tu previeni questo sole prima che esso sorga, potrai vedere Cristo che ti illumina. Egli risplende prima nel segreto del tuo cuore. Per te, che dici: Dalla notte veglia verso di te il mio spirito, farà brillare la luce del mattino nel cuore della notte, se mediterai la parola di Dio. Quando poi il giorno ti avrà trovato nella meditazione della parola di Dio e una così gradevole occupazione di pregare e di cantare i salmi avrà dilettato la tua mente, dirai di nuovo al Signore Gesù: Tu ricolmi di gioia le porte del mattino e della sera» (Sant'Ambrogio, In psalm. 118, serm. 19, n. 30; cfr. ibid., nn. 22 e 32: In psalm. 36, n. 65; De Elia et ieiunio, c. 15, n. 55).
Sono dunque degni di lode tutti coloro che conservano all'Ufficio delle letture il suo carattere notturno.

 

VI. TERZA, SESTA E NONA
O PREGHIERA DURANTE LA GIORNATA

75. Secondo una tradizione antichissima i cristiani erano soliti pregare per devozione privata in diversi momenti nel corso della giornata, anche durante il lavoro, per imitare la Chiesa apostolica. Questa tradizione si è espressa in modi diversi e, con l'andare del tempo, si è concretata in celebrazioni liturgiche.

76. L'uso liturgico, tanto nell'Oriente che nell'Occidente, ha conservato Terza, Sesta e Nona, specialmente perché a queste Ore si collegava il ricordo degli eventi della Passione del Signore e della prima propagazione del Vangelo.

77. Il Concilio Vaticano II ha stabilito di mantenere per il coro le Ore minori di Terza, Sesta e Nona (cfr. Sacrosanctum Concilium, n. 89 c).
L'uso liturgico di dire tutte e tre queste Ore sia mantenuto, salvo il diritto particolare, da coloro che fanno vita contemplativa; lo si consiglia anche a tutti, specialmente a coloro che partecipano a un ritiro spirituale o a un convegno pastorale.

78. Fuori dal coro, salvo il diritto particolare, si può scegliere una delle tre Ore, quella che più si adatta al momento della giornata. Sicché coloro che non celebrano le tre Ore, debbono recitarne almeno una, in modo che sia conservata la tradizione di pregare nel corso della giornata nel mezzo del lavoro (circa la corrispondenza da osservarsi fra la celebrazione dell'ora e il tempo, cfr. sopra n. 11).

79. L'ordinamento di Terza, Sesta e Nona è perciò strutturato in modo da tener conto sia di coloro che dicono soltanto un'Ora, cioè la «Preghiera durante la giornata», sia di coloro che devono o desiderano dire tutte e tre le Ore.

80. Terza, Sesta e Nona (o «Preghiera durante la giornata») iniziano con il versetto d'introduzione: O Dio, vieni a salvarmi. Signore, vieni presto in mio aiuto, il Gloria al Padre, Come era nel principio e l'Alleluia (nel Tempo di Quaresima al posto dell'Alleluia si dice: Lode a te, Signore, re di eterna gloria). Quindi si dice l'Inno adatto all'Ora. Segue la Salmodia, quindi l'epitolella, o Lettura breve accompagnata dal Responsorio breve. L'Ora si conclude con l'Orazione e, almeno nella recita in comune, con l'acclamazione: Benediciamo il Signore. Rendiamo grazie a Dio.

81. Gli Inni e le Orazioni variano secondo le Ore, così da rispondere, come vuole anche la tradizione, al tempo vero e così santificare in modo più confacente le ore del giorno. Pertanto chi dice soltanto un'Ora deve scegliere quegli elementi che corrispondono all'Ora stessa.
Inoltre le Letture brevi e le Orazioni variano secondo l'indole del giorno, del tempo e della festa.

82. Viene proposta una duplice Salmodia: una ordinaria, l'altra complementare. Chi dice un'Ora soltanto usi la Salmodia ordinaria. Chi invece dice più Ore, in una prenda la Salmodia ordinaria, nelle altre quella complementare.

83. La Salmodia ordinaria consta di tre salmi (o parti, se si tratta di salmi più lunghi) desunti dal testo del Salterio. Quasi ogni giorno è proposta la recita di un ottonario del salmo 118, che ampiamente è stato illustrato da sant'Ambrogio (In psalm. 118).
In certi giorni sono prescritti salmi propri con le loro antifone, come da indicazione data a suo luogo. Nelle solennità, se non si devono usare salmi propri, si scelgono i salmi dalla Salmodia complementare, preferibilmente dal salmo 118.

84. La Salmodia complementare consta di ottonari del salmo 118, con l'aggiunta dei salmi 18B, 111, 119, 120, 121, 122, 123, 124, 125, 126, 127.

 

VII. COMPIETA

85. Compieta è l'ultima preghiera del giorno, da recitarsi prima del riposo notturno, eventualmente anche dopo la mezzanotte.

86. Compieta inizia con il versetto: Convertici, Dio, nostra salvezza. E placa il tuo sdegno verso di noi; quindi si aggiunge: O Dio, vieni a salvarmi. Signore, vieni presto in mio aiuto. il Gloria al Padre. Come era nel principio, e l'Alleluia (nel Tempo di Quaresima al posto dell'Alleluia si dice: Lode a te, Signore, re di eterna gloria).

87. Quindi si dice l'Inno adatto.

88. Segue la Salmodia come stabilito nell'Ordinario. Sono stati scelti salmi adatti a ravvivare specialmente la fiducia in Dio.

89. Dopo la Salmodia si dice la Lettura breve, seguita dal Responsorio; quindi si dice il Cantico evangelico Nunc dimittis con la sua antifona. Esso è quai il vertice di tutta l'Ora.

90. L'Orazione conclusiva si dice come è indicato nell'Ordinario.

91. Quindi si dice una delle Antifone alla beata vergine Maria. Oltre alle antifone che si trovano nella tradizione ambrosiana e latina, se ne possono usare altre approvate dalla Conferenza Episcopale Italiana.

92. Alla fine della Compieta si può fare l'esame di coscienza che, nella celebrazione comune viene compiuto in silenzio e si inserisce in un atto penitenziale espresso con le formule del Messale Ambrosiano.

93. Nella celebrazione pubblica, convenientemente si fa il congedo con l'invito: Dormiamo in pace. Vigiliamo in Cristo.

 

VIII. MODO DI DIRE LE ORE DELL'UFFICIO
CON LA MESSA O FRA DI LORO
QUANDO SI RITIENE OPPORTUNO

94. Secondo la tradizione ambrosiana si celebra la Messa durante i primi Vespri del Natale, dell'Epifania, della domenica di Pentecoste, e tra i Vespri del Giovedì santo, come è descritto sopra al n. 48.

95. Inoltre in casi particolari, se le circostanze lo richiedono, nella celebrazione pubblica o comune si può fare una unione più stretta tra la Messa e un'Ora dell'Ufficio, secondo le norme che seguono, purché la Messa e l'Ora siano del medesimo Ufficio. Si deve però evitare che ciò vada a detrimento dell'azione pastorale, specialmente in domenica.

96. Fermo quanto stabilito al numero precedente, quando la Messa viene celebrata unita ai Vespri, dopo il canto d'ingresso e dopo il saluto del celebrante al popolo si dice il Lucernario, poi si canta l'Inno dei Vespri. Quindi, omesso il Gloria in excelsis, che fosse previsto dalle rubriche, il celebrante recita l'Orazione della Messa «sopra il popolo», seguita dalla Liturgia della Parola. Si compie la Liturgia eucaristica nel modo solito. Dopo la Comunione si recita la Salmodia dei Vespri e il Magnificat con le rispettive antifone, omettendo la prima e la seconda Orazione dei Vespri. Segue l'Orazione dopo la Comunione e i riti di congedo, come nel Messale.

97. Quando le Lodi mattutine, fermo ancora quanto stabilito al n. 95, precedono immediatamente la Messa, si procede così: omesso il saluto, si iniziano le Lodi al modo solito e si prosegue sino al Salmo diretto incluso. Omessa poi la seconda Orazione e proclamato l'Inno, si recitano le Acclamazioni a Cristo Signore, dopo le quali inizia subito la Liturgia della Parola fino alla prima lettura. Quindi la Messa prosegue fino alla fine nel modo solito.

98. Se l'Ora di Terza, di Sesta e di Nona, celebrata pubblicamente in corrispondenza con la verità del tempo, precede immediatamente la Messa, l'azione liturgica può egualmente incominciare o dal versetto d'introduzione e dall'Inno dell'Ora (specialmente nei giorni feriali), o dal canto dell'ingresso con la sua processione ed il saluto del celebrante (specialmente nei giorni festivi), omettendo, nel caso, uno dei due riti iniziali. Segue quindi la Salmodia dell'Ora, come al solito, fino alla Lettura breve esclusa. Dopo la Salmodia, omesso l'atto penitenziale, si dice, secondo le rubriche, il Gloria in excelsis e il celebrante recita l'Orazione sopra il popolo. Quando invece l'Ora di Terza, di Sesta o di Nona segue la Messa, allora si celebra la Messa al modo solito fino all'Orazione dopo la Comunione esclusa. Poi incomincia subito la Salmodia dell'Ora, terminata la quale, omessa la Lettura breve con il suo Responsorio, si dice l'Orazione dopo la Comunione, poi si benedice il popolo e lo si congeda.

99. Eccettuato il caso della notte di Natale, si esclude di norma l'unione della Messa con l'Ufficio delle letture, perché la Messa stessa ha già la sua serie di letture, che si deve distinguere dall'altra. Se però la cosa si dovesse fare in un caso singolo, allora, subito dopo la seconda lettura dell'Ufficio, omesso tutto il resto, s'incomincia la Messa dall'inno Gloria in excelsis, se si deve dire; se no, dall'Orazione sopra il popolo.

100. Se l'Ufficio delle letture si dice immediatamente prima delle Lodi, cfr. n. 70.
S invece l'Ufficio delle letture viene detto immediatamente prima dell'Ora di Terza, di Sesta e di Nona, allora si può premettere all'Ufficio delle letture l'Inno intonato a quell'Ora; al termine poi dell'Ufficio delle letture si omette l'Orazione e la conclusione, e nell'Ora che segue si omette il versetto d'introduzione con il Gloria al Padre.

 

 

CAPITOLO III

I DIVERSI ELEMENTI
DELLA LITURGIA DELLE ORE

I   I SALMI E IL LORO RAPPORTO
CON LA PREGHIERA CRISTIANA

101. Nella Liturgia delle Ore la Chiesa prega in gran parte con quei bellissimi canti, che i sacri Autori, sotto l'ispirazione dello Spirito santo, hanno composto nell'Antico Testamento. Per la loro stessa origine, infatti, essi hanno una capacità tale da elevare la mente degli uomini a Dio, da suscitare in essi pii e santi affetti, da aiutarli mirabilmente a render grazie a Dio nelle circostanze prospere, da recare consolazione e fermezza d'animo nelle avversità. Dice, perciò, il nostro S. Ambrogio: «Il salmo è benedizione del popolo, lode di Dio, canto della comunità, acclamazione di tutti, linguaggio di ogni cosa, voce della Chiesa, canora professione di fede, devozione piena di autorità, gioia della libertà, esclamazione di giocondità, grido di letizia...» (In psalm. 1, 9).

