Principi e norme del Messale Ambrosiano
A TUTTI I FRATELLI E LE SORELLE
DI RITO AMBROSIANO
Trascorsi quasi cinquant’anni dalla promulgazione del Messale Ambrosiano, riformato a norma dei decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II, come «atto di fedeltà e di amore alla Chiesa ambrosiana» e insieme «atto di dovere di obbedienza alle direttive del Concilio» (cf. decreto di promulgazione in data 11 aprile 1976) si rende necessario un aggiornamento del testo che, in comunione con le altre comunità di Rito latino, giunte alla III edizione del Messale Romano, prende la forma di una II edizione del Messale Ambrosiano.
1. L’umiltà di uno strumento
Offriamo uno strumento, con la serietà di un decreto e la solennità di una tradizione secolare, ma pur sempre uno strumento.
Il Messale Ambrosiano ha una tradizione gloriosa e il suo aspetto monumentale, l’impegno che ha richiesto da parte della Congregazione del Rito Ambrosiano, le risorse richieste all’Arcidiocesi di Milano e alle comunità intendono onorare la tradizione e continuare la storia di santità che dà alla nostra Chiesa il suo volto caratteristico.
Lo offro però con l’umiltà di uno strumento: deve infatti servire.
Il Messale deve servire per la celebrazione liturgica: lo Spirito Santo dona a tutte le comunità e a ciascuna persona di entrare nel mistero della Pasqua di Gesù per accogliere la grazia della divinizzazione, cioè della partecipazione alla vita del Figlio unigenito di Dio, il Signore Nostro Gesù Cristo.
Perché il Messale possa servire allo scopo per cui è stato offerto alla comunità deve essere accolto con la persuasione che noi non siamo capaci di pregare, ma siamo introdotti nella familiarità con Dio per il dono dello Spirito di Gesù:
«Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Padre!”» (Rm 8, 14-15).
«Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio» (Rm 8, 26-27).
Invito tutti, soprattutto coloro che devono abitualmente utilizzare il Messale, a disporsi in umile docilità, perché lo Spirito aiuti la preghiera personale e di tutta la comunità. Noi infatti non siamo capaci di pregare, anche se preghiamo e celebriamo tutti i giorni da molti anni: e abbiamo un grande bisogno di pregare, di celebrare, di essere accolti e avvolti dalla gloria di Dio.
Il mondo è troppo triste e disperato e coloro che partecipano alla celebrazione dei santi misteri hanno la responsabilità di offrire e testimoniare la gioia e la speranza.
2. La II edizione del Messale Ambrosiano
Le indicazioni di Papa Benedetto XVI e di Papa Francesco, la traduzione in lingua italiana della Bibbia che la Conferenza Episcopale Italiana ha pubblicato nel 2008, la nuova edizione del Messale Romano pubblicata nel 2020, sono stati i punti di riferimento per la nuova edizione del Messale Ambrosiano, che ora pubblichiamo.
L’impresa ha richiesto un lavoro prolungato e paziente di cui sono molto grato alla Congregazione del Rito Ambrosiano. Non sono mancate discussioni e aspettative di un profondo ripensamento del libro liturgico, del linguaggio, dell’impostazione grafica. Ho scelto una via più modesta e, ritengo, più realistica e saggia, consapevole dei miei limiti e convinto che per la bellezza ed efficacia delle celebrazioni sia più necessaria la docilità allo Spirito che radicali trasformazioni del testo e dei segni. Ho pertanto deciso, accogliendo saggi consigli, di orientare il lavoro verso la recezione della nuova traduzione del Messale Romano per l’Ordinario, di disporre la necessaria opera di armonizzazione del Messale con il Calendario Ambrosiano e il Lezionario Ambrosiano promulgati dal Card. Dionigi Tettamanzi il 20 marzo 2008 (con successiva promulgazione del Calendario Ambrosiano concernente i santi in data 27 marzo 2010 e del corrispettivo Lezionario in data 1 aprile 2010; del Libro delle Vigilie in data 29 giugno 2015), di curare che i testi dell’eucologia fossero conservati nella loro straordinaria ricchezza, ma resi più comprensibili con la correzione di alcune espressioni, di arricchire ulteriormente i testi disponibili con la creazione di nuovi testi, adatti a diverse circostanze della vita e intenzioni delle comunità.
Queste le principali novità che caratterizzano la II edizione del Messale Ambrosiano:
a) Recependo la nuova scansione dell’Anno Liturgico, il Tempo Ordinario, che comprendeva 32 domeniche, è stato completamente riorganizzato nei due Tempi dopo l’Epifania (dall’Epifania alla Quaresima) e dopo Pentecoste (dalla Pentecoste all’Avvento).
b) Recependo la nuova organizzazione del Calendario (comune ambrosiano; proprio ambrosiano dell’Arcidiocesi di Milano; proprio ambrosiano della città di Milano), la II edizione del Messale Ambrosiano rinnova e aggiorna il proprio dei santi.
c) Recependo i cambiamenti intervenuti nel Rito della Messa a partire dall’Avvento 2020, aggiorna l’Ordinario della Messa, con la nuova versione delle Preghiere Eucaristiche già presenti nella I edizione e con l’aggiunta delle quattro forme della Preghiera Eucaristica per le Messe per varie necessità.
d) Non pochi testi eucologici e alcuni canti sono stati rivisti nella loro forma espressiva e nella loro qualità teologica. Una particolare attenzione è stata posta alla revisione delle Messe dei defunti, specialmente quelle usate in occasione dei funerali, per esprimere meglio il senso della morte cristiana e l’annuncio della speranza nella vita futura.
e) Non mancano infine alcuni testi di nuova composizione (un secondo prefazio per la domenica della Santissima Trinità; il formulario per il 16 dicembre; la Messa “Chiesa dalle genti”, ecc.), che incrementano e rinnovano la preghiera liturgica ambrosiana.
3. L’uso del Messale
Perché lo strumento che pubblichiamo serva allo scopo, chiedo a tutti di curare le condizioni delle celebrazioni. La celebrazione è grazia e responsabilità di tutti i fedeli. Pertanto tutti sono chiamati a collaborare perché l’ambiente della celebrazione sia adatto, perché i segni liturgici siano visibili e apprezzabili, il silenzio e il canto, le parole e gli sguardi siano propizi alla preghiera, le parole risuonino con chiarezza e semplicità, tutti possano entrare nella chiesa, tutti possano ascoltare, anche le persone con disabilità.
I presbiteri che presiedono la celebrazione sono chiamati a una particolare attenzione per essere a servizio dell’assemblea con lo stile opportuno, con l’attenzione ai segni e ai testi, con l’intima devozione, con la visibile gioia, con la doverosa competenza.
Tutti dobbiamo vigilare sui rischi dell’automatismo, dell’inerzia, del protagonismo e dell’esibizionismo, delle scelte arbitrarie.
Tutti gli operatori pastorali, i ministri ordinati, i consacrati e le consacrate, i ministri istituiti, le catechiste e i catechisti, devono offrire il loro contributo per iniziare al linguaggio della liturgia e creare condizioni propizie per i più piccoli, spesso più semplici e incantati di fronte al mistero e spesso troppo distratti da un contesto rumoroso e da distrazioni inopportune.
La celebrazione chiede di essere desiderata, preparata, vissuta con intensità, perché porti nei fedeli i frutti che il Signore ha promesso a coloro che dimorano in lui, in particolare la gioia e la grazia di essere un cuore solo e un’anima sola nella comunione dei santi.
Pertanto, dopo aver approvato i testi predisposti per la II edizione del Messale Ambrosiano dalla Congregazione del Rito Ambrosiano e averli inviati, con mia lettera in data 4 novembre 2022, al Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti per la debita recognitio, ho ottenuto dal medesimo Dicastero, in base alle facoltà attribuite dal Sommo Pontefice Francesco, l’approvazione e la ratifica del nuovo testo liturgico, con il Decreto Mediolanensis Ecclesia, del 7 dicembre 2023, Solennità di S. Ambrogio, espressione visibile e concreta della comunione che unisce la Chiesa di Milano alla Sede di Pietro.
Con il presente atto, in forza della competenza propria dell’Arcivescovo di Milano come Capo del Rito Ambrosiano, promulgo il testo della II edizione del Messale Ambrosiano (in latino e in italiano) e stabilisco che entri in vigore la prima domenica di Avvento 2024 (17 novembre); pertanto, a partire da tale data, il nuovo testo deve essere adottato come ufficiale e obbligatorio in tutte le chiese, oratori e cappelle di Rito Ambrosiano, nell’Arcidiocesi di Milano e nelle altre Diocesi in cui siano presenti comunità di Rito Ambrosiano.
Affido alla Congregazione del Rito Ambrosiano, in collaborazione con i competenti uffici e servizi della Curia arcivescovile, il compito di predisporre quanto necessario per dare attuazione alle presenti disposizioni e rendere disponibile il testo liturgico a tutti i fratelli e le sorelle di Rito Ambrosiano, per i quali invoco la mia benedizione.
Dato nel Duomo di Milano, chiesa madre di tutti i fedeli ambrosiani, il 28 marzo 2024, Giovedì della Settimana Autentica, Messa Crismale.
Prot. Gen. n. 00822/24
† Mario Enrico Delpini
Arcivescovo
Mons. Marino Mosconi
Cancelliere Arcivescovile
PROEMIO
1. Desiderando celebrare con i suoi discepoli il banchetto pasquale, nel quale istituì il sacrificio del suo Corpo e del suo Sangue, Cristo Signore ordinò di preparare una sala grande e addobbata (cf. Lc 22, 12). La Chiesa, quando dettava le norme per preparare gli animi, disporre i luoghi, fissare i riti e scegliere i testi per la celebrazione dell’Eucaristia, ha perciò sempre considerato quest’ordine come rivolto a se stessa.
