Anche oggi, giovedì della seconda settimana di Avvento, il Signore ci rivolge delle parole che ci scuotono, sembrano non incoraggiarci, ma c'è presente e c'è futuro nella misura in cui abbiamo la capacità di fare verità dentro ciascuno di noi.

La prima lettura, tratta dal profeta Geremia, è un appello di questo Dio a entrare nel vissuto della nostra vita, personale e di comunità. C'è una denuncia ben precisa per un popolo che si è allontanato da Dio, un popolo che ha coinvolto tutte le generazioni, e le cose non vanno - sembra dire il Signore - perché vi siete allontanati da me.

Dietro a questi energici inviti il profeta ode come in un dramma una prima risposta: il lamento e il pianto di Israele per il grave peccato che ha commesso, dimenticandosi del suo Dio. L'invito allora viene caldamente ripetuto e il veggente ci fa assistere alla soluzione del dramma: Israele confessa a voce alta la sua colpa, riconosce che il Signore è il suo vero Dio, mentre gli idoli non sono che menzogne. Nel Signore sta la sua salvezza, mentre le divinità pagane hanno consumato inutilmente i suoi beni e i suoi figli. Ora è profondamente umiliato e confuso al cospetto del suo vero Signore a cui si è ribellato. Questi erano la meta e lo scopo di tutta la missione profetica.

Attraverso la seconda lettura, tratta dal profeta Zaccaria, constatiamo che il Signore non si è dimenticato del suo popolo, lo ha ricondotto in patria e ora gli prepara la piena liberazione e una più florida rinascita. Le parole sono estremamente espressive: «Rallegrati, esulta, figlia di Sion, perché ecco, io vengo ad abitare in mezzo a te. Oracolo del Signore. Nazioni numerose arriveranno in quel giorno e diverranno tuo popolo».

Coloro che avevano reso schiavo Israele diventeranno a loro volta schiavi: Dio che aveva disperso il suo popolo lo raduna adesso con potenza. Alla vista di tale prodigio molti popoli resteranno religiosamente stupiti e si aggregheranno alla comunità santa, ormai fedele alla Parola di Dio. Grandi interventi salvifici di quegli ultimi tempi, come al principio della storia ebraica in Egitto, dimostreranno a tutti, giudei e pagani, la potenza e la condiscendenza del Dio di Israele.

A questo respiro ampio, sia pur nella consapevolezza del proprio peccato, abbiamo la presa di posizione precisa, per non dire dura, di Gesù di fronte alla presunzione e superbia dei farisei: di tutto si renderà conto. L'ombra del Giudizio si proietta ancora una volta inesorabile. Non l'ascesi della custodia della lingua, ma la teologia della decisione pro o contro Cristo è qui chiamata in causa: ogni parola che comunque lo rinneghi attira la condanna su chi l'ha pronunciata.

A chiusura dell'aspra controversia Matteo riporta delle immagini, in parte già utilizzate in antecedenza come quella dell'albero e della razza di vipere, con le quali si cerca di sondare il mistero dell'incredulità giudaica: «Prendete un albero cattivo, anche il suo frutto sarà cattivo: dal frutto infatti si conosce l'albero [...].L'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori cose cattive». Gesù ha modo così di mettere a nudo la malafede dei suoi contemporanei.

Il mondo va male, c'è contrapposizione, c'è crisi, si cercano tutte le soluzioni, ma non si va alla radice. L'ammonimento di Gesù è attualissimo. Abbiamo cancellato la dimensione etica: parliamo di criteri etici, ma non abbiamo il coraggio di fondare i criteri etici su Dio. La crisi all'interno del mondo occidentale è dovuta al fatto che togliamo Dio dalla storia. È interessante questa Parola di Dio, perché è una denuncia forte: ci fa riflettere e ci sollecita a un cambiamento.

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