102. I salmi, tuttavia, non offrono che un'immagine imperfetta di quella pienezza dei tempi che apparve in Cristo Signore e dalla quale trae il suo vigore la preghiera della Chiesa. Pertanto può talvolta accadere che, pur concordando tutti i cristiani nella somma stima dei salmi, trovino tuttavia qualche difficoltà, nello stesso tempo in cui cercano di far propri nella preghiera quei canti venerandi.

103. Ma lo Spirito santo, sotto la cui ispirazione i salmisti hanno cantato, assiste sempre con la sua grazia coloro che eseguono tali inni con fede e buona volontà.
È tuttavia necessario che ciascuno, secondo le sue possibilità, si procuri «una maggiore formazione biblica, specialmente riguardo ai salmi» (Sacrosanctum Concilium, n. 90). Inoltre si deve arrivare ad assimilare bene il modo e il metodo migliore per pregarli come si conviene.

104. I salmi non sono letture, né preghiere scritte in prosa, ma poemi di lode. Quindi anche se talvolta fossero stati eseguiti come letture, tuttavia, in ragione del loro genere letterario, giustamente furono detti dagli ebrei «Tehillim» cioè «cantici di lode», e dai greci «psalmoi» cioè «cantici da eseguire al suono del salterio». In verità, infatti, tutti i salmi hanno un certo carattere musicale, che ne determina la forma di esecuzione più consona. Per cui anche se il salmo viene recitato senza canto, anzi da uno solo e in silenzio, deve sempre conservare il suo carattere musicale: esso offre certo un testo di preghiera alla mente dei fedeli, tuttavia tende più a muovere il cuore di quanti lo cantano, lo ascoltano e magari lo eseguono con «il salterio e la cetra».

105. Chi dunque vuole salmeggiare con spirito di intelligenza deve percorrere i salmi versetto per versetto e rimanere sempre pronto nel suo cuore alla risposta.
Così vuole lo Spirito, che ha ispirato il salmista e che assisterà ogni uomo di sentimenti religiosi aperto ad accogliere la sua grazia. Per questo la Salmodia, anche se eseguita con tutto quel rispetto che si deve alla maestà di Dio, deve prorompere dalla gioia del cuore e ispirarsi all'amore, come si addice a una poesia sacra e a un cantico divino, e massimamente alla libertà dei figli di Dio.

106. Spesso le espressioni del salmo ci offriranno il modo di pregare più facilmente e con maggior fervore, sia quando rendiamo grazie a Dio e lo glorifichiamo in esultanza, sia quando lo supplichiamo dal profondo delle nostre sofferenze. Tuttavia – soprattutto se il salmo non si rivolge direttamente a Dio – può sorgere talvolta qualche difficoltà. Il salmista, infatti, nella sua qualità di poeta spesso parla al popolo rievocando la storia d'Israele; talvolta interpella altri, e fra questi magari anche creature prive di ragione. Talora introduce a parlare anche Dio stesso e gli uomini, e anche, come nel salmo 2, i nemici di Dio. È chiaro dunque che il salmo non è preghiera dello stesso tipo di una orazione o colletta composta dalla Chiesa.
Inoltre il carattere poetico e musicale dei salmi comporta che talvolta siano piuttosto cantati davanti a Dio anziché svolgersi in discorso diretto a lui, come avverte san Benedetto: «Consideriamo come ci si deve comportare alla presenza di Dio e dei suoi angeli, e partecipiamo alla salmodia in modo che il nostro spirito preghi all'unisono con la nostra voce» (Regula, c. 19).

107. Chi recita i salmi apre il suo cuore a quei sentimenti che i salmi ispirano secondo il loro genere letterario: di lamentazione, di fiducia, di rendimento di grazie. Questi generi letterari giustamente sono tenuti in grande considerazione dagli esegeti.

108. Chi recita i salmi, aderendo al significato delle parole, presta attenzione all'importanza del testo per la vita umana dei credenti.
Si sa, infatti, che ogni salmo fu composto in circostanze particolari, alle quali intendono riferirsi i titoli premessi a ciascuno di essi nel salterio ebraico. Ma in verità, qualunque sia la sua origine storica, ogni salmo ha un proprio significato, che anche ai nostri tempi non possiamo trascurare. Sebbene quei carmi siano stati composti molti secoli fa presso popoli orientali, essi esprimono assai bene i dolori e la speranza, la miseria e la fiducia degli uomini di ogni tempo e regione, e cantano specialmente la fede in Dio, la rivelazione e la redenzione.

109. Chi recita i salmi nella Liturgia delle Ore, li recita non tanto a nome proprio quanto a nome di tutto il Corpo di Cristo, anzi nella persona di Cristo stesso. Se ciascuno tiene presente questa dottrina, svaniscono le difficoltà, che chi salmeggia potrebbe avvertire per la differenza del suo stato d'animo da quello espresso nel salmo, come accade quando chi è triste e nell'angoscia incontra un salmo di giubilo, o, al contrario, è felice e si trova di fronte a un canto di lamentazione. Nella preghiera puramente privata si può evitare questa dissonanza, perché vi è modo di scegliere il salmo più adatto al proprio stato d'animo.
Nell'Ufficio divino, invece, si ha un determinato ciclo di salmi valevole per tutta la comunità ed eseguito non a titolo personale, ma a nome di tutta la Chiesa, anche quando si tratta di un orante che celebra qualche Ora da solo.
Chi salmeggia a nome della Chiesa può sempre trovare un motivo di gioia o tristezza, perché anche in questo fatto conserva il suo significato l'espressione dell'Apostolo: «Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto» (Rm 12, 15), e così la fragilità umana, ferita dall'amor proprio, viene risanata nella misura di quella carità per la quale la mente concorda con la voce che salmeggia. (cfr. San Benedetto, Regula, c. 19).

110. Chi recita i salmi a nome della Chiesa, deve badare al senso pieno dei salmi, specialmente al senso messianico, per il quale la Chiesa ha adottato il Salterio.
Tale senso messianico è diventato pienamente chiaro nel Nuovo Testamento, anzi fu posto in piena luce dallo stesso Cristo Signore, quando disse agli apostoli: «Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei profeti e nei salmi» (Lc 24, 44). Di ciò è esempio notissimo quel dialogo, riferito da Matteo, circa il Messia, figlio di David e suo Signore (Mt 22, 44ss.), in cui il salmo 109 è riferito al Messia.
Seguendo questa via, i santi Padri accolsero e spigarono tutto il salterio come profezia di Cristo e della Chiesa; e con lo stesso criterio i salmi sono stati scelti nella sacra Liturgia. Sebbene talvolta si proponessero alcune interpretazioni alquanto complicate, tuttavia generalmente sia i Padri sia la Liturgia con ragione vedevano nei salmi Cristo che si rivolge al Padre, o il Padre che parla al Figlio; anzi riconoscevano la voce della Chiesa, degli apostoli e dei martiri.
Questo metodo di interpretazione fiorì anche nel medioevo, quando coloro che salmeggiavano trovavano in molti codici, scritti in quell'epoca, il titolo preposto a ciascun salmo e così si apriva loro il senso cristologico dei salmi.
L'interpretazione cristologica non si limita soltanto a quei salmi che sono considerati messianici, ma si estende a molti altri, nei quali senza dubbio si tratta di semplici adattamenti, convalidati tuttavia dalla tradizione della Chiesa.
Soprattutto nella Salmodia dei giorni festivi, i salmi sono stati scelti in base a un certo orientamento cristologico, ad illustrare il quale per lo più vengono proposte delle antifone tratte dagli stessi salmi.

 

II   LE ANTIFONE E GLI ALTRI ELEMENTI
CHE AIUTANO A PREGARE CON I SALMI

111. Tre elementi nella tradizione latina hanno contribuito molto a far comprendere i salmi e a trasformarli in preghiera cristiana: i titoli, le Orazioni dopo i salmi e soprattutto le Antifone.

112. Nel Salterio della Liturgia delle Ore, ad ogni salmi è premesso un titolo sul suo significato e la sua importanza per la vita umana del credente. Questi titoli, nel Libro della Liturgia delle Ore, sono proposti unicamente ad utilità di coloro che recitano i salmi.
Per alimentare la preghiera alla luce della rivelazione nuova, si aggiunge una sentenza del Nuovo Testamento, di S. Ambrogio o di altri Padri, che invita a pregare in senso cristologico.

113. Le Orazioni sui cantici e sui salmi hanno lo scopo di aiutare coloro che li recitano a interpretarli in senso soprattutto cristiano. Normalmente una di esse è proposta da recitare nell'ufficio di feria dopo i salmi delle Lodi e dei Vespri. Anzi per i singoli salmi si potranno liberamente usare le rispettive orazioni, così che, terminato il salmo e fatta una breve pausa di silenzio, l'Orazione raccolga e concluda i sentimenti di coloro che hanno recitato il salmo.

114. Ogni salmo di solito ha la propria Antifona, che si dice ugualmente nella recita individuale. Le Antifone, infatti, aiutano a illustrare il genere letterario del salmo; trasformano il salmo in preghiera personale; mettono meglio in luce una frase degna di attenzione, che altrimenti potrebbe sfuggire; danno un certo tono particolare a qualche salmo a seconda delle circostanze; anzi, purché si escludano adattamenti stravaganti, giovano molto all'interpretazione tipologica o festiva; possono rendere piacevole e varia la recita dei salmi.

115. Le Antifone nel Salterio sono composte in modo da poter essere tradotte nelle lingue moderne, anzi da poter essere ripetute dopo ciascuna strofa, secondo quanto è detto al n. 126.
Nell'Ufficio del Tempo ordinario celebrato senza canto, al posto di queste Antifone si possono usare, se si ritiene opportuno, le sentenze preposte ai salmi (cfr. n. 112).

116. Quando il salmo, per la sua lunghezza, si può dividere in più parti entro una sola e medesima Ora, alle singole parti viene assegnata un'Antifona propria, sia per rendere più varia la recita dei salmi, specialmente nella celebrazione con il canto, sia per comprendere meglio la ricchezza del salmo; tuttavia è consentito recitare il salmo intero senza interruzione, usando una delle Antifone proposte.

117. Si hanno Antifone proprie per i salmi o i cantici all'Ufficio delle letture, delle Lodi, e ai Vespri delle domeniche del Tempo di Avvento, di Natale, di Quaresima e di Pasqua, come pure nelle ferie prenatalizie, nelle Ottave di Natale e di Pasqua e nella Settimana santa.

118. Nelle solennità l'Ufficio delle letture, le Lodi mattutine, Terza, Sesta, Nona e i Vespri hanno Antifone proprie; altrimenti si prendono dal Comune. Nelle feste si osserva la stessa norma alle Lodi mattutine e ai Vespri, e, e si tratta di feste del Signore, anche all'Ufficio delle letture.

119. Quelle memorie di Santi che le avessero, si celebrano con Antifone proprie (cfr. n. 235).

120. Le Antifone al Benedictus e al Magnificat, nell'Ufficio del Tempo si prendono dal Proprio del Tempo, se vi sono, altrimenti dal Salterio corrente; nelle solennità e nelle feste si prendono dal Proprio, se vi sono, altrimenti dal Comune; nelle memorie, che non hanno Antifona propria, si può dire o l'antifona del Comune o quella della feria corrente.

121. Nel Tempo pasquale, a tutte le antifone si aggiunge l'Alleluia, tranne i casi in cui non si accorda con il senso dell'Antifona (cfr. n. 209).