Allo stesso modo le presenti norme, stabilite in base alle decisioni del concilio ecumenico Vaticano II e ai successivi sviluppi della riforma del rito ambrosiano, sono una prova della sollecitudine della Chiesa milanese, della sua fede e del suo amore immutato verso il grande mistero eucaristico, e testimoniano la sua continua e ininterrotta tradizione e le modalità secondo cui tale tradizione è stata riproposta e vive in questo nostro tempo.
Testimonianza di una fede immutata
2. La natura sacrificale della Messa, solennemente affermata dal concilio di Trento, in armonia con tutta la tradizione della Chiesa1, è stata riaffermata dal concilio Vaticano II, che ha pronunciato, al riguardo, queste significative parole: «Il nostro Salvatore nell’ultima cena... istituì il sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue, al fine di perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il sacrificio della croce, e di affidare così alla sua diletta sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e risurrezione»2.
In questo insegnamento del concilio si ritrova quanto costantemente enunciato nelle formule eucologiche, come indica con precisione il seguente testo ambrosiano3, già documentato anche nell’antico Sacramentario Veronese4: «Ogni volta che si celebra con questa offerta la memoria del tuo Figlio immolato e risorto, rivive e si rende efficace l’opera della nostra redenzione».
È questa la fede espressa con chiarezza e con cura anche nelle preghiere eucaristiche nelle quali, quando il sacerdote fa l’anamnesi, si rivolge a Dio in nome di tutto il popolo, gli rende grazie e gli offre «il pane santo della vita eterna e il calice dell’eterna salvezza»5, pregando perché, trasformati dallo Spirito Santo, tutti coloro che comunicano diventino un sacrificio accetto al Padre per la salvezza del mondo intero6.
Così, anche nel Messale ambrosiano, la regola della fede (lex credendi) e la norma della preghiera (lex orandi) sono costantemente in perfetta consonanza; la regola della fede ci dice infatti che, fatta eccezione per il modo di offrire che è differente, vi è piena identità tra il sacrificio della croce e la sua rinnovazione sacramentale nella Messa, che Cristo Signore ha istituito nell’ultima cena e ha ordinato agli apostoli di celebrare in memoria di lui. Ne consegue che la Messa è insieme sacrificio di lode, d’azione di grazie, di propiziazione e di espiazione.
1 Conc. Ecum. Tridentino, Sessione XXII, 17 settembre 1562: Denz.-Schönm., nn. 1738-1759.
2 Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 47; cf. Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, nn. 3, 28; Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale Presbyterorum Ordinis, nn. 2, 4, 5.
3 VI domenica di Pasqua, orazione sui doni; Sacramentarium Bergomense, ed. A. Paredi, n. 667; Sacramentario di Biasca, ed. O. Heiming, n. 636.
4 Messa vespertina nella cena del Signore, orazione sulle offerte; Sacramentarium Veronense, ed. L. C. Mohlberg, n. 93.
5 Cf. preghiera eucaristica I.
6 Cf. preghiera eucaristica IV.
3. Anche il mistero mirabile della presenza reale del Signore sotto le specie eucaristiche è affermato dal concilio Vaticano II7 e dagli altri documenti del magistero della Chiesa8, nel medesimo senso e con la medesima dottrina con cui il concilio di Trento l’aveva proposto alla nostra fede9.
Nella celebrazione della Messa, questo mistero è posto in luce non soltanto dalle parole stesse della consacrazione, che rendono Cristo presente per mezzo della transustanziazione, ma anche dal senso e dall’espressione esteriore di sommo rispetto e di adorazione di cui è fatto oggetto nel corso della liturgia eucaristica. Per lo stesso motivo, il Giovedì Santo, nella celebrazione della cena del Signore, e nella solennità del Corpo e del Sangue del Signore, il popolo cristiano è chiamato a onorare in modo particolare, con l’adorazione, questo mirabile Sacramento.
7 Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, nn. 7, 47; Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale Presbyterorum Ordinis, nn. 5, 18.
8 Cf. Pio XII, Lettera enciclica Humani Generis, 12 agosto 1950: A.A.S. 42 (1950) pp. 570-571; Paolo VI, Lettera enciclica Mysterium Fidei, 3 settembre 1965: A.A.S. 57 (1965) pp. 762-769; Solenne professione di fede, 3 giugno 1968, nn. 24-26: A.A.S. 60 (1968) pp. 442-443; Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, nn. 3f-9: A.A.S. 59 (1967) pp. 543-547.
9 Conc. Ecum. Tridentino, Sessione XIII, 11 ottobre 1551: Denz.-Schönm., nn. 1635-1661.
4. La natura del sacerdozio ministeriale, che è proprio del vescovo e del presbitero, in quanto offrono il sacrificio nella persona di Cristo e presiedono l’assemblea del popolo santo, è messa in luce, nella forma stessa del rito, dal posto eminente del sacerdote e dalla sua funzione. I compiti di questa funzione sono indicati e ribaditi con molta chiarezza nel prefazio della Messa crismale del Giovedì Santo, giorno in cui si commemora l’istituzione del sacerdozio. Il testo sottolinea la potestà sacerdotale conferita per mezzo dell’imposizione delle mani e descrive questa medesima potestà enumerandone tutti gli uffici: è la continuazione della potestà sacerdotale di Cristo, sommo sacerdote della nuova alleanza.
5. Questa natura del sacerdozio ministeriale mette a sua volta nella giusta luce un’altra realtà di grande importanza: il sacerdozio regale dei fedeli, il cui sacrificio spirituale raggiunge la sua piena realizzazione attraverso il ministero del vescovo e dei presbiteri, in unione con il sacrificio di Cristo, unico mediatore10. La celebrazione dell’Eucaristia è infatti azione di tutta la Chiesa. In essa ciascuno compie soltanto, ma integralmente, quello che gli compete, tenuto conto del posto che occupa nel popolo di Dio. È il motivo per cui si presta ora maggiore attenzione a certi aspetti della celebrazione che, nel corso dei secoli, erano stati talvolta alquanto trascurati. Questo popolo è il popolo di Dio, acquistato dal Sangue di Cristo, radunato dal Signore, nutrito con la sua parola; popolo la cui vocazione è di far salire verso Dio le preghiere di tutta la famiglia umana; popolo che, in Cristo, rende grazie per il mistero della salvezza, offrendo il suo sacrificio; popolo infine che, per mezzo della comunione al Corpo e al Sangue di Cristo, rafforza la sua unità. Questo popolo è già santo per la sua origine; ma in forza della sua partecipazione consapevole, attiva e fruttuosa al mistero eucaristico, progredisce continuamente in santità11.
10 Conc. Ecum. Vaticano II, Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale Presbyterorum Ordinis, n. 2.
11 Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 11.
Prova di una tradizione ininterrotta
6. Nell’enunciare le norme per la revisione del rito della Messa, il concilio Vaticano II ha ordinato, tra l’altro, che certi riti venissero «riportati all’antica tradizione dei santi Padri»12. Sono le stesse parole usate da san Pio V nella Costituzione apostolica Quo primum, con la quale, nel 1570, promulgava il Messale di Trento. In tempi davvero difficili, nei quali la fede cattolica era stata messa in pericolo circa la natura sacrificale della Messa, il sacerdozio ministeriale, la presenza reale e permanente di Cristo sotto le specie eucaristiche, a san Pio V premeva anzitutto salvaguardare una tradizione relativamente recente ingiustamente attaccata, introducendo il meno possibile di cambiamenti nel sacro rito. E in verità, il Messale del 1570 si differenzia ben poco dal primo Messale stampato nel 1474; e questo, a sua volta, riprende fedelmente il Messale del tempo di Innocenzo III. Allo stesso modo il Messale ambrosiano del 1594 non molto si differenzia dal Messale stampato nel 1475, avendo tuttavia attinto non poco dal Messale di san Pio V.
12 Cf. ibidem, n. 50.
7. Oggi però, questa «tradizione dei santi Padri», tenuta presente dai revisori responsabili del Messale di san Pio V, si è arricchita di innumerevoli studi di eruditi. Dopo la prima edizione del Sacramentario detto Gregoriano, nel 1571, gli antichi sacramentari romani e ambrosiani sono stati oggetto di numerose edizioni critiche; lo stesso si dica degli antichi libri liturgici ispanici e gallicani. E così il Messale ambrosiano del 1609 stampato per ordine del cardinale arcivescovo Federico Borromeo riporta assai fedelmente gli esemplari più antichi; una fedeltà ancora più grande ai testi antichi si ritrova nel Messale edito nel 1902 per ordine del beato cardinale arcivescovo Andrea Carlo Ferrari. Tutto questo aveva fatto riscoprire numerose preghiere fino allora ignorate, ma di non poca importanza per la vita dello spirito.
Data poi la scoperta di un buon numero di documenti liturgici, sono pure, attualmente, meglio conosciute le tradizioni dei primi secoli, anteriori alla formazione dei riti d’oriente e d’occidente. Inoltre, il progresso degli studi patristici ha permesso di appurare la teologia del mistero eucaristico attraverso l’insegnamento di Padri eminenti nell’antichità cristiana, come sant’Ireneo, sant’Ambrogio, san Cirillo di Gerusalemme, san Giovanni Crisostomo.
