Principi e norme del Messale Ambrosiano

 

A TUTTI I FRATELLI E LE SORELLE
DI RITO AMBROSIANO
 

Trascorsi quasi cinquant’anni dalla promulgazione del Messale Ambrosiano, riformato a norma dei decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II, come «atto di fedeltà e di amore alla Chiesa ambrosiana» e insieme «atto di dovere di obbedienza alle direttive del Concilio» (cf. decreto di promulgazione in data 11 aprile 1976) si rende necessario un aggiornamento del testo che, in comunione con le altre comunità di Rito latino, giunte alla III edizione del Messale Romano, prende la forma di una II edizione del Messale Ambrosiano.


1. L’umiltà di uno strumento

Offriamo uno strumento, con la serietà di un decreto e la solennità di una tradizione secolare, ma pur sempre uno strumento.
Il Messale Ambrosiano ha una tradizione gloriosa e il suo aspetto monumentale, l’impegno che ha richiesto da parte della Congregazione del Rito Ambrosiano, le risorse richieste all’Arcidiocesi di Milano e alle comunità intendono onorare la tradizione e continuare la storia di santità che dà alla nostra Chiesa il suo volto caratteristico.
Lo offro però con l’umiltà di uno strumento: deve infatti servire.
Il Messale deve servire per la celebrazione liturgica: lo Spirito Santo dona a tutte le comunità e a ciascuna persona di entrare nel mistero della Pasqua di Gesù per accogliere la grazia della divinizzazione, cioè della partecipazione alla vita del Figlio unigenito di Dio, il Signore Nostro Gesù Cristo.
Perché il Messale possa servire allo scopo per cui è stato offerto alla comunità deve essere accolto con la persuasione che noi non siamo capaci di pregare, ma siamo introdotti nella familiarità con Dio per il dono dello Spirito di Gesù:
«Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Padre!”» (Rm 8, 14-15).
«Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio» (Rm 8, 26-27).
Invito tutti, soprattutto coloro che devono abitualmente utilizzare il Messale, a disporsi in umile docilità, perché lo Spirito aiuti la preghiera personale e di tutta la comunità. Noi infatti non siamo capaci di pregare, anche se preghiamo e celebriamo tutti i giorni da molti anni: e abbiamo un grande bisogno di pregare, di celebrare, di essere accolti e avvolti dalla gloria di Dio.
Il mondo è troppo triste e disperato e coloro che partecipano alla celebrazione dei santi misteri hanno la responsabilità di offrire e testimoniare la gioia e la speranza.


2. La II edizione del Messale Ambrosiano

Le indicazioni di Papa Benedetto XVI e di Papa Francesco, la traduzione in lingua italiana della Bibbia che la Conferenza Episcopale Italiana ha pubblicato nel 2008, la nuova edizione del Messale Romano pubblicata nel 2020, sono stati i punti di riferimento per la nuova edizione del Messale Ambrosiano, che ora pubblichiamo.

L’impresa ha richiesto un lavoro prolungato e paziente di cui sono molto grato alla Congregazione del Rito Ambrosiano. Non sono mancate discussioni e aspettative di un profondo ripensamento del libro liturgico, del linguaggio, dell’impostazione grafica. Ho scelto una via più modesta e, ritengo, più realistica e saggia, consapevole dei miei limiti e convinto che per la bellezza ed efficacia delle celebrazioni sia più necessaria la docilità allo Spirito che radicali trasformazioni del testo e dei segni. Ho pertanto deciso, accogliendo saggi consigli, di orientare il lavoro verso la recezione della nuova traduzione del Messale Romano per l’Ordinario, di disporre la necessaria opera di armonizzazione del Messale con il Calendario Ambrosiano e il Lezionario Ambrosiano promulgati dal Card. Dionigi Tettamanzi il 20 marzo 2008 (con successiva promulgazione del Calendario Ambrosiano concernente i santi in data 27 marzo 2010 e del corrispettivo Lezionario in data 1 aprile 2010; del Libro delle Vigilie in data 29 giugno 2015), di curare che i testi dell’eucologia fossero conservati nella loro straordinaria ricchezza, ma resi più comprensibili con la correzione di alcune espressioni, di arricchire ulteriormente i testi disponibili con la creazione di nuovi testi, adatti a diverse circostanze della vita e intenzioni delle comunità. 

Queste le principali novità che caratterizzano la II edizione del Messale Ambrosiano: 

a) Recependo la nuova scansione dell’Anno Liturgico, il Tempo Ordinario, che comprendeva 32 domeniche, è stato completamente riorganizzato nei due Tempi dopo l’Epifania (dall’Epifania alla Quaresima) e dopo Pentecoste (dalla Pentecoste all’Avvento).
b) Recependo la nuova organizzazione del Calendario (comune ambrosiano; proprio ambrosiano dell’Arcidiocesi di Milano; proprio ambrosiano della città di Milano), la II edizione del Messale Ambrosiano rinnova e aggiorna il proprio dei santi.
c) Recependo i cambiamenti intervenuti nel Rito della Messa a partire dall’Avvento 2020, aggiorna l’Ordinario della Messa, con la nuova versione delle Preghiere Eucaristiche già presenti nella I edizione e con l’aggiunta delle quattro forme della Preghiera Eucaristica per le Messe per varie necessità.
d) Non pochi testi eucologici e alcuni canti sono stati rivisti nella loro forma espressiva e nella loro qualità teologica. Una particolare attenzione è stata posta alla revisione delle Messe dei defunti, specialmente quelle usate in occasione dei funerali, per esprimere meglio il senso della morte cristiana e l’annuncio della speranza nella vita futura.
e) Non mancano infine alcuni testi di nuova composizione (un secondo prefazio per la domenica della Santissima Trinità; il formulario per il 16 dicembre; la Messa “Chiesa dalle genti”, ecc.), che incrementano e rinnovano la preghiera liturgica ambrosiana.