 

III   IL MODO DI SALMODIARE

122. Sono possibili svariati modi di eseguire i salmi secondo che lo richiedono il genere letterario, la lunghezza, la lingua, l'esecuzione individuale o collettiva, la partecipazione del popolo.
La facoltà di scegliere fra molte soluzioni possibili quella più confacente, giova non poco a far meglio percepire la fragranza spirituale e artistica dei salmi. Questi, infatti, non sono stati ordinati quasi fossero delle semplici quantità di preghiera da far seguire le une alle altre, ma secondo il criterio del contenuto e del carattere specifico di ciascuno di essi.

123. I salmi si cantano o si recitano secondo i diversi modi confermati dalla tradizione e dalla esperienza, cioè a versetti o strofe in alternanza tra due cori o parti dell'assemblea, oppure in modo responsoriale. Il Salmo diretto, ossia l'ultimo salmo delle Lodi mattutine, normalmente si dice da entrambi i cori, cioè da tutti, in comune e non in alternanza.

124. All'inizio di ogni salmo si premetta sempre l'Antifona corrispondente, come viene indicato ai nn. 114-121. Si mantenga poi l'uso di concluderlo con il Gloria al Padre e il Come era, a meno che più salmi vengano recitati «ad modum unius», come nella nostra tradizione è prescritto per i Salmi laudativi e per la Salmodia vespertina solenne e festiva. Il Gloria è infatti una conclusione adatta, convalidata dalla tradizione e tale da conferire alla preghiera dell'Antico Testamento un senso laudativo di carattere cristologico e trinitario.
Dopo il salmo si ripete l'Antifona.

125. Quando si usano salmi più lunghi, è permesso recitare l'intero salmo con una sola antifona. Tuttavia, nel Salterio se ne indica la divisione in parti: questa è fatta nel pieno rispetto della reale linea di pensiero del salmo stesso.
È bene attenersi a questa divisione in parti con le rispettive antifone, aggiungendo il Gloria al Padre al termine di ogni sezione, specialmente nella celebrazione con il popolo.

126. Quando, inoltre, il genere letterario del salmo lo consente, vengono indicate delle divisioni in strofe, in modo che, specialmente se i salmi vengono cantati in una lingua moderna, si possono eseguire intercalando l'Antifona dopo ogni strofa; in tal caso è sufficiente aggiungere il Gloria al Padre alla fine di tutto il salmo.

 

IV   CRITERI DI DISTRIBUZIONE
DEI SALMI NELL'UFFICIO

127. I salmi sono distribuiti in un ciclo di quattro settimane. Pochissimi sono quelli esclusi. Altri, poi, considerati come tradizionalmente più importanti, sono ripetuti con maggiore frequenza. Alle Lodi mattutine, ai Vespri e a Compieta sono assegnati salmi adatti alla rispettiva Ora (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 91).

128. Per le Lodi mattutine e per i Vespri, Ore particolarmente destinate alla celebrazione con il popolo, sono stati scelti salmi più adatti a questo scopo. Si conserva la tradizione di recitare alle Lodi mattutine quei salmi che o esprimono le lodi di Dio o sono adatti al tempo del mattino.

129. Per la Compieta si osserva la norma indicata al n. 88.

130. Alla domenica, anche per la Salmodia dell'Ora durante la giornata, sono stati scelti quei salmi che, secondo la tradizione, sono più indicati per esprimere il mistero pasquale. Al venerdì sono stati assegnati alcuni salmi penitenziali o che hanno riferimento alla Passione.

131. Soltanto nella Settimana santa si dice una parte del salmo 108. Invece questo e altri due salmi, cioè il 57 e l'82, vengono esclusi dal Salterio corrente, perché in essi prevale il carattere imprecatorio. Così pure alcuni versetti di qualche salmo sono stati omessi come viene indicato all'inizio del salmo. L'omissione di questi testi è dovuta unicamente ad una certa qual difficoltà psicologica. Infatti questi stessi salmi imprecatori si trovano nella pietà del Nuovo Testamento, per esempio nell'Apocalisse 6, 10, e in nessun modo intendono indurre a maledire.

132. I salmi che sono troppo lunghi per essere contenuti in una sola Ora dell'Ufficio, sono distribuiti in diversi giorni, nella stessa Ora, in modo che possano essere recitati integralmente da coloro che non sono soliti dire le altre Ore. Così il salmo 118, secondo una sua propria divisione, è distribuito in ventidue giorni all'Ora durante la giornata, perché per tradizione era assegnato alle ore diurne.

133. Il salmo 116, che chiama tutti i popoli alla lode di Dio, nella nostra tradizione, fin dall'antichità, ha funzione di dossologia: per questo viene recitato nella Salmodia vespertina delle solennità e delle feste e, quotidianamente, alle Lodi mattutine.
Inoltre, secondo un'antichissima consuetudine, nella Salmodia vespertina delle solennità e delle feste si recita anche il salmo 133, che esorta caldamente tutti i servi del Signore a protrarre la preghiera vegliando durante la notte.

134. Il ciclo di quattro settimane del Salterio è connesso con l'anno liturgico in modo tale che venga ripreso dalla prima settimana, tralasciando eventualmente le altre: la prima domenica di Avvento, la prima settimana del Tempo ordinario e la prima domenica di Quaresima. Nella seconda domenica di Pasqua lo si riprende dalla seconda settimana. Dopo Pentecoste, poiché nel Tempo ordinario il ciclo del Salterio segue la serie delle settimane, si riprende da quella settimana del Salterio che nel Proprio del Tempo è indicata all'inizio della rispettiva settimana del Tempo ordinario.

135. Nelle ferie prenatalizie, nel Natale e durante la sua Ottava, nell'Epifania del Signore, nella Settimana santa, nel giorno di Pasqua e durante la sua Ottava, a ogni Ora sono assegnati salmi propri scelti tra quelli proposti dalla tradizione ambrosiana. La loro applicazione è per lo più illustrata dall'Antifona.

136. I   I salmi e i cantici sono del Proprio o del Comune:
1) ai Vespri delle solennità e delle feste;
2) all'Ufficio delle letture nelle solennità e nelle feste del Signore;
3) alle Lodi mattutine delle solennità e delle feste.
II   Alle Ore durante la giornata nelle solennità, tranne quelle di cui si è detto al n. 134, e purché non ricorrano in giorno di domenica, tutta la Salmodia ordinaria si prende dagli ottonari del salmo 118.
III   In tutti gli altri casi i salmi e i cantici si prendono dal Salterio corrente, a meno che non ci siano Antifone proprie o salmi propri.

 

V   I CANTICI
DELL'ANTICO E DEL NUOVO TESTAMENTO

137. All'Ufficio delle letture, dopo l'Inno, si dice il Cantico dei tre giovani Benedictus es, a meno che al suo posto non sia indicato il Responsorio (cfr. n. 64).

138. All'Ufficio delle letture dei giorni di domenica, delle solennità e delle feste, la Salmodia consta, come d'uso, di tre cantici tratti dall'Antico Testamento. Oltre la serie già accolta dall'antica tradizione ambrosiana, per favorire la varietà, sono stati aggiunti al salterio altri cantici presi da diversi libri dell'Antico Testamento.

139. All'Ufficio delle letture di ciascun sabato si dice il cantico dell'Esodo Cantemus Domino, eccettuati il sabato che capita tra le ferie prenatalizie e il Sabato santo

140. Alle Lodi mattutine, prima dei salmi si recita un cantico dell'Antico Testamento. Nelle solennità e nelle feste, secondo la tradizione della nostra Chiesa, il cantico veterotestamentario delle Lodi ricorda sempre, come immagine della redenzione eterna, la conquista della libertà del popolo ebraico dopo la tenebrosa schiavitù egiziana.
Nelle ferie prenatalizie poi si recita il Cantico Attende.

141. I Cantici evangelici Benedictus, Magnificat, Nunc dimittis abbiano il medesimo onore, la medesima solennità e dignità di cui si è soliti circondare la proclamazione del Vangelo.

 

VI   LA LETTURA DELLA SACRA SCRITTURA

a) Lettura della sacra Scrittura in genere 

143. La lettura della sacra Scrittura, che per antica tradizione si fa pubblicamente nella Liturgia, non soltanto nella celebrazione eucaristica, ma anche nell'Ufficio divino, dev'essere tenuta nella massima considerazione da tutti i cristiani, perché viene proposta dalla Chiesa stessa, non a scelta dei singoli o secondo la disposizione più favorevole del loro animo, ma in ordine al mistero che la Sposa di Cristo «svolge attraverso il ciclo annuale dall'Incarnazione e Natività fino all'Ascensione, al giorno di Pentecoste e all'attesa della beata speranza e del ritorno del Signore» (Sacrosanctum Concilium n. 102).
Inoltre nella celebrazione liturgica la lettura della sacra Scrittura è sempre accompagnata dalla preghiera, in modo che la lettura porti maggior frutto e a suo volta la preghiera, specialmente nei salmi, venga compresa più pienamente e fatta con più intensa pietà in forza della lettura.

144. Nella Liturgia delle Ore, viene proposta sia una forma più lunga di lettura della sacra Scrittura sia una forma più breve,

145. Delle letture da farsi in certe occasioni durante i Vespri, si è già detto sopra al n. 48

b) Ciclo di letture bibliche 
    nell'Ufficio delle letture

146. Nel ciclo lezionario biblico dell'Ufficio delle letture si tiene conto sia di quei tempi sacri nei quali, per venerabile tradizione, si devono leggere determinati libri, sia del ciclo lezionale della Messa. La Liturgia delle Ore è coordinata con quella della Messa, in modo tale che la lettura della Scrittura nell'Ufficio completi quella della Messa, e si abbia così un compendio di tutta la storia della salvezza.

147. Se si eccettua la lettura della Passione nell'Ufficio del Venerdì santo (della quale al n. 153) e prescindendo dalle celebrazioni della Parola di Dio proprie della Settimana santa, nella Liturgia delle Ore non si legge il Vangelo, dato che lo si legge integralmente ogni anno nella Messa.

148. Il «cursus» o ciclo delle letture bibliche per l'Ufficio delle Letture è «biennale», come il «cursus» delle letture «per annum» nella Messa feriale (cfr. sotto n. 156).

149. Il ciclo biennale delle letture è disposto in modo che ogni anno vengano assegnati alla Liturgia delle Ore quasi tutti i libri della sacra Scrittura, come pure i testi più lunghi e più difficoltosi, meno idonei ad esser letti nella Messa. Mentre però il Nuovo Testamento si legge integralmente ogni anno, parte nella Messa e parte nella Liturgia delle Ore, dai libri dell'Antico Testamento sono state scelte solo quelle parti che hanno maggiore importanza per la comprensione della storia della salvezza e per il nutrimento della pietà. La complementarietà fra le letture assegnate alla Liturgia delle Ore e quelle della Messa esige necessariamente che lo stesso libro ricorra ad anni alterni nella Messa e nella Liturgia delle Ore o almeno, se si legge nello stesso anno, che intercorra un certo spazio di tempo. Ciò perché non vengano assegnati gli stessi testi agli stessi giorni, né vengano distribuiti gli stessi libri qua e là negli stessi tempi, cosa che lascerebbe alla Liturgia delle Ore i brani di minore importanza e turberebbe l'ordine dei testi.

150. Nel Tempo di Avvento, dopo alcuni profeti minori, si leggono brani tratti dal libro di Isaia, in lettura semicontinua, e ad anni alternati. Vi si aggiungono il libro di Ruth e alcune profezie del libro di Michea.
Poiché dal 17 al 24 dicembre si leggono pagine assegnate in modo speciale a quei giorni, si omettono quelle letture della quinta settimana di Avvento eventualmente eccedenti.