8. La «tradizione dei santi Padri» esige dunque che non solo si conservi la tradizione trasmessa dai nostri immediati predecessori, ma che si tenga presente e si approfondisca fin dalle origini tutto il passato della Chiesa e si faccia un’accurata indagine sui modi molteplici con cui l’unica fede si è manifestata in forme di cultura umana e profana così diverse tra loro, quali erano quelle in uso nelle regioni abitate da Semiti, Greci e Latini. Questo approfondimento più vasto ci permette di constatare come lo Spirito Santo accordi al popolo di Dio un’ammirevole fedeltà nel conservare immutato il deposito della fede, per grande che sia la varietà delle preghiere e dei riti.
In mezzo a questa varietà, il rito ambrosiano «legittimamente riconosciuto e considerato sulla stessa base di diritto e di onore», secondo quanto dice il concilio Vaticano II,13 «è stato prudentemente e integralmente riveduto nello spirito della sana tradizione e gli è stato dato un nuovo vigore, come richiedono le circostanze e le necessità del nostro tempo»14.
Le innovazioni apportate al Messale romano, attentamente valutate, sono state spesso accolte. Del resto esse, più di una volta, fanno propria l’antica tradizione ambrosiana, così che lo stesso Messale ambrosiano può mutuare parecchio da quello romano, naturalmente salvaguardando ciò che costituisce la peculiare caratteristica della sua originaria tradizione. Mentre infatti alcuni dei principi e delle norme del concilio Vaticano II «possono e devono essere applicati sia al rito romano sia agli altrI riti», le norme di carattere pratico dello stesso concilio «devono intendersi come riguardanti il solo rito romano, a meno che si tratti di cose che per loro stessa natura si riferiscono anche ad altri riti»15.
13 Ibidem, n. 4.
14 Ibidem, n. 4.
15 Ibidem, n. 3.
Adattamento alle nuove condizioni
9. Il Messale, mentre attesta la norma della preghiera della Chiesa ambrosiana e salvaguarda il deposito della fede trasmesso dai recenti concili, segna a sua volta una tappa di grande importanza nella tradizione liturgica.
Quando i Padri del concilio Vaticano II ripresero le formulazioni dogmatiche del concilio di Trento, le loro parole risuonarono in un’epoca ben diversa nella vita del mondo. Per questo in campo pastorale essi hanno potuto dare suggerimenti e consigli che sarebbero stati impensabili quattro secoli prima.
10. Il concilio di Trento aveva già riconosciuto il grande valore catechistico contenuto nella celebrazione della Messa, ma non poteva trarne tutte le conseguenze pratiche. In realtà molti chiedevano che venisse concesso l’uso della lingua volgare nella celebrazione del sacrificio eucaristico.
Ma dinanzi a tale richiesta il concilio, considerate le circostanze di allora, ritenne suo dovere riaffermare la dottrina tradizionale della Chiesa, secondo la quale il sacrificio eucaristico è anzitutto azione di Cristo stesso: ne consegue che la sua efficacia non dipende affatto da come vi partecipano i fedeli. Ecco perché si espresse con queste parole decise e insieme misurate: «Benché la Messa contenga un ricco insegnamento per il popolo dei fedeli, i Padri non hanno ritenuto opportuno che venga celebrata indistintamente in lingua volgare»16. E condannò chi osasse affermare che «non si deve ammettere il rito della Chiesa romana, in forza del quale una parte del canone e le parole della consacrazione vengono dette a bassa voce; o che la Messa si deve celebrare soltanto in lingua volgare»17.
Nondimeno, se da una parte proibì l’uso della lingua parlata nella Messa, dall’altra ordinò ai pastori di supplirvi con un’opportuna catechesi: «Perché il gregge di Cristo non soffra la fame... il santo concilio ordina ai pastori e a tutti quelli che hanno cura d’anime di soffermarsi frequentemente, nel corso della celebrazione della Messa, o personalmente o per mezzo di altri, su questo o quel testo della Messa, e di spiegare, tra le altre cose, il mistero di questo santissimo sacrificio specialmente nelle domeniche e nei giorni festivi»18.
16 Conc. Ecum. Tridentino, Sessione XXII, 17 settembre 1562, Dottrina sul santissimo sacrificio della Messa, cap. 8: Denz.-Schönn., n. 1749.
17 Ibidem, can. 9: Denz.-Schönm., n. 1759.
18 Ibidem, cap. 8: Denz.-Schönm., n. 1749.
11. Convocato perché la Chiesa adattasse ai nostri tempi i compiti della sua missione apostolica, il concilio Vaticano II, come quello di Trento, ha esaminato profondamente la natura didattica e pastorale della liturgia19. E poiché non v’è ormai nessun cattolico che neghi la legittimità e l’efficacia del rito compiuto in lingua latina, il concilio ha ammesso senza difficoltà che «l’uso della lingua parlata può riuscire spesso di grande utilità per il popolo» e l’ha quindi autorizzata20.
L’entusiasmo con cui questa decisione è stata dovunque accolta, ha portato, sotto la guida dei vescovi e della stessa Sede Apostolica, alla concessione che tutte le celebrazioni liturgiche si possono fare in lingua viva, per una più piena comprensione del mistero celebrato21.
19 Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 33.
20 Ibidem, n. 36.
21 Cf. ibidem, n. 48: «Perciò la Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma che, comprendendolo bene nei suoi riti e nelle sue preghiere, partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente».
12. Nondimeno, poiché l’uso della lingua parlata nella sacra liturgia è uno strumento molto importante, per esprimere più chiaramente la comprensione credente del mistero celebrato e per permettere la piena partecipazione ad esso, il concilio Vaticano II ha insistito perché si mettessero in pratica certe prescrizioni del concilio di Trento che non erano state dovunque osservate, come il dovere di tenere l’omelia nelle domeniche e nei giorni festivi22; e la possibilità di intercalare ai riti determinate monizioni23.
Soprattutto, però, il concilio Vaticano II, nel consigliare «quella partecipazione perfetta alla Messa, per la quale i fedeli, dopo la comunione del sacerdote, ricevono il Corpo del Signore dal medesimo sacrificio»24, ha portato al compimento di un altro voto dei Padri tridentini, che, cioè, per partecipare più pienamente all’Eucaristia, «nelle singole Messe i presenti si comunicassero non solo con l’intimo fervore dell’anima, ma anche con la recezione sacramentale dell’Eucaristia»25.
22 Cf. ibidem, n. 52.
23 Cf. ibidem, n. 35, § 3.
24 Ibidem, n. 55.
25 Conc. Ecum. Tridentino, Sessione XXII, 17 settembre 1562, Dottrina sul santissimo sacrificio della Messa, cap. 6: Denz.-Schönm., n. 1747.
13. Mosso dal medesimo spirito e dallo stesso zelo pastorale, il concilio Vaticano II ha potuto riesaminare le decisioni di Trento a proposito della comunione sotto le due specie. Poiché attualmente nessuno mette in dubbio i principi dottrinali sul pieno valore della comunione sotto la sola specie del pane, il concilio ha permesso in alcuni casi la comunione sotto le due specie, con la quale, grazie alla forma più chiara del segno sacramentale, si ha modo di penetrare più profondamente il mistero al quale i fedeli partecipano26.
26 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 55.
14. In questo modo, mentre la Chiesa rimane fedele al suo compito di maestra di verità, conservando «le cose vecchie» cioè il deposito della tradizione, assolve pure il suo compito di esaminare e adottare con prudenza «le cose nuove» (cf. Mt 13, 52).
Una parte di questo Messale adegua più visibilmente le preghiere della Chiesa ai bisogni del nostro tempo. Tali sono specialmente le Messe rituali e quelle per varie necessità, nelle quali si fondono felicemente tradizione e novità. Pertanto, mentre sono rimaste intatte molte espressioni attinte alla più antica tradizione della Chiesa e rese familiari dallo stesso Messale ambrosiano nelle sue varie edizioni, molte altre sono state adattate alle esigenze e alle condizioni attuali. Altre infine, come le orazioni per la Chiesa, per la santificazione del lavoro umano, per l’unione di tutti i popoli e per certe necessità proprie del nostro tempo, sono state interamente composte ex novo, traendo i pensieri e spesso anche i termini dai recenti documenti conciliari.
Così pure, in vista di una presa di coscienza della situazione nuova del mondo contemporaneo, è sembrato che non si recasse offesa alcuna al venerabile tesoro della tradizione, modificando alcune espressioni dei testi antichi, allo scopo di meglio armonizzare la lingua con quella della teologia attuale e perché esprimessero in verità la presente situazione della disciplina della Chiesa. Per questo motivo sono stati cambiati alcuni modi di esprimersi, che risentivano di una certa mentalità sull’apprezzamento e sull’uso dei beni terreni, e altri ancora che mettevano in rilievo una forma di penitenza esteriore propria della Chiesa di altri tempi.
In questo modo, le norme liturgiche del concilio di Trento sono state, su molti punti, completate e integrate dalle norme del concilio Vaticano II: tale concilio ha così condotto a termine gli sforzi fatti per accostare i fedeli alla liturgia, sforzi condotti per quattro secoli e con più intensità in un’epoca recente, grazie soprattutto allo zelo liturgico promosso da san Pio X e dai suoi successori e, a Milano, dagli arcivescovi ambrosiani.
Capitolo I
IMPORTANZA E DIGNITÀ
DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA
15. La celebrazione della Messa, in quanto azione di Cristo e del popolo di Dio gerarchicamente ordinato, costituisce il centro di tutta la vita cristiana per la Chiesa universale, per quella locale, e per i singoli fedeli27. Nella Messa, infatti, si ha il culmine sia dell’azione con cui Dio santifica il mondo in Cristo, sia del culto che gli uomini rendono al Padre, adorandolo per mezzo di Cristo, Figlio di Dio, nello Spirito Santo28.