151. Dal 29 dicembre al 5 gennaio si legge, nel primo anno, la lettera ai Colossesi, nella quale l'incarnazione del Signore è presentata nell'ambito di tutta la storia della salvezza; nel secondo anno si legge il Cantico dei Cantici, nel quale è simboleggiata l'unione di Dio e dell'uomo in Cristo: «Allora, infatti, Dio Padre celebrò le nozze di Dio suo Figlio, quando nel grembo della Vergine lo congiunse alla natura umana, allorché volle che colui che era Dio prima dei secoli, diventasse uomo alla fine dei secoli» (San Gregorio M., Homilia 34 in Evangelia).

152. Dal 7 gennaio al sabato dopo l'Epifania, si leggono i testi escatologici tratti da Isaia 60-66 e da Baruch; le letture, eventualmente eccedenti, in quell'anno si omettono.

153. In Quaresima, nel primo anno si leggono i brani dal libro del Deuteronomio e dalla lettera agli Ebrei. Nel secondo anno viene offerto un compendio della storia della salvezza dai libri dell'Esodo, del Levitico e dei Numeri.
La lettera agli Ebrei interpreta l'antica alleanza alla luce del mistero pasquale di Cristo. Per il Venerdì santo si conserva la venerabile tradizione di leggere la Passione: si legge la Passione o secondo Marco o secondo Luca o secondo Giovanni, in un ciclo triennale, mentre la Passione secondo Matteo viene letta più solennemente nei riti di questi santi giorni. Negli altri giorni della Settimana santa, nel primo anno si leggono il terzo e quarto carme del Servo del Signore dal libro di Isaia (incominciando dal venerdì della settimana precedente), e pericopi scelte dal libro delle Lamentazioni, nel secondo anno si legge il profeta Geremia come tipo e figura di Cristo.

154. Nel Tempo pasquale, eccettuate le domeniche prima e seconda di Pasqua e le solennità dell'Ascensione e della Pentecoste, si leggono, secondo la tradizione, nel primo anno la prima lettera di Pietro, il libro dell'Apocalisse, e le lettere di Giovanni; nel secondo anno gli Atti degli Apostoli.

155. Dal lunedì dopo al domenica del Battesimo del Signore fino alla Quaresima e dal lunedì dopo Pentecoste fino all'Avvento, decorre la serie continua delle trentadue settimane del Tempo ordinario.
Questa serie viene interrotta dalla prima domenica di Quaresima fino al giorno di Pentecoste. Il lunedì dopo la domenica do Pentecoste si riprende la lettura del Tempo ordinario da quella settimana che segue la settimana interrotta per il sopravvenire della Quaresima, omessa la lettura assegnata alla domenica. Negli anni in cui si hanno solo trentuno settimane del Tempo ordinario, si omette la settimana che cade immediatamente dopo la Pentecoste, in modo da leggere sempre le letture delle ultime settimane.
I libri dell'Antico Testamento sono distribuiti secondo la storia della salvezza: Dio rivela sé stesso lungo il corso della vita di quel popolo, che per successive tappe viene condotto e illuminato. Pertanto i profeti si leggono intercalati ai libri storici, con riferimento al tempo nel quale vissero e insegnarono. Per questo, nel primo anno la serie delle letture dell'Antico Testamento propone contemporaneamente libri storici e oracoli dei profeti dal libro di Giosuè fino ai testi connessi con il tempo dell'esilio incluso.
Nel secondo anno, dopo la lettura della Genesi, da farsi prima della Quaresima, si riprende la storia della salvezza da dopo l'esilio fino al tempo dei Maccabei. S'inseriscono nello stesso anno i profeti più recenti, i libri sapienziali e le narrazioni dei libri di Ester, Tobia e Giuditta.
Le lettere degli apostoli, che non si leggono nei tempi speciali, vengono distribuite tenendo conto sia delle letture della Messa, sia dell'ordine cronologico in cui sono state scritte.

156. Il ciclo o «cursus» delle letture bibliche assegnato al primo anno, per la parte principale che in esso è attribuita alla storia della salvezza da Mosè all'esilio babilonese, si considera fondamentale e viene inserito nel libro della Liturgia Ambrosiana delle Ore. L'altro ciclo, contenuto nel Supplemento, dev'essere grandemente raccomandato, perché venga offerto un pascolo spirituale desunto da tutti i libri della sacra Scrittura.

157. Alle solennità e alle feste è assegnata una Lettura propria, mancando la quale si ricorre al Comune dei Santi. Nelle feste che non sono del Signore, se manca la Lettura propria, si può anche scegliere quella della feria corrente.

158. Le singole pericopi, per quanto è possibile, conservano una certa unità; pertanto per non superare una giusta lunghezza, del resto diversa secondo i vari generi letterari dei libri, talvolta sono omessi alcuni versetti; cosa che è sempre indicata a suo luogo. Però si può – ed è cosa lodevole – leggere integralmente il brano su di un testo approvato.

c) Letture brevi o epistolelle

159. «Cristo e la divina Scrittura – dice S. Ambrogio – sono il rimedio di ogni fatica e l'unico rifugio nelle tentazioni» (Sant'Ambrogio, De Interpellatione David, IV, 4, 18); perciò anche all'Ora durante la giornata e a Compieta sono state scelte Letture brevi o «epistolelle», che vanno lette e ascoltate come vera proclamazione della parola di Dio. Esse propongono in modo conciso qualche sentenza sacra e favoriscono l'illustrazione di alcune brevi espressioni, che sfuggirebbero nella lettura continua delle Scritture.

160. Sono state scelte dunque quelle Letture brevi che esprimono concisamente ma chiaramente una sentenza o una esortazione; si è anche provveduto alla varietà, così che per le Ore durante il giorno in ogni giorno delle quattro settimane del Salterio viene proposto un testo diverso. Si hanno inoltre Letture brevi speciali per i tempi di Avvento, Natale, Quaresima e Pasqua. Hanno Letture brevi proprie anche le solennità e le feste.

161. Nella scelta delle Letture brevi si sono osservati i seguenti criteri:
a) secondo la tradizione, sono stati esclusi i vangeli, i quali esigono una proclamazione solenne;
b) per quanto possibile, si è tenuto presente il carattere particolare della domenica, del venerdì e anche delle singole Ore.

 

VII   LA LETTURA DEI PADRI
E DEGLI SCRITTORI ECCLESIASTICI

162. Secondo la tradizione, nell'Ufficio delle letture dopo la lettura biblica si ha quella dei Padri o degli Scrittori ecclesiastici (cfr. sotto nn. 228 e 235).

163. In questa lettura vengono proposti testi tratti dagli scritti dei santi Padri, dei Dottori e di altri Scrittori ecclesiastici appartenenti sia alla Chiesa Orientale che Occidentale; in modo però da dare la preferenza ai santi Padri che godono di una particolare autorità nella Chiesa.
Si è pure provveduto a dischiudere ampiamente il tesoro della tradizione della Chiesa Milanese, utilizzando anche le opere di quei santi Padri che onorano le Chiese vicine.

164. Lo scopo di tale lettura è principalmente la meditazione della parola di Dio, così come è accolta dalla Chiesa nella sua tradizione. La Chiesa, infatti, ha sempre ritenuto necessario spiegare ai fedeli in maniera autentica la parola di Dio, perché «la linea della interpretazione profetica e apostolica si svolgesse secondo la norma del senso ecclesiastico e cattolico» (San Vincenzo Lerinense, Commonitorium, 2).

165. Dal contatto assiduo con i documenti presentati dalla tradizione universale della Chiesa, i lettori sono condotti ad una più profonda meditazione della sacra Scrittura e ad un soave e vivo amore per essa. Gli scritti dei santi Padri sono splendide testimonianze di quella meditazione della parola di Dio, prolungatasi per secoli, con la quale la Sposa del Verbo incarnato, cioè la Chiesa «che ha con sé il consiglio e lo spirito del suo Sposo e Dio» (San Bernardo, Sermo 3 in Vigilia Nativitatis, 1), si sforza di giungere giorno per giorno a una più profonda intelligenza delle sacre Scritture.

166. La lettura dei Padri inoltre aiuta i cristiani a comprendere meglio il significato dei tempi e delle celebrazioni liturgiche. Apre loro l'accesso alle inestimabili ricchezze spirituali che formano il prezioso patrimonio della Chiesa, e insieme presentano il fondamento della vita spirituale ed un ricchissimo nutrimento della pietà.
I predicatori poi della parola di Dio hanno così tra mano, ogni giorno, eccellenti esempi di sacra predicazione.

 

VIII   LA LETTURA AGIOGRAFICA

167. Col nome di lettura agiografica si intende sia il testo di qualche Padre o Scrittore ecclesiastico che tratta espressamente del Santo celebrato o che ad esso si può ragionevolmente applicare, sia un brano degli scritti dello stesso Santo, o il racconto della sua vita.

 

IX   I RESPONSORI

168. La Liturgia Ambrosiana conosce tre generi di Responsori:
a) Responsori dopo l'Inno;
b) Responsori dopo la Lettura biblica;
c) Responsori battesimali.

169. Per quanto riguarda i Responsori dopo l'Inno, cfr. sopra nn. 41 e 64.

170. Nell'Ufficio delle letture, alla lettura biblica segue il suo Responsorio proprio, il cui testo è stato scelto dal tesoro della tradizione, o composto ex-novo, al fine di portare nuova luce per la comprensione della lettura appena letta, o di inserire la lettura nella storia della salvezza, o di ricondurre dall'Antico al Nuovo Testamento, o di cambiare la lettura in preghiera e contemplazione, o, infine, di conferire con la sua bellezza poetica una piacevole varietà.

171. Così pure, ma in modo più semplice, il Responsorio breve alle Ore di Terza, Sesta, Nona e a Compieta è una risposta alla Lettura breve, come una specie di acclamazione, allo scopo di imprimere più profondamente la parola di Dio nell'animo di chi ascolta o di chi legge.

172. Il Responsorio battesimale, i cui testi sono stati composti ex novo, ha lo scopo di illustrare il mistero del Battesimo, la sua grazia e i suoi effetti.

173. I Responsori pertanto, con le loro parti da ripetersi, mantengono, anche nella recita individuale, il loro valore.

 

X   GLI INNI
E GLI ALTRI CANTI NON BIBLICI

174. Gli Inni, che già per antichissima tradizione orientale facevano parte della sacra Liturgia, furono introdotti nell'Ufficio della Chiesa occidentale da S. Ambrogio, e col nome di «ambrosiani» diventarono famoso.
Essi conservano anche ora la loro funzione (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 93).
In realtà, per la loro ispirazione lirica, non solo sono destinati specificamente alla lode di Dio, ma costituiscono un elemento popolare: anzi, di solito caratterizzano immediatamente e più che le altre parti dell'Ufficio, l'aspetto particolare delle Ore e delle singole celebrazioni muovendo e stimolando gli animi a una partecipazione devota. Anzi, come sappiamo da S. Ambrogio, favoriscono soprattutto la comprensione dei misteri di Dio e della verità eterna. «Che cosa infatti vi è di più potente della confessione della Trinità, che ogni giorno è celebrata a un sola voce da tutto il popolo? A gara tutti si ingegnano a professare la fede: hanno appreso a proclamare il Padre, il Figlio e lo Spirito santo con i versi. Sono dunque diventati maestri tutti coloro che a stento potevano essere discepoli» (Sant'Ambrogio, Sermo contra Auxentium, 34).