In essa inoltre la Chiesa commemora, nel corso dell’anno, i misteri della redenzione, in modo da renderli in certo modo presenti29. Tutte le altre azioni sacre e ogni attività della vita cristiana sono in stretta relazione con la Messa, da essa derivano e a essa sono ordinate30,
27 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 41; Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 11; Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale Presbyterorum ordinis, nn. 2, 5, 6; Decreto sull’ufficio pastorale dei vescovi Christus Dominus, n. 30; Decreto sull’ecumenismo Unitatis Redintegratio, n. 15; Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, nn. 3e, 6: A.A.S. 59 (1967) pp. 542, 544-545.
28 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. l0.
29 Cf. ibidem, n. 102.
30 Cf. ibidem, n. 10; Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale Presbyterorum Ordinis, n. 5.
16. È perciò di somma importanza che la celebrazione della Messa, o cena del Signore, sia ordinata in modo tale che i sacri ministri e i fedeli, partecipandovi ciascuno secondo il proprio ordine e grado, traggano abbondanza di quei frutti31, per il conseguimento dei quali Cristo Signore ha istituito il sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue e lo ha affidato, come memoriale della sua passione e risurrezione, alla Chiesa, sua dilettissima sposa32.
31 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, nn. 14, 19, 26, 28, 30.
32 Cf. ibidem, n. 47
17. Si potrà ottenere davvero questo risultato, se, tenuto conto della natura e delle altre caratteristiche di ogni assemblea liturgica, tutta la celebrazione verrà ordinata in modo tale da portare i fedeli a una partecipazione consapevole, attiva e piena, esteriore e interiore, ardente di fede, speranza e carità; partecipazione vivamente desiderata dalla Chiesa e richiesta dalla natura stessa della celebrazione, e alla quale il popolo cristiano ha diritto e dovere in forza del Battesimo33.
33 Cf. ibidem, n. 14.
18. Non sempre si possono avere la presenza e l’attiva partecipazione dei fedeli, che manifestano più chiaramente la natura ecclesiale dell’azione liturgica34. Sempre però la celebrazione eucaristica ha l’efficacia e la dignità che le sono proprie, in quanto è azione di Cristo e della Chiesa, nella quale il sacerdote compie il suo ministero specifico e agisce sempre per la salvezza del popolo. Perciò a lui si raccomanda di celebrare anche ogni giorno, avendone la possibilità, il sacrificio eucaristico35.
34 Cf. ibidem, n. 41.
35 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale Presbyterorum Ordinis, n. 13; Codice di Diritto Canonico (1983), can. 904.
19. Poiché inoltre la celebrazione dell’Eucaristia, come tutta la liturgia, si compie per mezzo di segni sensibili, mediante i quali la fede si alimenta, s’irrobustisce e si esprime36, si deve avere la massima cura nello scegliere e nel disporre quelle forme e quegli elementi che la Chiesa propone, e che, considerate le circostanze di persone e di luoghi, possono favorire più intensamente la partecipazione attiva e piena, e rispondere più adeguatamente al bene spirituale dei fedeli.
36 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 59.
20. Pertanto questo ordinamento si propone di esporre i principi generali per lo svolgimento della celebrazione dell’Eucaristia, e di presentare le norme per regolare le singole forme di celebrazione37.
37 Per la celebrazione della Messa in situazioni particolari si osservi quanto stabilito: per le Messe nei gruppi particolari cf. Sacra Congregazione per il Culto Divino, Istruzione Actio Pastoralis, 15 maggio 1969: A.A.S. 61 (1969) pp. 806-811; per le Messe con i fanciulli cf. Direttorio delle Messe con i fanciulli, l novembre 1973: A.A.S. 66 (1974) pp. 30-46; sul modo di unire le ore dell’ufficio con la Messa cf. Principi e norme per la Liturgia ambrosiana delle Ore, nn. 94-99; sul modo di unire alcune benedizioni e l’incoronazione dell’immagine della beata Vergine Maria con la Messa cf. Rituale romano, Benedizionale, Premesse generali, n. 28; Rituale romano, Rito per l’incoronazione dell’immagine della beata Vergine Maria, nn. 10, 14.
21. Ora, nella Chiesa particolare, la celebrazione dell’Eucaristia è l’atto più importante. Il vescovo diocesano, primo dispensatore dei misteri di Dio nella Chiesa particolare a lui affidata, è la guida, il promotore e il custode di tutta la vita liturgica38.
Nelle celebrazioni che si compiono sotto la sua presidenza, soprattutto in quella eucaristica, celebrata con la partecipazione del presbiterio, dei diaconi e del popolo, si manifesta il mistero della Chiesa. Perciò questo tipo di celebrazione eucaristica deve fungere da modello per tutta la diocesi.
Deve essere quindi impegno costante del vescovo fare in modo che i presbiteri, i diaconi e i fedeli comprendano sempre più il senso autentico dei riti e dei testi liturgici e così siano condotti a un’attiva e fruttuosa celebrazione dell’Eucaristia.
Allo stesso fine presti attenzione perché cresca la dignità delle medesime celebrazioni. A questo scopo risulta di grande importanza promuovere la cura per la bellezza del luogo sacro, della musica e dell’arte.
38 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Decreto sull’ufficio pastorale dei vescovi Christus Dominus, n. 14; Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 41.
22. Inoltre, perché la celebrazione corrisponda maggiormente alle norme e allo spirito della sacra liturgia e se ne avvantaggi l’efficacia pastorale, in questo ordinamento e nel rito della Messa vengono esposti le scelte e gli adattamenti possibili.
23. Questi adattamenti, che per lo più consistono nella scelta di alcuni riti o testi, cioè di canti, letture, orazioni, monizioni e gesti che siano più rispondenti alle necessità, alla preparazione e alla capacità di comprensione dei partecipanti, spettano al sacerdote celebrante. Tuttavia, il sacerdote ricordi di essere il servitore della sacra liturgia e che nella celebrazione della Messa a lui non è consentito aggiungere, togliere o mutare nulla a proprio piacimento39.
39 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 22.
Capitolo II
STRUTTURA, ELEMENTI E PARTI DELLA MESSA
I. STRUTTURA GENERALE DELLA MESSA
24. Nella Messa o cena del Signore, il popolo di Dio è chiamato a riunirsi insieme sotto la presidenza del sacerdote, che agisce nella persona di Cristo, per celebrare il memoriale del Signore, cioè il sacrificio eucaristico40. Per questo raduno locale della santa Chiesa vale perciò in modo eminente la promessa di Cristo: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18, 20). Infatti nella celebrazione della Messa, nella quale si perpetua il sacrificio della croce41, Cristo è realmente presente nell’assemblea riunita in suo nome, nella persona del ministro, nella sua parola e in modo sostanziale e permanente sotto le specie eucaristiche42.
40 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale Presbyterorum Ordinis, n. 5; Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 33.
41 Cf. Conc. Ecum. Tridentino, Sessione XXII, 17 settembre 1562, Dottrina sul santissimo sacrificio della Messa, cap. 1: Denz. Schönm., n. 1740; cf. Paolo VI, Solenne professione di fede, 30 giugno 1968, n. 24: A.A.S. 60 (1968) p. 442.
42 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 7; cf. Paolo VI, Lettera enciclica Mysterium Fidei, 3 settembre 1965: A.A.S. 57 (1965) p. 764; Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 9: A.A.S. 59 (1967) p. 547.
25. La Messa è costituita da due parti, la «liturgia della parola» e la «liturgia eucaristica»; esse sono così strettamente congiunte tra loro da formare un unico atto di culto43. Nella Messa, infatti, vengono imbandite tanto la mensa della parola di Dio quanto la mensa del Corpo di Cristo, e i fedeli ne ricevono istruzione e ristoro44. Ci sono inoltre alcuni riti che iniziano e altri che concludono la celebrazione.
43 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 56; Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 3: A.A.S. 59 (1967) p. 542.
44 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, nn. 48, 51; Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione Dei Verbum, n. 21; Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale Presbyterorum Ordinis, n. 4.
II. I DIVERSI ELEMENTI DELLA MESSA
Lettura della parola di Dio e sua spiegazione
26. Quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura, Dio stesso parla al suo popolo e Cristo, presente nella sua parola, annuncia il Vangelo. Per questo tutti devono ascoltare con venerazione le letture della parola di Dio, che costituiscono un elemento importantissimo della liturgia. E benché la parola di Dio nelle letture della Sacra Scrittura sia rivolta a tutti gli uomini di ogni epoca e sia da essi intelligibile, tuttavia una sua più piena comprensione ed efficacia viene favorita da un’esposizione viva e attuale, cioè dall’omelia, che è parte dell’azione liturgica45.
45 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, nn. 7, 33, 52.
27. Tra le parti proprie del sacerdote, occupa il primo posto la preghiera eucaristica, culmine di tutta la celebrazione. Seguono poi le orazioni, cioè: l’orazione all’inizio dell’assemblea liturgica, l’orazione a conclusione della liturgia della parola, l’orazione sui doni e l’orazione dopo la comunione. Queste preghiere, dette dal sacerdote nella sua qualità di presidente dell’assemblea nella persona di Cristo, sono rivolte a Dio a nome dell’intero popolo santo e di tutti i presenti46. Perciò giustamente si chiamano «orazioni presidenziali».