175. L'Inno, secondo la tradizione, si conclude con al dossologia, che di solito viene diretta alla medesima Persona divina, alla quale è rivolto l'Inno stesso.

176. Inoltre, nell'Ufficio delle letture è stato introdotto un duplice ciclo di Inni, a seconda che si recitano di notte o di giorno.

177. Agli Inni di nuova composizione si possono applicare le melodie tradizionali sul medesimo ritmo e sullo stesso metro.

178. Per quanto riguarda la celebrazione in lingua viva, si dà facoltà di scegliere sia quella traduzione che è proposta nel corso del Salterio, sia quella che è inserita nell'Appendice della Diurna Laus. Si possono inoltre usare quegli Inni che eventualmente la Conferenza Episcopale Italiana avrà approvato, purché si addicano veramente al carattere dell'Ora, o del tempo o della festa.

 

XI   LE ORAZIONI

179. A Lodi si dicono due Orazioni, tre ai Vespri, e alla fine di ciascuna delle altre Ore si dice una Orazione conclusiva. Tutte queste Orazioni, nella celebrazione pubblica e popolare, secondo la norma tradizionale, spettano al sacerdote o al diacono, quando sia questi a presiedere.

180. All'Ufficio delle letture, se recitato nelle ore notturne, si può sempre dire l'Orazione Expelle; diversamente, si dice l'Orazione indicata (cfr. n. 70).

181. A Compieta, l'Orazione è sempre presa dall'Ordinario.

182. Alle Lodi mattutine e ai Vespri del Tempo, le Orazioni si prendono dal Salterio, a meno che non siano proprie.
Nelle solennità e nelle feste, le Orazioni che non sono proprie, si prendono dal Comune; nelle memorie dei Santi, la prima Orazione delle Lodi e la seconda dei Vespri è del Proprio o del Comune, le altre si prendono dal Salterio. Nell'Ufficio delle ferie del Tempo ordinario, la prima Orazione delle Lodi è di indole mattutina ed esprime l'offerta a Dio della giornata; la seconda Orazione raccoglie dal Salmo diretto i temi per la lode divina; la prima Orazione dei Vespri riassume il senso dei salmi, la seconda Orazione è di indole vespertina, la terza Orazione rende grazie a Dio per il dono del Battesimo e implora la coerenza di tutta la vita con il Battesimo ricevuto.

183. L'Orazione per l'Ora di Terza, Sesta e Nona si prende dal Proprio nelle domeniche, nelle ferie del Tempo di Avvento, Natale, Quaresima e Pasqua, nelle solennità e nelle feste. Negli altri giorni si dicono quelle Orazioni che esprimono il carattere della rispettiva Ora e che sono disposte nel Salterio.

 

XII   L'ACCLAMAZIONE KYRIE ELEISON,
LE INTERCESSIONI
E LA PREGHIERA DEL SIGNORE

a) L'acclamazione Kyrie Eleison

184. L'acclamazione Kyrie eleison era molto cara ai cristiani dei primi secoli e veniva ripetuta molto spesso nella Liturgia Ambrosiana, per supplicare la misericordia di Dio e riconoscere l'umana miseria.
Si conserva la triplice acclamazione Kyrie eleison:
a) all'Ufficio delle letture, al termine della Salmodia e prima del versetto Tu sei benedetto, Signore:
b) alle Lodi mattutine, dopo la ripetizione dell'Antifona del cantico Benedictus e prima della prima Orazione;
c) ai Vespri, dopo la ripetizione dell'Antifona del cantico Magnificat e prima della seconda Orazione;
d) ai Vespri e alle Lodi celebrate col popolo nei riti di congedo dopo il saluto: Il Signore sia con voi.
Si usa l'acclamazione Kyrie eleison per dodici volte nelle Acclamazioni a Cristo Signore dopo l'Inno delle Lodi.
Inoltre si può usare l'acclamazione Kyrie eleison come risposta che il popolo ripete a ciascuna intenzione enunciata nelle Intercessioni, come più avanti si dirà.

b) Le Intercessioni ai Vespri

185. La Liturgia delle Ore celebra senza dubbio le lodi di Dio. Tuttavia la tradizione sia giudaica sia cristiana non separa dalla lode divina la preghiera di domanda; anzi non di rado fa in qualche modo scaturire questa da quella.
L'apostolo Paolo raccomanda «che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità. Questa è una cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro Salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tm 2, 1-4). Questa raccomandazione non di rado è stata interpretata dai Padri nel senso che si dovessero fare mattina e sera delle preghiere di intercessione (così, ad es. San Giovanni Crisostomo, In Epist. ad Tim. I, Homilia 6).

186. Le intercessioni, che nella Messa sono chiamate «preghiera dei fedeli», si fanno anche ai Vespri, in modo tuttavia diverso, come si dirà più sotto.

187. Per motivo di varietà, ma soprattutto per meglio esprimere le molteplici necessità della Chiesa e degli uomini, secondo i diversi stati, categorie, persone, condizioni e tempi, si propongono formule diverse di preci per i singoli giorni del ciclo del Salterio del Tempo ordinario, così pure per i Tempi speciali dell'anno liturgico, e per alcune celebrazioni festive.

188. Poiché la Liturgia delle Ore è principalmente preghiera di tutta la Chiesa per tutta la Chiesa, anzi per la salvezza di tutto il mondo (cfr. Sacrosanctum Concilium nn. 83 e 89), è necessario che nelle Intercessioni le intenzioni universali abbiano senz'altro il primo posto: si preghi cioè per la Chiesa con la sua gerarchia, per le autorità civili, per coloro che sono afflitti da povertà, malattia, dolore, per le necessità del mondo intero, cioè per la pace e per le altre circostanze simili. L'ultima intenzione è sempre per i defunti.

189. È sempre lecito aggiungere alcune intenzioni particolari.

190. Le Intercessioni dell'Ufficio sono strutturate in modo che si possono adattare sia alla celebrazione con il popolo, sia alla celebrazione in una piccola comunità, sia alla recita individuale.

191. Nella recita con il popolo o in comune, le Intercessioni sono introdotte da un breve invito da farsi dal sacerdote o dal ministro per suggerire la risposta invariabile dell'assemblea.

192. Le intenzioni poi si enunciano rivolgendosi direttamente a Dio, in modo che possano servire sia per la celebrazione in comune che per la recita individuale.

193. Ogni formula di intenzione consta di due parti, la seconda delle quali può essere usata come risposta variabile.

194. Si possono quindi seguire modi diversi. Il diacono (o, in sua assenza, il sacerdote o il ministro) dice l'una e l'altra parte e l'assemblea risponde con il ritornello (che può essere, se lo si ritiene opportuno, il Kyrie eleison) o fa una pausa di silenzio, oppure il diacono dice solo la prima parte e l'assemblea la seconda.

c) La preghiera del Signore

195. Secondo la tradizione antica, la preghiera del Signore per la sua dignità tiene il posto di ultima orazione e conclude così molto convenientemente le Lodi vespertine e mattutine.

196. La preghiera del Signore, quindi, si dice solennemente tre volte al giorno, cioè alla Messa, alle Lodi mattutine e ai Vespri.

197. Il Padre nostro si dice da tutti, premettendo, se si crede opportuno, una breve monizione.

 

XIII   IL SACRO SILENZIO

198. Poiché nelle azioni liturgiche generalmente si deve avere cura di «osservare a suo tempo anche il sacro silenzio» (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 30), sia offerta la possibilità del silenzio anche nella celebrazione della Liturgia delle Ore.

199. Per accogliere nei cuori la piena risonanza della voce dello Spirito santo, e per unire più strettamente la preghiera personale con la parola di Dio e con la voce pubblica della Chiesa, di può dunque, secondo l'opportunità e la prudenza, interporre un intervallo di silenzio o dopo i singoli salmi, appena ripetuta l'Antifona, secondo un'antica usanza; oppure dopo le Letture, sia brevi che lunghe, e precisamente prima o dopo il Responsorio.
Alla prima Orazione delle Lodi si fa precedere uno spazio di preghiera silenziosa dopo l'invito Preghiamo, prima di proclamare l'Orazione a voce alta (cfr. n. 52).
Si deve però evitare di introdurre momenti di silenzio che deformino la struttura dell'Ufficio, o rechino molestia o fastidio ai partecipanti.

200. Nella recita individuale, invece, c'è più ampia possibilità di fermarsi nella meditazione di qualche formula che stimoli gli affetti dello spirito, senza che l'Ufficio perda per questo la sua caratteristica di preghiera pubblica.

 

 

CAPITOLO IV

LE VARIE CELEBRAZIONI
NEL CORSO DELL'ANNO

I   LA CELEBRAZIONE DEI MISTERI DEL SIGNORE

a) La domenica

201. L'Ufficio della domenica incomincia dai primi Vespri e comprende i secondi Vespri. In questo Ufficio tutte le parti si prendono dal Salterio, eccetto quelle assegnate come proprie. Si ha una Salmodia propria la domenica Sesta di Avvento, la domenica durante l'Ottava di Natale e la domenica Sesta di Quaresima, detta delle Palme o della Passione del Signore.
Al termine dell'Ufficio delle letture, fuori del Tempo di Avvento e di Quaresima, si dice il Te Deum.

202. È quanto mai opportuno che, dove è possibile, si celebrino con il popolo almeno i Vespri, secondo una antichissima consuetudine (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 100).

b) Il Triduo pasquale

203. Nel Triduo pasquale, l'Ufficio si celebra come è descritto nel Proprio del Tempo.

204. La Messa del Giovedì santo «in Cena Domini» viene celebrata «inter Vesperas»; coloro che non partecipano alla Messa vespertina, devono dire i Vespri nel modo descritto nel Libro della Liturgia Ambrosiana delle Ore.

205. Al venerdì «in Passione Domini» e al Sabato santo, prima delle Lodi mattutine si faccia, per quanto è possibile, la celebrazione in modo pubblico e con il popolo, dell'Ufficio delle letture. Coloro che non partecipano alla celebrazione pubblica pomeridiana, recitino i Vespri nel modo descritto nel Libro della Liturgia delle Ore.

206. La Veglia pasquale ambrosiana tiene il posto sia dei Vespri, il cui Lucernario è costituito dal Preconio pasquale, sia dell'Ufficio delle letture.

207. Perciò i Vespri e la Compieta del Sabato santo vengono recitati soltanto da coloro che non prendono parte alla Veglia pasquale. Costoro, al posto dell'Ufficio delle letture di Pasqua, leggano almeno quattro letture della Veglia stessa, con i canti e le orazioni, e dicano poi l'inno Te Deum e l'Orazione del giorno.

208. Le Lodi della Domenica di Risurrezione si dicono da tutti. Conviene che i Vespri siano celebrati nel modo più solenne, per festeggiare il tramonto di un giorno così sacro e per commemorare le apparizioni nelle quali il Signore si mostrò ai suoi discepoli.
Nelle chiese parrocchiali durante questi Vespri, secondo l'opportunità, venga compiuta la processione al Fonte al momento della Commemorazione battesimale (circa la stazione al battistero, cfr. sopra n. 45).

c) Il Tempo pasquale

209. La Liturgia delle Ore riceve il carattere pasquale dall'acclamazione Alleluia, con la quale si conclude la maggior parte delle antifone, dalle preci speciali, e infine dalle letture proprie assegnate alle rispettive Ore.

210. Nei primi Vespri della domenica di Pentecoste, dopo l'inno e il responsorio, si leggono in coro quattro letture coi propri salmelli e le proprie orazioni.
È lodevole che questo si faccia anche fuori dalla celebrazione corale.
Si canta poi la Messa della Vigilia, cominciando dalla seconda lettura e proseguendo fino alla Comunione inclusa. Dopo la Comunione, omessi i salmi con la loro antifona e le orazioni, si dice il Magnificat con la sua antifona. Poi, omessa la Commemorazione battesimale, si dice l'Orazione dopo la Comunione e si congeda l'assemblea.
Se non si dice la Messa della Vigilia, dopo le quattro letture i Vespri proseguono dalla Salmodia.

d) La Quaresima

211. A partire dai primi vespri della domenica «in capite Quadragesimae» (dopo il Responsorio «in choro») e sino alla Veglia pasquale non si dice l'Alleluia.
Nei venerdì di ciascuna settimana di Quaresima, ai Vespri, dopo l'Inno e prima della Salmodia si leggono in coro due letture coi propri salmelli e le proprie orazioni; è buona cosa che tale lettura si faccia anche fuori dalla celebrazioni corale. Si omette il Cantico evangelico Magnificat.

212. In tutta la Settimana santa si celebra l'Ufficio come è indicato nel Proprio del Tempo.

e) Il Natale del Signore
    e il Tempo natalizio

213. Per i primi Vespri del Natale ci si attiene a quanto è stato indicato per i primi Vespri della domenica di Pentecoste (cfr. sopra n. 210).

214. Nella notte di Natale, prima della Messa conviene che si celebri in forma solenne l'Ufficio delle letture. Esso, se lo si ritiene opportuno, può essere compiuto in forma più breve; tuttavia se ne raccomanda vivamente la celebrazione completa secondo la tradizione ambrosiana, come è indicato a suo luogo.

215. Le Lodi nel giorno di Natale si dicono di norma prima della Messa «in aurora».

216. Le feste che accompagnano il Natale del Signore, la domenica e gli altri giorni dell'Ottava, e la solennità dell'Epifania del Signore, si celebrano nel modo descritto nel Proprio. È bene che l'Ufficio delle letture venga eseguito integralmente, pur dando la facoltà di recitarlo, secondo l'opportunità, in forma più breve.
Per i primi Vespri dell'Epifania ci si attiene a quanto è stato indicato per i primi Vespri della domenica di Pentecoste (cfr. sopra n. 210). Secondo l'opportunità è possibile recitare l'Ufficio delle letture nella forma più breve; tuttavia si raccomanda vivamente che venga integralmente protratto secondo la tradizione ambrosiana, come è indicato a suo luogo.

f) Il Tempo do Avvento

217. Le ferie di Avvento, fino al 16 dicembre incluso, si celebrano nello stesso modo delle ferie comuni, usando tuttavia gli inni, le letture lunghe e brevi, i responsori, e le preci proprie di questo tempo.
Invece le ferie dal 17 al 24 dicembre, chiamate prenatalizie («de esceptato»), hanno l'Ufficio proprio, come è indicato a suo luogo.

g) Le altre solennità
    e le feste del Signore

218. Per ordinare l'Ufficio nelle altre solennità e feste del Signore, si osservino, con le debiti varianti, le norme già riportate ai nn. 136 e 157. Al termine dell'Ufficio delle letture si dice il Te Deum.

 

II   LA CELEBRAZIONE DEI SANTI

219. Le celebrazioni dei Santi sono disposte in modo che non prevalgano sui giorni festivi e sui Tempi sacri che commemorano i misteri della salvezza (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 111), né impediscano spesso il ciclo della Salmodia e della lettura della parola di Dio i causino ripetizioni indebite. Salvo tale criterio, il culto dei Santi viene promosso nella maniera più consona alla sua importanza.
Su questi principi si basano sia la riforma del Calendario fatta per disposizione del Concilio Vaticano II, sia l'insieme delle norme che regolano la celebrazione dei Santi nella Liturgia delle Ore, descritte nei numeri seguenti.

220. Le celebrazioni dei Santi sono o solennità o feste o memorie.

221. Le memorie sono alcune obbligatorie, altre facoltative. Per stabilire se convenga o no celebrare una memoria facoltativa nell'Ufficio con il popolo o in comune, si tenga conto del bene comune e di una vera devozione dell'assemblea stessa e non del solo presidente.

222. Se nel medesimo giorno occorrono diverse memorie facoltative, se ne celebra una sola, omettendo le altre.

223. Le solennità, ed esse soltanto, si trasferiscono, a norma delle rubriche.

224. I rispettivi Comuni dei Santi suppliscono le parti proprie, che eventualmente mancassero.

1) Modo di ordinare l'Ufficio nelle solennità

225. Le solennità hanno i primi Vespri nel giorno precedente e i secondi Vespri nel giorno proprio.

226. Tanto nei primi Vespri che nei secondi, il lucernario, l'inno, il responsorio, le antifone, i salmi, le orazioni, le sallende sono propri; in mancanza di parti proprie si ricorre al Comune.
Ai primi Vespri, dopo l'inno e il responsorio si dà notizia del Santo. Inoltre, se c'è l'altare del Santo, o se ci sono le reliquie del Santo, si fa la processione all'altare del Santo, secondo quanto stabilito al n. 45.

227. Nelle Lodi mattutine, le antifone, le orazioni, il cantico, i salmi e l'inno, sono propri; in mancanza di parti proprie si ricorre al Comune.

228. Nell'Ufficio delle letture, si dicono tre cantici; tutte le parti sono proprie: l'inno, le antifone e i cantici, le letture e il responsorio dopo la lettura. La prima lettura è biblica, la seconda agiografica. Se si tratta di un Santo che ha solo un culto locale, e non ha parti speciali neppure nell'Appendice del Libro della Liturgia delle Ore, si prende tutto da Comune.
Al termine dell'Ufficio delle letture si dice l'inno Te Deum e, qualora non seguano subito le Lodi mattutine, l'Orazione propria.

229. All'Ora durante la giornata, cioè Terza, Sesta e Nona, si dice l'Inno indicato nell'Ordinario; si usa la salmodia complementare, preferibilmente il salmo 118, con l'antifona propria. La lettura breve, il Responsorio e l'Orazione conclusiva sono propri.

230. A Compieta, tutto è della domenica, rispettivamente dopo i primi e dopo i secondi Vespri.

2) Modo di ordinare l'Ufficio nelle feste

231. Le feste, al pari delle solennità, hanno tanto i primi quanto i secondi Vespri. Ai vespri e alle Lodi si fa tutto come nelle solennità. All'Ufficio delle letture, i salmi, i cantici, la lettura biblica, se non sono propri, si prendono dal Comune (cfr. più sopra n. 67). Si aggiunge il Te Deum.

232. All'Ora durante la giornata, cioè Terza, Sesta e Nona, si dice l'Inno indicato nell'Ordinario; i salmi con le loro Antifone si dicono dalla feria, a meno che nel Proprio sia indicato altrimenti. La Lettura breve, il Responsorio e l'Orazione conclusiva sono propri.

233. Compieta si dice come nei giorni ordinari.

3) Modo di ordinare l'Ufficio nelle memorie dei Santi

234. Le memorie hanno solo i primi Vespri. Tra la memoria obbligatoria e la memoria facoltativa, se questa effettivamente si celebra, non c'è alcuna differenza nel modo di ordinare l'Ufficio. Ai primi Vespri, prima della Salmodia si dà notizia del Santo.

235. Ai Vespri, nell'Ufficio delle letture e alle lodi mattutine:
a) i salmi e i cantici con le loro antifone e la Commemorazione del Battesimo si prendono dalla feria corrente, a meno che non vi siano antifone proprie o salmi propri, che, nel caso, vengono indicati nei singoli luoghi;
b) il Lucernario, l'Inno, le Antifone al Magnificat e al Benedictus, le Acclamazioni e le Intercessioni, se sono propri, si devono dire del Santo, altrimenti si prendono o dal Comune o dalla feria corrente;
c) l'Orazione conclusiva dell'Ufficio delle letture, la prima Orazione delle Lodi mattutine e la seconda Orazione dei Vespri sono del Santo, le altre della feria corrente;
d) nell'Ufficio delle letture, la lettura biblica con il suo responsorio è della Scrittura ricorrente; la seconda lettura è agiografica propria; se non è propria, si prende dai testi dei Padri del giorno corrente. Non si dice il Te Deum; si può dire laudabiliter la Laus angelorum magna.

236. Nell'Ora durante la giornata, cioè Terza, Sesta e Nona, e a Compieta, non si fa nulla del Santo, ma tutto della feria.

4) Modo di ordinare l'Ufficio quando
     la celebrazione dei Santi è solennità solo locale

237. Quando in un luogo la celebrazione dei Santi è solennità, si prende tutto dal Comune, a meno che non vi siano parti proprie.

 

III   CALENDARIO DA USARE
E FACOLTÀ DI SCEGLIERE QUALCHE UFFICIO
O QUALCHE SUA PARTE

a) Calendario da usare

238. L'Ufficio in coro e in comune si deve celebrare secondo il calendario proprio, cioè della diocesi, o della famiglia religiosa, o delle singole chiese (cfr. Norme generali per l'ordinamento dell'anno liturgico e del calendario, n. 47). I membri delle famiglie religiose si uniscono con la comunità della chiesa locale nel celebrare la Dedicazione della chiesa cattedrale e i Patroni principali della circoscrizione minore e maggiore ove risiedono (cfr. ibid., n. 50 a.). Tuttavia nella celebrazione col popolo è da preferirsi il calendario del luogo.
Ogni chierico o religioso, obbligato per qualsiasi titolo all'Ufficio divino e che partecipa all'Ufficio celebrato in comune secondo un calendario o un rito diverso dal suo, soddisfa in questo modo al suo obbligo per quanto riguarda quella parte dell'Ufficio.

239. Nella celebrazione individuale si può seguire o il calendario del luogo o il calendario proprio, eccetto nelle solennità e nelle feste proprie (cfr. Tabella dei giorni liturgici, nn. 5 e 9).

b) Facoltà di scegliere qualche Ufficio

240. Nelle ferie che ammettono la celebrazione di una memoria facoltativa, per giusta causa si può celebrare con il medesimo rito (cfr. sopra nn. 234-236) l'Ufficio di qualche santo iscritto in quel giorno nel Martirologio o nella sua Appendice debitamente approvata.

241. Fuori delle solennità, delle domeniche di Avvento, di Quaresima e di Pasqua, delle ferie prenatalizie, delle ferie di Quaresima, della Settimana santa, dell'Ottava di Pasqua e del 2 novembre, per causa pubblica o per devozione si può celebrare, in tutto o in parte, un Ufficio votivo: ciò può avvenire, per esempio, a motivo di un pellegrinaggio, di una festa locale.
Nelle domeniche del Tempo Ordinario, nelle medesime circostanze, si possono celebrare soltanto le Ufficiature del Signore.

c) Facoltà di scegliere alcuni formulari

242. In alcuni casi particolari, si possono scegliere nell'Ufficio formulari diversi da quelli occorrenti, purché resti integro l'ordinamento generale di ciascuna Ora e si osservino le regole che seguono.