46 Cf. ibidem, n. 33.
28. Spetta ugualmente al sacerdote, per il suo ufficio di presidente dell’assemblea radunata, formulare alcune monizioni previste nel rito medesimo. Quando è indicato dalle rubriche, a chi presiede la celebrazione è permesso adattarle in parte affinché rispondano alla comprensione dei partecipanti. Tuttavia il sacerdote faccia in modo di conservare sempre il senso della monizione proposta nel Messale e l’esprima con poche parole. Così pure spetta al sacerdote che presiede guidare la proclamazione della parola di Dio e impartire la benedizione finale. Egli può inoltre intervenire con brevissime parole (o delegare altri ministri a farlo): per introdurre i fedeli alla Messa del giorno, dopo il saluto iniziale e prima dell’atto penitenziale; alla liturgia della parola, prima delle letture; alla preghiera eucaristica, prima di iniziare il prefazio, naturalmente mai nel corso della preghiera stessa; prima del congedo, per concludere l’intera azione sacra.
29. La natura delle parti «presidenziali» esige che esse siano proferite a voce alta e chiara e che siano ascoltate da tutti con attenzione47. Perciò, mentre il sacerdote le dice, non si devono sovrapporre altre orazioni o canti, e l’organo e altri strumenti musicali devono tacere.
47 Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Musicam Sacram, 5 marzo 1967, n. 14: A.A.S. 59 (1967) p. 304.
30. Il sacerdote infatti, in quanto presidente, formula preghiere a nome della Chiesa e della comunità riunita, talvolta invece anche a titolo personale, per poter compiere il proprio ministero con maggior attenzione e pietà. Tali preghiere, che sono proposte prima della proclamazione del Vangelo, alla preparazione dei doni e prima della comunione del sacerdote, si dicono sottovoce.
Altre formule che ricorrono nella celebrazione
31. Poiché la celebrazione della Messa, per sua natura, ha carattere «comunitario»48, grande rilievo assumono i dialoghi tra chi presiede e i fedeli riuniti e le acclamazioni49. Infatti questi elementi non sono soltanto segni esteriori della celebrazione comunitaria, ma favoriscono e realizzano la comunione tra il sacerdote e il popolo.
48 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, nn. 26, 27; Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 3: A.A.S. 59 (1967) p. 542.
49 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 30.
32. Le acclamazioni e le risposte dei fedeli al saluto del sacerdote e alle orazioni, costituiscono quel grado di partecipazione attiva che i fedeli riuniti sono chiamati a porre in atto in ogni forma di Messa, per esprimere e ravvivare l’azione di tutta la comunità50.
50 Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Musicam sacram, 5 marzo 1967, n. 16a: A.A.S. 59 (1967) p. 305.
33. Altre parti, assai utili per manifestare e favorire la partecipazione attiva dei fedeli, spettano all’intera assemblea convocata; sono soprattutto l’atto penitenziale, la preghiera universale (detta anche preghiera dei fedeli), la professione di fede e la preghiera del Signore (cioè il Padre nostro).
34. Infine, tra le altre formule:
a) alcune costituiscono un rito o un atto a se stante, come l’inno Gloria, il salmo, l’Alleluia e il versetto prima del Vangelo (canto al Vangelo), il simbolo, il Santo, l’acclamazione dell’anamnesi e il canto di lode dopo la comunione;
b) altre, invece, accompagnano qualche rito, come i canti all’ingresso, dopo il Vangelo, allo spezzare del pane, alla comunione e l’eventuale canto di offertorio.
Il modo di proclamare i vari testi
35. Nei testi che devono essere pronunciati a voce alta e chiara dal sacerdote, dal diacono, dal lettore, dal salmista o da tutti, la voce deve corrispondere al genere del testo, secondo che si tratti di una lettura, di un’orazione, di una monizione, di un’acclamazione, di un canto; deve anche corrispondere alla forma di celebrazione e alla solennità della riunione liturgica. Nelle rubriche e nelle norme che seguono, le parole «dire» oppure «proclamare » devono essere intese in riferimento sia al canto, sia alla recita, tenuto conto dei principi sopra esposti.
Importanza del canto
36. I fedeli, che si radunano nell’attesa della venuta del loro Signore, sono esortati dall’apostolo a cantare insieme «salmi, inni e cantici ispirati» (Col 3, 16). Infatti il canto è segno della gioia del cuore (cf. At 2, 46). Perciò dice molto bene sant’Agostino: «Il cantare è proprio di chi ama»51, e già dall’antichità si formò il detto: «Chi canta bene, prega due volte».
51 Sant’Agostino, Sermone 336, 1: PL 38, col. 1472 [cf. Opere di sant’Agostino XXXIII. Discorsi V. (273-340/A) Su i santi, Città Nuova, Roma 1986, pp. 950 (latino). 951 (italiano)].
37. Nella celebrazione della Messa si dia quindi grande importanza al canto, ponendo attenzione alla sensibilità del nostro popolo e alle possibilità di ciascuna assemblea liturgica. Anche se non è sempre necessario, per esempio nelle Messe feriali, cantare tutti i testi che per loro natura sono destinati al canto, si deve comunque fare in modo che non manchi il canto dei ministri e del popolo nelle celebrazioni domenicali e nelle feste di precetto. Nella scelta delle parti destinate al canto, si dia la preferenza a quelle di maggior importanza, e soprattutto a quelle che devono essere cantate dal sacerdote, dal diacono o dal lettore con la risposta del popolo, o dal sacerdote e dal popolo insieme52.
52 Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Musicam sacram, 5 marzo 1967, nn. 7, 16: A.A.S. 59 (1967) pp. 302, 305.
38. A parità di condizioni si dia la preferenza al canto ambrosiano, in quanto proprio della nostra liturgia, e al canto gregoriano, specialmente nelle celebrazioni capitolari in Duomo e nelle altre chiese dotate di collegio canonicale, come pure nelle comunità monastiche ambrosiane53. In ogni parrocchia sia proposto e usato un repertorio accessibile di canti in latino, ambrosiani e gregoriani, a cominciare da quelli relativi alle parti dell’ordinario della Messa come il Gloria, il simbolo della fede (Credo in unum Deum) e la preghiera del Signore (Pater
noster)54. Gli altri generi di musica sacra, specialmente la polifonia, quando si conformino pienamente allo spirito dell’azione liturgica, possono anch’essi validamente favorire la partecipazione dei fedeli55.
53 Cf. Diocesi di Milano, Sinodo 47°, Cost. 94 § 3c.
54 Cf. ibidem, Cost. 94 § 3c.; cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter OEcumenici, 26 settembre 1964, n. 59: A.A.S. 56 (1964) p. 891; Istruzione Musicam sacram, 5 marzo 1967, n. 47: A.A.S. 59 (1967) p. 314.
55 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 116; cf. anche il n. 30.
Gesti e atteggiamenti del corpo
39. I gesti e l’atteggiamento del corpo, sia del sacerdote, del diacono e dei ministri, sia del popolo, devono tendere a far sì che tutta la celebrazione risplenda per decoro e per nobile semplicità, che si colga il vero e pieno significato delle sue diverse parti e si favorisca la partecipazione di tutti. Si dovrà prestare attenzione affinché le norme, stabilite da questo ordinamento e dalla prassi secolare del rito ambrosiano, contribuiscano al bene spirituale comune del popolo di Dio, più che al gusto personale o all’arbitrio. L’atteggiamento comune del corpo, da osservarsi da tutti i partecipanti, è segno dell’unità dei membri della comunità cristiana riuniti per la sacra liturgia: manifesta infatti e favorisce l’intenzione e i sentimenti dell’animo di coloro che partecipano.
40. I santi Padri, profondamente consapevoli del carattere simbolico e del valore pedagogico della gestualità rituale, rivolsero una cura particolare alle diverse posture del corpo, quali la posizione eretta, rappresentativa della condizione propria del redento, reso libero dalla Pasqua di Cristo, lo stare seduti, segno del discepolo in ascolto o in meditazione, lo stare in ginocchio, segno di penitenza, supplica e adorazione (cf. Mt 2, 11); il capo devotamente inclinato, sostitutivo in certo modo dello stare in ginocchio.
a) I fedeli stiano in piedi dall’inizio del canto all’ingresso, o mentre il sacerdote si reca all’altare, fino alla conclusione dell’orazione all’inizio dell’assemblea liturgica compresa; durante il canto dell’Alleluia prima del Vangelo; durante la proclamazione del Vangelo; durante la preghiera universale o preghiera dei fedeli (secondo l’uso della tradizione ambrosiana, i fedeli possono anche inginocchiarsi, seguendo la monizione del diacono o di un ministro idoneo); all’orazione a conclusione della liturgia della parola; durante l’incensazione al termine della presentazione dei doni; durante la proclamazione del simbolo della fede e dall’orazione sui doni fino al termine della Messa, fatta eccezione di quanto è detto in seguito.
b) Stiano invece seduti durante la proclamazione delle letture prima del Vangelo e durante il salmo; all’omelia; durante la preparazione dell’altare mentre si esegue il canto dopo il Vangelo; alla preparazione dei doni all’offertorio e, se lo si ritiene opportuno, durante il sacro silenzio dopo la comunione.
c) S’inginocchino poi alla consacrazione, a meno che lo impediscano lo stato di salute, la ristrettezza del luogo, o il gran numero dei presenti, o altri ragionevoli motivi. Quelli che non si inginocchiano alla consacrazione, facciano un profondo inchino mentre il sacerdote genuflette dopo la consacrazione.
d) Durante la preghiera eucaristica, al momento dell’anamnesi-offerta, i fedeli possono imitare il sacerdote, allargando a loro volta le braccia in forma di croce56.
e) Inoltre, durante il canto o la proclamazione del Padre nostro, si possono tenere le braccia allargate: questo gesto, opportunamente spiegato, si svolga in un clima intenso di preghiera. Per ottenere l’uniformità nei gesti e negli atteggiamenti del corpo in una stessa celebrazione, i fedeli seguano le indicazioni che il diacono o un altro ministro laico o lo stesso sacerdote danno secondo le norme stabilite nel Messale.