243. Nell'Ufficio delle domeniche, delle solennità, delle feste del Signore, delle ferie di Quaresima e della Settimana santa, dei giorni fra l'ottava di Pasqua e di Natale e inoltre nelle ferie prenatalizie non si possono mai cambiare quei formulari che sono propri o appropriati a questa celebrazione; tali sono i lucernari, le antifone, gli inni, le letture, i responsori, le orazioni e, molto spesso, anche i salmi.
Ai salmi e ai cantici domenicali della settimana corrente, si possono sostituire, se lo si ritiene opportuno, i salmi domenicali e i cantici di un'altra settimana, anzi, se si tratta di un Ufficio con il popolo, anche altri, scelti allo scopo di guidare gradualmente il popolo alla comprensione dei salmi.

244. Nell'Ufficio delle letture dev'essere sempre tenuta in onore la lettura corrente della sacra Scrittura. Vale anche per l'Ufficio il desiderio della Chiesa «che in un determinato numero di anni, si leggano al popolo le parti più importanti delle sacre Scritture» (Sacrosanctum Concilium n. 51). Tenuti presenti questi principi, nei Tempi di Avvento, Natale, Quaresima e Pasqua non venga omesso il ciclo delle letture della Scrittura, che viene proposto per l'Ufficio delle letture.
Durante il Tempo ordinario, invece, si possono scegliere in qualche giorno o per alcuni giorni continui, per giusta causa, le letture fra quelle che sono assegnate ad altri giorni o anche fra altre letture bibliche, per esempio, quando si fanno gli esercizi spirituali o convegni pastorali o preghiere per l'unità della Chiesa, o altre circostanze simili

245. Se talvolta la lettura continua viene interrotta per qualche solennità, o festa, o per una celebrazione particolare, si potrà, nella medesima settimana e tenendo presente l'ordinamento di tutta la settimana, o unire le parti che sono state omesse, con altre, oppure stabilire quali brani siano da preferire ad altri.

246. Nel medesimo Ufficio delle letture, alla seconda lettura assegnata ad un determinato giorno, si può sostituire, per un giusto motivo, un altro brano del medesimo Tempo, desunto dal Libro della Liturgia delle Ore o dal Lezionario facoltativo.
Inoltre nei giorni feriali del Tempo ordinario, si può fare una lettura quasi continua di un'opera di qualche Padre, che risponda allo spirito biblico e liturgico.

247. Le letture brevi, come pure le orazioni, i canti e le preci che sono proposti per le ferie di un tempo particolare, si possono dire in altre ferie del medesimo tempo, tranne i casi indicati sopra al n. 243.

248. Sebbene a ognuno debba stare a cuore l'osservanza di tutto il ciclo del Salterio distribuito per quattro settimane (cfr. sopra nn. 101-110), tuttavia per motivi di opportunità sia spirituale che pastorale, invece dei salmi assegnati a un dato giorno, si possono dire i salmi della stessa Ora assegnati a un altro giorno. Vi sono anche alcune circostanze occasionali, nelle quali è lecito scegliere i salmi adatti e altre parti in forma di Ufficio votivo.

 

 

CAPITOLO V

RITI DA OSSERVARE
NELLA CELEBRAZIONE IN COMUNE

I   VARI UFFICI DA COMPIERE

249. Nella celebrazione della Liturgia delle Ore, come in tutte le altre azioni liturgiche, «ciascuno, ministro o fedele, svolgendo il proprio ufficio, compia tutto e soltanto ciò che, secondo la natura del rito e le norme liturgiche, è di sua competenza» (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 28).

250. Se presiede l'Arcivescovo, specialmente nella Chiesa metropolitana, sia circondato dal suo presbiterio e dai ministri con la partecipazione plenaria e attiva del popolo. Quando, nella stessa Chiesa metropolitana, presiede in forma solenne ai Vespri, indossa la pianeta, come nella Messa (cfr. Beroldus, ed. Magistretti, p. 80. La mente della Costituzione Conciliare è che per tutta l'azione liturgica si usino gli stessi paramenti).

251. In ogni celebrazione con il popolo, di norma, presieda il sacerdote o il diacono, e vi siano anche i ministri.
Il sacerdote o il diacono che presiede la celebrazione, sopra il camice o la cotta indossa la stola e, secondo l'opportunità, anche il piviale.

252. È compito del sacerdote o diacono che presiede dare inizio, dalla sua sede, all'Ufficio, nei Vespri con il saluto al popolo, nelle altre Ore con il versetto di introduzione; all'Ufficio delle letture dire il versetto Tu sei benedetto, Signore e dare la benedizione ai lettori; recitare tutte le orazioni; ai Vespri introdurre le preci con una monizione; incominciare la preghiera del Signore; salutare il popolo, benedirlo e congedarlo.

253. Proclama le Acclamazioni di Lodi e le Intercessioni di Vespri il diacono, oppure, in sua assenza, il sacerdote o un ministro.

254. In mancanza del sacerdote o del diacono, colui che presiede l'Ufficio è soltanto uno tra uguali; non entra in presbiterio, non saluta, né benedice il popolo.

255. Coloro che adempiono l'ufficio di lettore, proclamano le letture, sia lunghe sia brevi, stando in piedi e nel luogo adatto. Prima delle letture lunghe, se presiede il sacerdote o il diacono, il lettore, inchinato, chiede la benedizione.

256. Al Rito della luce, il sacerdote presidente o il diacono accende i candelieri che i ministri gli presentano, mentre si canta il versetto di risposta del lucernario; poi i ministri dispongono i candelieri vicino o sopra l'altare e accendono gli altri ceri e le lampade della chiesa. Quindi il celebrante, ricevuto il turibolo, incensa l'altare (cfr. Beroldus cit., pp. 64-65. I candelieri non vengano tolti dall'altare prima della fine dei Vespri. Inoltre sembra meglio procedere all'incensazione dell'altare durante il rito della luce e non dopo l'inno e il responsorio). L'incensazione può essere ripetuta anche al Magnificat.
Quando, nella solenne celebrazione delle Lodi, si canta l'Antifona «ad crucem», tre accoliti portano la croce e due candelieri accesi in mezzo al coro, i cantori si dispongono in forma di corona intorno alla croce e al sacerdote, che, guardando la croce, al termine dell'antifona recita l'orazione.

257. L'intonazione delle antifone, dei salmi, dei cantici e degli altri canti venga fatta da un cantore o dai cantori. Per quanto riguarda la Salmodia, si osservino le norme date sopra, ai nn. 122-126.
L'antifona detta «duplex» nei testi liturgici venga recitata o cantata a cori alterni; precisamente, la prima parte (fino al V) dal primo coro, la seconda (dopo il V) dall'altro.

258. L'obbligo del coro riguarda la comunità, non il luogo della celebrazione, che non è necessariamente la chiesa, soprattutto se si tratta di quelle Ore che si celebrano senza solennità.

259. Tutti i partecipanti stanno in piedi:
a) mentre ai Vespri il celebrante saluta il popolo e si compie il Rito della luce;
b) ai versetti d'introduzione di ogni altra Ora:
c) mentre si recita l'Antifona «ad crucem», il Salmo diretto e l'Inno;
d) alle Orazioni;
e) alla Commemorazione del Battesimo o alla Lode dei Santi durante i Vespri;
f) al Cantico evangelico;
g) mentre si dicono le Acclamazioni a Cristo Signore e le Intercessioni, la Preghiera del Signore e al Congedo.

260. Tutti ascoltano le letture stando seduti, fatta eccezione per il Vangelo. Si ascolta seduti anche la Notizia del Santo.

261. Mentre si dicono i responsori, gli altri salmi e gli altri cantici con le loro antifone, l'assemblea sta solitamente seduta.

262. All'inizio delle Ore, quando si dice: O Dio, vieni a salvarmi, tutti si segnano con il segno della croce dalla fronte al petto e dalla spalla sinistra alla destra.

 

II   IL CANTO NELL'UFFICIO

263. Nelle rubriche e nelle norme del presente documento, le espressioni «dire», «recitare» e simili, si possono riferire o al canto o al parlato, secondo i principi qui sotto indicati.

264. «La celebrazione in canto dell'Ufficio divino è la forma più consona alla natura di questa preghiera ed è segno di una maggiore solennità e di una più profonda unione dei cuori nel celebrare la lode di Dio,
Questa forma è vivamente raccomandata a coloro che celebrano l'Ufficio divino in coro o in comune» (Istruzione, Musicam sacram, n. 37: AAS 59 p. 310; cfr. Sacrosanctum Concilium n. 99).

265. Quello che il Concilio Vaticano II afferma riguardo al canto liturgico (cfr. Sacrosanctum Concilium n. 113) vale per ogni azione liturgica, ma principalmente per la Liturgia delle Ore.
Sebbene infatti tutte e singole le parti siano state rinnovate in modo che si possano recitare con frutto anche individualmente, tuttavia molte di esse, e specialmente i salmi, i cantici, gli inni, i responsori, sono di genere lirico e perciò non esprimono pienamente il loro senso se non con il canto.

266. Nella celebrazione della Liturgia delle Ore il canto, dunque, non si deve considerare come un certo ornamento che si aggiunge alla preghiera quasi dall'esterno, ma piuttosto come qualcosa che scaturisce dal profondo dell'anima che prega e loda Dio, e manifesta in modo pieno e perfetto il carattere comunitario del culto cristiano.
Sono quindi degne di lode le assemblee cristiane di qualsiasi genere che si sforzano di praticare il più spesso possibile questa forma di preghiera. A questo scopo si devono istruire con la dovuta catechesi e con l'esercizio sia i chierici sia i religiosi come pure i fedeli, affinché siano in grado di cantare con gaudio dello spirito le Ore, specialmente nei giorni festivi.
Siccome però non è facile celebrare in canto l'intero Ufficio e d'altra parte la lode della Chiesa non è riservata, né per la sua origine, né per la sua natura, ai chierici o ai monaci, ma appartiene a tutta la comunità cristiana, si devono tener presenti simultaneamente diversi principi, perché la celebrazione in canto della Liturgia delle Ore si possa svolgere bene e splenda per autenticità e decoro.

267. Prima di tutto conviene che si ricorra al canto almeno nelle domeniche e nelle feste, ponendo così in risalto, nella misura in cui si adotta, i vari gradi di solennità.

268. Così pure, poiché non tutte le Ore sono della medesima importanza, conviene che anche mediante il canto si dia maggior rilievo a quelle che sono veramente i cardini dell'Ufficio, cioè le Lodi mattutine e i Vespri.

269. Inoltre, anche se la celebrazione tutta in canto è la più raccomandabile sempre, purché naturalmente si distingua per arte e devozione, tuttavia in vari casi si potrà seguire utilmente il criterio della gradualità, anzitutto, come è ovvio, per motivi pratici, ma poi perché anche in questa maniera sarà più facile corredare le singole componenti di quelle forme di canto che garantiscano il loro genuino significato nativo e la loro funzione specifica.
Il principio della solennizzazione progressiva è quello che ammette vari gradi intermedi tra l'Ufficio cantato integralmente e la semplice recita di tutte le parti.
Questo criterio offre una grande e gradevole varietà di soluzioni. Nell'applicarlo si deve tener conto delle caratteristiche del giorno e dell'Ora che si celebra, della natura dei singoli elementi che costituiscono l'Ufficio, delle proporzioni e del tipo della comunità, come pure del momento dei cantori disponibili in tali circostanze.
Per questa maggiore varietà di forme, la lode pubblica della Chiesa si potrà celebrare in canto più frequentemente che prima, e godrà di un'adattabilità più estesa alle diverse circostanze. Anzi c'è da sperare davvero che si possano sempre trovare nuove vie e nuove maniere rispondenti alla nostra epoca, come del resto è sempre avvenuto anche in passato nella vita della Chiesa.