56 Cf. Giovanni Colombo, La comunità cristiana. Programma pastorale della diocesi di Milano per l’anno pastorale 1978-1979, LDC, Leumann (Torino) 1978, p. 37.
41. Fra i gesti sono comprese anche le azioni e le processioni: quella del sacerdote che, insieme al diacono e ai ministri, si reca all’altare; quella del diacono che porta all’ambone l’Evangeliario o il Libro dei Vangeli prima della proclamazione del Vangelo; quella con la quale i fedeli presentano i doni o si recano a ricevere la comunione. Conviene che tali azioni e
processioni siano fatte in modo decoroso, mentre si eseguono canti appropriati, secondo le norme stabilite per ognuna di esse.
Il silenzio
42. Si deve anche osservare, a suo tempo, il sacro silenzio, come parte della celebrazione57. La sua natura dipende dal momento in cui ha luogo nelle singole celebrazioni. Così, durante l’atto penitenziale e dopo l’invito alla preghiera, il silenzio aiuta il raccoglimento; dopo la lettura o l’omelia, è un richiamo a meditare brevemente ciò che si è ascoltato; dopo la comunione, favorisce la preghiera interiore di lode, di ringraziamento e di supplica. Anche prima della stessa celebrazione è bene osservare il silenzio in chiesa, in sacrestia, nel luogo dove si indossano le vesti liturgiche e nei locali annessi, perché tutti possano prepararsi devotamente e nei giusti modi alla sacra celebrazione.
57 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 30; cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Musicam Sacram, 5 marzo 1967, n. 17: A.A.S. 59 (1967) p. 305.
III. LE SINGOLE PARTI DELLA MESSA
A) Riti di introduzione
43. I riti che precedono la liturgia della parola, cioè il canto all’ingresso, il segno della croce, il saluto, l’atto penitenziale, il Gloria e l’orazione all’inizio dell’assemblea liturgica, hanno un carattere di inizio, di introduzione e di preparazione. Scopo di questi riti è che i fedeli, riuniti insieme, formino una comunità, e si dispongano ad ascoltare con fede la parola di Dio e a celebrare degnamente l’Eucaristia. In alcune celebrazioni connesse con la Messa i riti iniziali si omettono o si svolgono in maniera particolare. Casi specifici sono le grandi liturgie vigiliari e le diverse forme di liturgia vigiliare del sabato, che aprono l’Eucaristia domenicale con l’annuncio del Vangelo della risurrezione o con la lettura vigiliare. In queste occasioni tutto si svolge come prescritto dai rispettivi libri liturgici, a cominciare dal Libro delle Vigilie.
L’ingresso
44. Radunato il popolo, mentre il sacerdote fa il suo ingresso con il diacono e i ministri, si inizia il canto all’ingresso. La funzione propria di questo canto è quella di dare inizio alla celebrazione, favorire l’unione dei fedeli riuniti, introdurre il loro spirito nel mistero del tempo liturgico o della festività e accompagnare la processione del sacerdote e dei ministri. Quando si continua una celebrazione liturgica già iniziata, come nella processione della domenica delle Palme, nella processione che segue la benedizione delle candele nella festa della Presentazione del Signore (2 febbraio), nella processione per la solennità del titolo o del patrono e in genere quando si tratta di una vera processione e non di un semplice ingresso, molto opportunamente si possono cantare i dodici Kýrie eléison con la sallenda propria o un’antifona appropriata secondo il rito previsto nell’ordinario della Messa. In questo caso il canto all’ingresso viene eseguito dopo la sallenda, dove non sia diversamente indicato.
45. Il canto viene eseguito alternativamente dalla schola e dal popolo, o dal cantore e dal popolo, oppure tutto quanto dal popolo o dalla sola schola. Si può utilizzare sia il canto che si trova nell’Antifonale, sia quello del Messale, oppure un altro canto adatto all’azione sacra, al carattere del giorno o del tempo58, e il cui testo sia stato approvato dalla competente autorità. Se all’ingresso non ha luogo il canto, il testo proposto nel Messale viene letto o dai fedeli, o da alcuni di essi, o dal lettore. A questo scopo ci si preoccupi di preparare convenientemente i fedeli. È meno opportuno infatti che lo reciti il sacerdote stesso. Questa indicazione vale anche per gli altri canti della Messa.
58 Cf. Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Dies Domini, 31 maggio 1998, n. 50: A.A.S. 90 (1998) p. 745.
Saluto all’altare e al popolo radunato
46. Giunti in presbiterio, il sacerdote, il diacono e i ministri salutano l’altare con un profondo inchino. Quindi, in segno di venerazione, il sacerdote e il diacono lo baciano e il sacerdote, secondo l’opportunità, incensa la croce e l’altare.
47. Terminato il canto all’ingresso, il sacerdote, stando in piedi alla sede, con tutta l’assemblea si segna con il segno di croce. Poi il sacerdote con il saluto annuncia alla comunità riunita la presenza del Signore. Il saluto sacerdotale e la risposta del popolo manifestano il mistero della Chiesa radunata. Salutato il popolo, il sacerdote, o il diacono, o un ministro laico, può fare una brevissima introduzione alla Messa del giorno.
Atto penitenziale
48. Quindi il sacerdote invita all’atto penitenziale, che, dopo una breve pausa di silenzio, viene compiuto da tutta la comunità mediante una formula di confessione generale, e si conclude con l’assoluzione da parte del sacerdote, che tuttavia non ha lo stesso valore del sacramento della penitenza. La domenica, specialmente nel tempo pasquale, si può sostituire il consueto atto penitenziale, con la benedizione e l’aspersione dell’acqua in memoria del Battesimo59. L’atto penitenziale, secondo l’indicazione dei libri liturgici, si tralascia quando si compie il rito dei dodici Kýrie eléison, quando la Messa è unita ai vespri o alle lodi, nei funerali, nei matrimoni, nelle grandi liturgie vigiliari e nella liturgia vigiliare del sabato.
59 Cf. Rito per l’aspersione domenicale dell’acqua benedetta in Appendice al rito della Messa con il popolo, pp. 594-598.
Orazione all’inizio dell’assemblea liturgica
50. Poi il sacerdote invita il popolo a pregare; e tutti insieme con lui stanno per qualche momento in silenzio, per prendere coscienza di essere alla presenza di Dio e poter formulare nel cuore le proprie intenzioni di preghiera. Quindi il sacerdote dice l’orazione all’inizio dell’assemblea liturgica, per mezzo della quale viene espresso il carattere della celebrazione. Per antica tradizione della Chiesa, l’orazione è abitualmente rivolta a Dio Padre, per mezzo di Cristo, nello Spirito Santo60 e termina con la conclusione trinitaria, cioè più lunga, in questo modo:
– se è rivolta al Padre: Per Gesù Cristo, tuo Figlio, nostro Signore e nostro Dio, che vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli;
– se è rivolta al Padre, ma verso la fine dell’orazione medesima si fa menzione del Figlio e non è indicata un’altra conclusione: che vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Oppure: Per lui, nostro Signore e nostro Dio, che vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli;
– se è rivolta al Figlio e non è indicata un’altra conclusione: Tu che sei Dio, e vivi e regni con il Padre, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
Il popolo, unendosi alla preghiera, fa propria l’orazione con l’acclamazione Amen.
Nella Messa si dice una sola orazione all’inizio dell’assemblea liturgica; la stessa cosa vale anche per l’orazione a conclusione della liturgia della parola, per l’orazione sui doni e per l’orazione dopo la comunione.
60 Cf. Tertulliano, Adversus Marcionem, IV, 9: CCSL 1, p. 560; Origene, Disputatio cum Heracleida, n. 4, 24: SCh 67, p. 62; Statuta Concilii Hipponensi breviata, n. 21: CCSL 149, p. 39.
B) Liturgia della parola
51. Le letture scelte dalla Sacra Scrittura con i canti che le accompagnano costituiscono la parte principale della liturgia della parola; l’omelia, il canto dopo il Vangelo, la preghiera universale o preghiera dei fedeli e l’orazione a conclusione della liturgia della parola sviluppano e concludono tale parte. Infatti nelle letture, che vengono poi spiegate nell’omelia, Dio parla al suo popolo61, gli manifesta il mistero della redenzione e della salvezza e offre un nutrimento spirituale; Cristo stesso è presente, per mezzo della sua parola, tra i fedeli62. Il popolo fa propria questa parola divina con il silenzio e i canti; così nutrito, prega nell’orazione universale per le necessità di tutta la Chiesa e per la salvezza del mondo intero.
61 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 33.
62 Cf. ibidem, n. 7.
Il silenzio
52. La liturgia della parola deve essere celebrata in modo da favorire la meditazione; quindi si deve assolutamente evitare ogni forma di fretta che impedisca il raccoglimento. In essa sono opportuni anche brevi momenti di silenzio, adatti all’assemblea radunata, per mezzo dei quali, con l’aiuto dello Spirito Santo, la parola di Dio venga accolta nel cuore e si prepari la risposta con la preghiera. Questi momenti di silenzio si possono osservare, ad esempio, prima che inizi la stessa liturgia della parola, dopo la lettura e l’epistola (o altra lettura), e terminata l’omelia.
Le letture bibliche
53. Nelle letture viene preparata ai fedeli la mensa della parola di Dio e vengono loro aperti i tesori della Bibbia63. Conviene quindi che si osservi l’ordine delle letture bibliche, con il quale è messa meglio in luce l’unità dei due Testamenti e della storia della salvezza; non è permesso quindi sostituire con altri testi non biblici le letture e il salmo, che contengono la parola di Dio64, tranne il caso in cui, secondo la tradizione ambrosiana, nelle feste dei santi patroni si sostituisce la lettura tratta dalla Sacra Scrittura con la lettura agiografica debitamente approvata.
63 Cf. ibidem, n. 51.
64 Cf. Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Vicesimus quintus annus, 4 dicembre 1988, n. 13: A.A.S. 81 (1989) p. 910.
54. Nella celebrazione della Messa con il popolo, le letture si proclamano sempre dall’ambone.
55. Il compito di proclamare le letture, secondo la tradizione, non è competenza specifica di colui che presiede, ma di altri ministri. Le letture quindi siano proclamate da un lettore, il Vangelo sia invece proclamato dal diacono o, in sua assenza, da un altro sacerdote. Se non è presente un diacono o un altro sacerdote, lo stesso sacerdote celebrante legga il Vangelo; e se manca un lettore idoneo, il sacerdote celebrante proclami anche le altre letture. Secondo la tradizione liturgica ambrosiana, tutti i ministri che proclamano le letture chiedono e ricevono la benedizione di colui che presiede la celebrazione, grazie alla quale viene manifestato il principio dell’origine apostolica dell’annuncio. Dopo le singole letture il lettore pronuncia l’acclamazione, e il popolo riunito, con la sua risposta, dà onore alla parola di Dio, accolta con fede e con animo grato.
56. La lettura del Vangelo costituisce il culmine della liturgia della parola. Perciò la liturgia la distingue dalle altre letture con particolare onore: sia da parte del ministro incaricato di proclamarla, che si prepara con la benedizione o con la preghiera; sia da parte dei fedeli, i quali con le acclamazioni riconoscono e professano che Cristo è presente e parla a loro, e ascoltano la lettura stando in piedi; sia per mezzo dei segni di venerazione che si rendono all’Evangeliario.
Il salmo
57. Alla lettura segue il salmo o il salmello, che è parte integrante della liturgia della parola e che ha grande valore liturgico e pastorale, perché favorisce la meditazione della parola di Dio. Il salmo deve corrispondere a ciascuna lettura e deve essere preso normalmente dal Lezionario. Conviene che il salmo sia eseguito con il canto in forma responsoriale, almeno per quanto riguarda la risposta del popolo. Il salmista, quindi, o cantore del salmo, canta o recita i versetti del salmo all’ambone o in altro luogo adatto; tutta l’assemblea ascolta restando seduta, e partecipa con il ritornello previsto dal Lezionario o con un altro analogo debitamente approvato, a meno che il salmo non sia cantato o recitato per intero senza ritornello. Se il salmo non può essere cantato, venga proclamato nel modo più adatto a favorire la meditazione della parola di Dio. Se si canta, oltre al salmo designato sul Lezionario, si può utilizzare un salmello, come indicato nell’Antifonale.
L’acclamazione prima
della proclamazione del Vangelo
58. Dopo la lettura che precede immediatamente il Vangelo, si canta l’Alleluia o un altro canto stabilito dalle rubriche, come richiede il tempo liturgico. Tale acclamazione costituisce un rito o un atto a se stante, con il quale l’assemblea dei fedeli accoglie e saluta il Signore che sta per parlare nel Vangelo e con il canto manifesta la propria fede. Viene cantato da tutti stando in piedi, sotto la guida della schola o del cantore, e, se il caso lo richiede, si ripete; il versetto invece viene cantato dalla schola o dal cantore.
a) L’Alleluia si canta in qualsiasi tempo, tranne in quaresima. I versetti si scelgono dal Lezionario oppure dall’Antifonale.
b) In tempo di quaresima, al posto dell’Alleluia si cantano l’acclamazione e il versetto riportati nel Lezionario prima del Vangelo. Si possono anche cantare l’acclamazione e il versetto che si trovano nell’Antifonale.
59. Quando vi è una sola lettura prima del Vangelo:
a) nel tempo in cui si canta l’Alleluia si può utilizzare o il salmo alleluiatico, o il salmo e l’Alleluia con il suo versetto, o solo il salmo o solo l’Alleluia;
b) nel tempo in cui l’Alleluia non si canta, si può utilizzare o il salmo o il versetto prima del Vangelo.
L’Alleluia e il versetto prima del Vangelo, se non si cantano, si possono tralasciare.
60. L’antifona prima del Vangelo, che si trova in alcuni giorni determinati (Natale del Signore, Epifania e Pasqua), se non viene cantata, è recitata da tutta l’assemblea.
L’omelia
61. L’omelia fa parte della liturgia ed è vivamente raccomandata65: è infatti necessaria per alimentare la vita cristiana. Essa deve consistere nella spiegazione o di qualche aspetto delle letture della Sacra Scrittura, o di un altro testo dell’ordinario o del proprio della Messa del giorno, tenuto conto sia del mistero che viene celebrato, sia delle particolari necessità di chi ascolta66.
65 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 52; Codice di Diritto Canonico (1983), can. 767, § 1.
66 Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter OEcumenici, 26 settembre 1964, n. 54: A.A.S. 56 (1964) p. 890.
62. L’omelia di solito sia tenuta personalmente dal sacerdote celebrante. Talvolta, potrà essere da lui affidata a un sacerdote concelebrante e, secondo l’opportunità, anche al diacono; mai però a un laico67. In casi particolari e per un giusto motivo l’omelia può essere tenuta anche dal vescovo o da un presbitero che partecipa alla celebrazione anche se non può concelebrare. Nelle domeniche e nelle feste di precetto l’omelia si deve tenere in tutte le Messe con la partecipazione del popolo e non può essere omessa, se non per un grave motivo. Negli altri giorni è raccomandata, specialmente nelle ferie di avvento, di quaresima e del tempo pasquale; così pure nelle altre feste e circostanze nelle quali è più numeroso il concorso del popolo alla chiesa68. È opportuno, dopo l’omelia, osservare una breve pausa di silenzio.
67 Cf. Codice di Diritto Canonico (1983), can. 767, § 1; Pontificia Commissione per l’interpretazione autentica del CIC, risposta al dubbio circa il can. 767, § 1: A.A.S. 79 (1987) p. 249; Istruzione interdicasteriale su alcune questioni circa la collaborazione dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti Ecclesiæ de mysterio, 15 agosto 1997, art. 3: A.A.S. 89 (1997) p. 864.
68 Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter OEcumenici, 26 settembre 1964, n. 53, in A.A.S. 56 (1964) p. 890.
63. Dopo l’omelia o, se non vi è l’omelia, subito dopo la lettura del Vangelo si canta o si recita il canto dopo il Vangelo, mentre si prepara l’altare. Durante il canto infatti, l’altare o mensa del Signore, che è il centro di tutta la liturgia eucaristica69, viene preparato dai ministri in vista della liturgia eucaristica, ponendovi sopra il corporale (o sindone), il purificatoio e i vasi sacri. Le norme sul modo di eseguire il canto sono le stesse del canto all’ingresso (cf. n. 45).
69 Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter OEcumenici, 26 settembre 1964, n. 91: A.A.S. 56 (1964) p. 898; cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 24: A.A.S. 59 (1967) p. 554.
La preghiera universale
64. Nella preghiera universale, o preghiera dei fedeli, il popolo risponde in certo modo alla parola di Dio accolta con fede e, esercitando il proprio sacerdozio battesimale, offre a Dio preghiere per la salvezza di tutti. È conveniente che nelle Messe con partecipazione di popolo vi sia normalmente questa preghiera, nella quale si elevino suppliche per la santa Chiesa, per i governanti, per coloro che portano il peso di varie necessità, per tutti gli uomini e per la salvezza di tutto il mondo70.
70 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 53.
65. La successione delle intenzioni sia ordinariamente
questa:
a) per le necessità della Chiesa;
b) per i governanti e per la salvezza di tutto il mondo;
c) per quelli che si trovano in difficoltà;
d) per la comunità locale.
Tuttavia in qualche celebrazione particolare, per esempio nella Confermazione e nel Matrimonio, la successione delle intenzioni può venire adattata maggiormente alla circostanza particolare.
66. Spetta al sacerdote celebrante guidare dalla sede la preghiera. Egli l’introduce con una breve monizione, per invitare i fedeli a pregare, e la conclude con l’orazione a conclusione della liturgia della parola, anticamente detta super sindonem. Le intenzioni che vengono proposte siano sobrie, formulate con una sapiente libertà e con poche parole, raccogliendo la preghiera di tutta la comunità. Le intenzioni si leggono dall’ambone o da altro luogo conveniente, da parte del diacono o del cantore o del lettore o da un fedele laico71. Il popolo, stando in piedi, esprime la sua supplica con un’invocazione comune dopo la formulazione di ogni singola intenzione, oppure pregando in silenzio. Secondo l’antica tradizione ambrosiana, lodevolmente si può usare l’invocazione Kýrie eléison. Quale espressione di umile supplica i fedeli possono mettersi in ginocchio, secondo quanto previsto dall’ordinario della Messa.
71 Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter OEcumenici, 26 settembre 1964, n. 56: A.A.S. 56 (1964) p. 890.
Orazione a conclusione della liturgia della parola
67. Terminate le intenzioni della preghiera universale, il sacerdote dice l’orazione a conclusione della liturgia della parola. Essa non va mai omessa, anche quando si tralasciasse la preghiera universale. Nella Messa si dice un’unica orazione a conclusione della liturgia della parola, che termina con una delle seguenti formule brevi: Per Cristo nostro Signore, se è rivolta al Padre; Egli (o che) vive e regna nei secoli dei secoli oppure Per lui che vive e regna nei secoli dei secoli, se, pur rivolta al Padre, verso il termine menziona il Figlio; Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli, se è rivolta al Figlio. Il popolo, unendosi alla preghiera fa propria l’orazione con l’acclamazione Amen.