270. Nelle azioni liturgiche che si celebrano in canto e in lingua latina, abbiano, a parità di condizioni, il primo posto le melodie della Chiesa Ambrosiana, restaurate seguendo fedelmente gli antichi codici. Se manca la melodia per qualche antifona proposta nel Libro della Liturgia delle Ore, se ne comporrà una nuova adatta all'antifona secondo la melodia «tipo». Tuttavia «la Chiesa non esclude dalle azioni liturgiche nessun genere di musica sacra, purché corrisponda allo spirito dell'azione liturgica e alla natura delle singole parti e non impedisca una doverosa attiva partecipazione del popolo» (Musicam sacram, n. 9: AAS 59 p.303;  Sacrosanctum Concilium n. 116).

271. Poiché la Liturgia delle Ore si può celebrare in lingua moderna, «si ponga uno speciale impegno nel preparare le melodie da usarsi nel canto dell'Ufficio divino in lingua viva»  (Musicam sacram, n. 41; cfr. nn. 54-61: AAS 59 p. 315).

272. Nulla vieta, però, che in una medesima celebrazione si cantino alcune parti in una lingua e altre in un'altra (ibid., n. 51: AAS 59 p. 315).

273. Quali siano le parti alle quali dare eventualmente la precedenza e la preferenza del canto si deduce dalle genuine esigenze della celebrazione liturgica, che vuole il pieno rispetto del significato e della natura di ciascuna componente e del canto medesimo. Vi sono, infatti, formule che richiedono il canto per la loro stessa natura (cfr. ibid., n. 6: p. 302).
Tali sono prima di tutto le acclamazioni, le risposte ai saluti del sacerdote e dei ministri e le risposte alle preci litaniche, e inoltre le antifone e i salmi, come pure i versetti intercalari o ritornelli, gli inni e i cantici (cfr. ibid. n. 16a, 38: pp. 305-311).

274. È risaputo che i salmi (cfr. sopra nn. 101-121) sono strettamente connessi con la musica; lo dimostra la tradizione sia giudaica che cristiana. In verità alla piena comprensione di molti salmi contribuisce non poco il fatto che essi vengano cantati o almeno siano sempre considerati in questa luce poetica e musicale. Pertanto, se è possibile, è da preferirsi questa forma, almeno nei giorni e nelle Ore principali, e secondo il carattere proprio dei salmi.

275. I diversi modi di eseguire la Salmodia sono descritti sopra, ai nn. 122-126. La loro varietà non deve essere dettata tanto da circostanze esterne, quanto piuttosto dal diverso genere di quei salmi che ricorrono nella medesima celebrazione. Secondo questo criterio i salmi sapienziali e storici si prestano forse meglio ad essere ascoltati, mentre, al contrario, quelli di lode e di rendimento di grazie, comportano per sé il canto in comune.
Quel che conta più di tutto è che la celebrazione non si leghi a schemi rigidi e artificiosi, non obbedisca solo a norme puramente formali, ma risponda allo spirito autentico dell'azione che si compie.
Il primo scopo da raggiungere è infatti quello di formare gli animi all'amore per la preghiera genuina della Chiesa e di rendere gioiosa la celebrazione della lode di Dio (cfr. Sal 146).

276. Gli Inni possono alimentare la preghiera anche di chi recita le Ore, se davvero si distinguono per dottrina e arte; tuttavia per sé, e anche secondo la mente di S. Ambrogio, sono destinati al canto. Pertanto si raccomanda che nella celebrazione comunitaria siano eseguiti, per quanto è possibile, in questa forma.

277. Il Lucernario, che viene detto a modo di responsorio, di per sé è destinato al canto, e precisamente al canto del popolo. È auspicabile che esso sia corredato da melodie tali, per cui più facilmente possa essere cantato dai fedeli; per questo nelle chiese parrocchiali, secondo l'opportunità pastorale, sarà lecito scegliere, in tutti i giorni di domenica e nelle feste, il lucernario Quoniam tu illuminas, e nei giorni feriali Dominus illuminatio mea.

278. Anche il Responsorio breve dopo la Lettura breve di per sé è destinato al canto del popolo. Il Responsorio dopo la prima lettura a Mattutino e i salmelli che nei Vespri seguono le letture di cui sopra al n. 48, per il loro carattere e la loro funzione richiedono il canto. Perciò è molto auspicabile che, qualora debbano essere detti in lingua viva, siano eseguiti in forma melodica. Se vengono detti in lingua latina, talora sarà bene eseguirli con melodie più semplici e più facili.
Tuttavia nella struttura dell'Ufficio, sono stati composti in modo da mantenere il loro valore anche nella recita individuale e privata.

279. Le letture, sia lunghe che brevi, per sé non sono destinate al canto. Nella proclamazione si deve usare ogni impegno per eseguirle in una forma decorosa, con una pronunzia chiara e distinta e insomma per fare in modo che tutti possano ascoltarle e comprenderle bene.
Di conseguenza l'unica forma accettabile per le letture è quella che facilita l'ascolto delle parole e la comprensione del testo.

280. I testi assegnati a chi presiede, come sono le orazioni, non escludono un certo tono cantato, purché ovviamente sia confacente e decoroso. Ciò sarà possibile specialmente nella lingua latina.

 

 

TABELLA DEI GIORNI LITURGICI
DISPOSTI SECONDO L'ORDINE DI PRECEDENZA


La precedenza tra i giorni liturgici, in quanto alla loro celebrazione, è regolata unicamente dalla seguente tabella.
Se nello stesso giorno cadono più celebrazioni, si fa quella che, nell'elenco dei giorni liturgici, occupa il posto superiore, salvo il principio enunciato al n. 4 *. Tuttavia una solennità impedita da un giorno liturgico che ha la precedenza su di essa, si trasferisce al primo giorno libero da una delle ricorrenze elencate nella tabella delle precedenze ai numeri 1-10 tenuto presente quanto è descritto al n. 4 delle «Norme» *. Le altre celebrazioni per quell'anno si omettono.
Se nello stesso giorno venissero a coincidere i Vespri dell'Ufficio corrente e i primi Vespri del giorno seguente, prevalgono i Vespri della celebrazione che nella tabella delle precedenze è posta per prima; in caso di parità, prevalgono i Vespri del giorno seguente. Tuttavia i secondi Vespri delle solennità e delle feste del Signore prevalgono sempre sui Vespri della beata Vergine e dei Santi.


* Dalle «Norme Generali sull'anno liturgico e sul calendario»:

4   Per la sua particolare importanza la domenica cede la sua celebrazione soltanto alle solennità e alle feste del Signore. Le solennità dei Santi, che cadono in domenica, si anticipano di norma al sabato. La domenica tuttavia cede la sua celebrazione alle feste dei santi Stefano, Giovanni e Innocenti, la cui liturgia presenta ancora aspetti del mistero natalizio. Le domeniche di Avvento, di Quaresima e di Pasqua hanno sempre la precedenza anche sulle feste del Signore e su tutte le solennità. Le solennità che coincidono con queste domeniche, si anticipano al sabato, purché non sia il Sabato «in traditione symboli». Le feste e le memorie del Signore che cadono in queste domeniche in quell'anno non vengono celebrate. Tuttavia per l'Ascensione cfr. n. 6; per le feste tra l'ottava di Natale cfr. n. 33.

6   Nei luoghi dove la solennità dell'Epifania, dell'Ascensione e del Corpus Domini non sono di precetto, saranno trasportate alla domenica come a giorno proprio, in questo modo:
a) l'Epifania, alla domenica tra il 2 e l'8 gennaio;
b) l'Ascensione, alla domenica VII di Pasqua;
c) la solennità del Corpus Domini, alla domenica dopo la ss.ma Trinità.

33   L'ottava del Natale è così ordinata:
a) il 26 dicembre, è la festa di santo Stefano protomartire;
b) il 27 dicembre, si celebra la festa di san Giovanni apostolo ed evangelista;
c) il 28 dicembre, si celebra la festa dei santi Innocenti;
Queste feste, di cui alle lettere a), b), c), avendo un'officiatura mista, prevalgono sulla stessa domenica.
d) i giorni 29, 30, 31 sono giorni fra l'ottava e cedono alla domenica fra l'ottava di Natale.
e) il giorno 1 gennaio si celebra l'ottava del Natale.


 

I

1. Triduo pasquale della Passione e della Risurrezione del Signore.

2. Natale del Signore, Epifania, Ascensione, Pentecoste.
Domeniche di Avvento, Quaresima e Pasqua.
Sabato «in traditione symboli».
Ferie della Settimana santa, dal lunedì al giovedì.
Giorni dell'ottava di Pasqua.

3. Solennità e feste del Signore, elencate nel Calendario comune.
Commemorazione di tutti i fedeli defunti.

4. Solennità della beata vergine Maria e dei Santi, elencate nel Calendario comune. Tuttavia esse cedono sempre alla domenica, secondo quando è disposto al n. 4 *, salvo quanto è stabilito per i giorni dal 26 al 28 dicembre (cfr. n. 33 *).

5. Solennità proprie, cioè:
a) Solennità del Patrono principale del Rito, cioè di sant'Ambrogio.
b) Solennità del Patrono principale del luogo o della città.
c) Solennità della Dedicazione e dell'anniversario della Dedicazione della propria chiesa, che è considerata Solennità del Signore.
d) Solennità del Titolo della propria chiesa.
e) Solennità del Titolo o del Fondatore o del Patrono principale dell'Ordine o della Congregazione.

 

II

6. Feste del Signore, elencate nel Calendario comune.

7. Domeniche del Tempo di Natale e domeniche «per annum».

8. Feste della beata vergine Maria e dei Santi del Calendario comune.

9. Feste proprie, cioè:
a) Festa del Patrono principale della diocesi.
b) Festa dell'anniversario della Dedicazione della chiesa cattedrale.
c) Festa del Patrono principale della regione o della provincia, della nazione, di un territorio più ampio.
d) Festa del Titolo, del Fondatore, del Patrono principale di un Ordine o di una Congregazione e della provincia religiosa, salvo quanto stabilito al n. 4 *.
e) Altre feste proprie di qualche chiesa.
f) Altre feste elencate nel Calendario di ogni diocesi, Ordine o Congregazione.

10. Ferie «prenatalizie» dal 17 al 24 dicembre.
Giorni dell'ottava di Natale.
Ferie di Quaresima.

 

III

11. Memorie obbligatorie del Calendario comune.

12. Memorie obbligatorie proprie, cioè:
a) Memorie del Patrono secondario del luogo, della diocesi, della regione o della provincia, della nazione, di un territorio più ampio; dell'Ordine, della Congregazione e provincia religiosa.
b) Altre memorie obbligatorie, proprie delle singole chiese.
c) Altre memorie obbligatorie elencate nel Calendario di ogni diocesi, Ordine o Congregazione.

13. Memorie «ad libitum», che sono escluse nei giorni elencati al n. 10.

14. Ferie d'Avvento fino al 16 dicembre compreso.
Ferie del Tempo di Natale dal 2 gennaio al sabato dopo l'Epifania.
Ferie del Tempo pasquale dal lunedì dopo l'ottava di Pasqua al sabato prima della domenica di Pentecoste compreso.
Ferie «pe annum».