C) Liturgia eucaristica
68. Nell’ultima cena Cristo istituì il sacrificio e convito pasquale per mezzo del quale è reso continuamente presente nella Chiesa il sacrificio della croce, allorché il sacerdote, che rappresenta Cristo Signore, compie ciò che il Signore stesso fece e affidò ai discepoli, perché lo facessero in memoria di lui72. Cristo infatti prese il pane e il calice, rese grazie, spezzò il
pane e li diede ai suoi discepoli, dicendo: «Prendete, mangiate, bevete; questo è il mio Corpo; questo è il calice del mio Sangue. Fate questo in memoria di me». Perciò la Chiesa ha disposto tutta la celebrazione della liturgia eucaristica in vari momenti, che corrispondono a queste parole e gesti di Cristo. Infatti:
1) nella preparazione dei doni, vengono portati all’altare pane e vino con acqua, cioè gli stessi elementi che Cristo prese tra le sue mani.
2) Nella preghiera eucaristica si rendono grazie a Dio per tutta l’opera della salvezza, e le offerte diventano il Corpo e il Sangue di Cristo.
3) Mediante la frazione del pane e per mezzo della comunione i fedeli, benché molti, si cibano del Corpo del Signore dall’unico pane e ricevono il suo Sangue dall’unico calice, allo stesso modo con il quale gli apostoli li hanno ricevuti dalle mani di Cristo stesso.
72 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 47; Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 3a, b: A.A.S. 59 (1967) pp. 540-541.
Il rito della pace e la preparazione dei doni
69. Prima che i doni vengano portati all’altare, secondo l’esortazione evangelica (cf. Mt 5, 23-24) ha luogo il rito della pace con il quale i fedeli, animati dalla parola di Dio, prima di celebrare il mistero eucaristico si manifestano reciprocamente l’amore fraterno. Il diacono o, qualora mancasse, lo stesso sacerdote che presiede la celebrazione proclama: Sia pace tra voi o un’altra simile monizione; e tutti si scambiano un segno di pace. Conviene che ciascuno dia la pace soltanto a chi gli sta vicino, in modo sobrio.
70. Quindi si portano all’altare i doni, che diventeranno il Corpo e il Sangue di Cristo. Secondo l’ininterrotta tradizione ambrosiana, è bene che i fedeli presentino il pane e il vino; il sacerdote o il diacono li riceve in luogo opportuno e adatto, recitando la formula prescritta e li depone sull’altare. Quantunque i fedeli non portino più, come un tempo, il loro proprio pane e vino destinati alla liturgia, tuttavia il rito della presentazione di questi doni conserva il suo valore e il suo significato spirituale. Si possono anche fare offerte in denaro, o presentare altri doni per i poveri o per la Chiesa, portati dai fedeli o raccolti in chiesa. Essi vengono deposti in luogo adatto, fuori della mensa eucaristica.
71. Il canto di offertorio accompagna sia la processione con la quale si portano i doni, sia la loro presentazione. Anche qualora non si svolga la processione dei doni è sempre possibile accompagnare con il canto i riti offertoriali. Le norme che regolano questo canto sono le stesse previste per il canto all’ingresso (cf. n. 45). L’antifona di offertorio, se non si canta, viene tralasciata.
72. Il sacerdote depone il pane e il vino sull’altare pronunciando le formule prescritte. Egli può incensare i doni posti sull’altare, quindi la croce e l’altare, per significare che l’offerta della Chiesa e la sua preghiera si innalzano come incenso al cospetto di Dio. Dopo l’incensazione dei doni, della croce e dell’altare, anche il sacerdote, in ragione del sacro ministero, e il popolo, per la sua dignità battesimale, possono ricevere l’incensazione dal diacono o da un altro ministro.
73. Quindi, se è necessario, il sacerdote lava le mani a lato dell’altare.
Simbolo o professione di fede
74. Prima di recitare l’orazione sui doni si proclama il simbolo, mediante il quale l’assemblea liturgica, apprestandosi a celebrare il mistero eucaristico, esprime la propria comunione con tutte le Chiese che, sparse nel mondo, professano l’unica fede nella santissima Trinità.
75. Il simbolo – ordinariamente quello niceno-costantinopolitano e, quando consentito, quello detto «degli apostoli» – deve essere cantato o recitato dal sacerdote insieme con il popolo: nelle domeniche; nelle solennità; nei giorni dell’ottava del Natale; nel sabato in traditione symboli; nei giorni dell’ottava di Pasqua e nelle Messe per i battezzati; nelle feste del Signore, della beata Vergine Maria, degli apostoli e degli evangelisti e nella festa di santa Maria Maddalena; si può dire anche in particolari celebrazioni più solenni. Se si canta, viene intonato dal sacerdote o, secondo l’opportunità, dal cantore o dalla schola, ed eseguito da tutti insieme o dal popolo alternativamente con la schola. Se non si canta, viene proclamato da tutti insieme o a cori alterni.
L’orazione sui doni
76. Deposte le offerte sull’altare e compiuti i riti che accompagnano questo gesto, il sacerdote pronuncia l’orazione sui doni: si conclude così la preparazione delle offerte e ci si prepara alla preghiera eucaristica. Nella Messa si dice un’unica orazione sui doni che si conclude con la formula breve: Per Cristo nostro Signore; se invece essa termina con la menzione del Figlio: Egli (o che) vive e regna nei secoli dei secoli. Il popolo, unendosi alla preghiera, fa propria l’orazione con l’acclamazione Amen.
La preghiera eucaristica
77. A questo punto ha inizio il momento centrale e culminante dell’intera celebrazione, la preghiera eucaristica, ossia la preghiera di azione di grazie e di santificazione. Il sacerdote invita il popolo a innalzare il cuore verso il Signore nella preghiera e nell’azione di grazie, e lo associa a sé nella solenne preghiera, che egli, a nome di tutta la comunità, rivolge a Dio Padre per mezzo del Signore Gesù Cristo nello Spirito Santo. Il significato di questa preghiera è che tutta l’assemblea dei fedeli si unisca insieme con Cristo nel magnificare le grandi opere di Dio e nell’offrire il sacrificio. La preghiera eucaristica esige che tutti l’ascoltino con riverenza e silenzio e vi partecipino con le acclamazioni previste nel rito.
78. Gli elementi principali di cui consta la preghiera eucaristica, si possono distinguere come segue:
a) L’azione di grazie (che si esprime particolarmente nel prefazio): il sacerdote, a nome di tutto il popolo santo, glorifica Dio Padre e gli rende grazie per tutta l’opera della salvezza o per qualche suo aspetto particolare, a seconda della diversità del giorno, della festa o del tempo.
b) L’acclamazione: tutta l’assemblea, unendosi alle creature celesti, canta o recita il Santo. Questa acclamazione, che fa parte della preghiera eucaristica, è cantata o proclamata da tutto il popolo con il sacerdote.
c) L’epiclesi: la Chiesa implora con speciali invocazioni la potenza dello Spirito Santo, perché i doni offerti dagli uomini siano consacrati, cioè diventino il Corpo e il Sangue di Cristo, e perché la vittima immacolata, che si riceve nella comunione, giovi per la salvezza di coloro che vi parteciperanno.
d) Il racconto dell’istituzione e la consacrazione: mediante le parole e i gesti di Cristo, si compie il sacrificio che Cristo stesso istituì nell’ultima cena, quando offrì il suo Corpo e il suo Sangue sotto le specie del pane e del vino, li diede da mangiare e da bere agli apostoli e lasciò loro il mandato di perpetuare questo mistero.
e) L’anamnesi: la Chiesa, adempiendo il comando ricevuto da Cristo Signore per mezzo degli apostoli, celebra il memoriale di Cristo, commemorando specialmente la sua beata passione, la mirabile risurrezione e la gloriosa ascensione al cielo.
f) L’offerta: nel corso di questo stesso memoriale la Chiesa, in modo particolare quella radunata in quel momento e in quel luogo, offre al Padre nello Spirito Santo il pane santo della vita eterna e il calice dell’eterna salvezza. La Chiesa desidera che i fedeli non solo offrano la vittima immacolata, ma imparino anche a offrire se stessi73 e così portino a compimento ogni giorno di più, per mezzo di Cristo mediatore, la loro unione con Dio e con i fratelli, perché finalmente Dio sia tutto in tutti74.
g) Le intercessioni: con esse si esprime che l’Eucaristia viene celebrata in comunione con tutta la Chiesa, sia celeste che terrena, e che l’offerta è fatta per essa e per tutti i suoi membri, vivi e defunti, i quali sono stati chiamati a partecipare alla redenzione e alla salvezza ottenuta per mezzo del Corpo e del Sangue di Cristo.
h) La dossologia finale: con essa si esprime la glorificazione di Dio; viene ratificata e conclusa con l’acclamazione del popolo: Amen.
73 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 48; cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 12: A.A.S. 59 (1967) pp. 548-549.
74 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 48; Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale Presbyterorum Ordinis, n. 5; Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 12: A.A.S. 59 (1967) pp. 548-549.
I riti di comunione
79. Poiché la celebrazione eucaristica è un convito pasquale, conviene che, secondo il comando del Signore, i fedeli ben disposti ricevano il suo Corpo e il suo Sangue come cibo spirituale. A questo mirano la frazione del pane e gli altri riti preparatori, che dispongono immediatamente i fedeli alla comunione.
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