3. L’uso del Messale

Perché lo strumento che pubblichiamo serva allo scopo, chiedo a tutti di curare le condizioni delle celebrazioni. La celebrazione è grazia e responsabilità di tutti i fedeli. Pertanto tutti sono chiamati a collaborare perché l’ambiente della celebrazione sia adatto, perché i segni liturgici siano visibili e apprezzabili, il silenzio e il canto, le parole e gli sguardi siano propizi alla preghiera, le parole risuonino con chiarezza e semplicità, tutti possano entrare nella chiesa, tutti possano ascoltare, anche le persone con disabilità.

I presbiteri che presiedono la celebrazione sono chiamati a una particolare attenzione per essere a servizio dell’assemblea con lo stile opportuno, con l’attenzione ai segni e ai testi, con l’intima devozione, con la visibile gioia, con la doverosa competenza.
Tutti dobbiamo vigilare sui rischi dell’automatismo, dell’inerzia, del protagonismo e dell’esibizionismo, delle scelte arbitrarie.
Tutti gli operatori pastorali, i ministri ordinati, i consacrati e le consacrate, i ministri istituiti, le catechiste e i catechisti, devono offrire il loro contributo per iniziare al linguaggio della liturgia e creare condizioni propizie per i più piccoli, spesso più semplici e incantati di fronte al mistero e spesso troppo distratti da un contesto rumoroso e da distrazioni inopportune.
La celebrazione chiede di essere desiderata, preparata, vissuta con intensità, perché porti nei fedeli i frutti che il Signore ha promesso a coloro che dimorano in lui, in particolare la gioia e la grazia di essere un cuore solo e un’anima sola nella comunione dei santi.

Pertanto, dopo aver approvato i testi predisposti per la II edizione del Messale Ambrosiano dalla Congregazione del Rito Ambrosiano e averli inviati, con mia lettera in data 4 novembre 2022, al Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti per la debita recognitio, ho ottenuto dal medesimo Dicastero, in base alle facoltà attribuite dal Sommo Pontefice Francesco, l’approvazione e la ratifica del nuovo testo liturgico, con il Decreto Mediolanensis Ecclesia, del 7 dicembre 2023, Solennità di S. Ambrogio, espressione visibile e concreta della comunione che unisce la Chiesa di Milano alla Sede di Pietro.

Con il presente atto, in forza della competenza propria dell’Arcivescovo di Milano come Capo del Rito Ambrosiano, promulgo il testo della II edizione del Messale Ambrosiano (in latino e in italiano) e stabilisco che entri in vigore la prima domenica di Avvento 2024 (17 novembre); pertanto, a partire da tale data, il nuovo testo deve essere adottato come ufficiale e obbligatorio in tutte le chiese, oratori e cappelle di Rito Ambrosiano, nell’Arcidiocesi di Milano e nelle altre Diocesi in cui siano presenti comunità di Rito Ambrosiano.

Affido alla Congregazione del Rito Ambrosiano, in collaborazione con i competenti uffici e servizi della Curia arcivescovile, il compito di predisporre quanto necessario per dare attuazione alle presenti disposizioni e rendere disponibile il testo liturgico a tutti i fratelli e le sorelle di Rito Ambrosiano, per i quali invoco la mia benedizione.

Dato nel Duomo di Milano, chiesa madre di tutti i fedeli ambrosiani, il 28 marzo 2024, Giovedì della Settimana Autentica, Messa Crismale.

Prot. Gen. n. 00822/24

† Mario Enrico Delpini
Arcivescovo

Mons. Marino Mosconi
Cancelliere Arcivescovile

 

 

PROEMIO

1. Desiderando celebrare con i suoi discepoli il banchetto pasquale, nel quale istituì il sacrificio del suo Corpo e del suo Sangue, Cristo Signore ordinò di preparare una sala grande e addobbata (cf. Lc 22, 12). La Chiesa, quando dettava le norme per preparare gli animi, disporre i luoghi, fissare i riti e scegliere i testi per la celebrazione dell’Eucaristia, ha perciò sempre considerato quest’ordine come rivolto a se stessa.
Allo stesso modo le presenti norme, stabilite in base alle decisioni del concilio ecumenico Vaticano II e ai successivi sviluppi della riforma del rito ambrosiano, sono una prova della sollecitudine della Chiesa milanese, della sua fede e del suo amore immutato verso il grande mistero eucaristico, e testimoniano la sua continua e ininterrotta tradizione e le modalità secondo cui tale tradizione è stata riproposta e vive in questo nostro tempo. 

Testimonianza di una fede immutata

2. La natura sacrificale della Messa, solennemente affermata dal concilio di Trento, in armonia con tutta la tradizione della Chiesa1, è stata riaffermata dal concilio Vaticano II, che ha pronunciato, al riguardo, queste significative parole: «Il nostro Salvatore nell’ultima cena... istituì il sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue, al fine di perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il sacrificio della croce, e di affidare così alla sua diletta sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e risurrezione»2.
In questo insegnamento del concilio si ritrova quanto costantemente enunciato nelle formule eucologiche, come indica con precisione il seguente testo ambrosiano3, già documentato anche nell’antico Sacramentario Veronese4: «Ogni volta che si celebra con questa offerta la memoria del tuo Figlio immolato e risorto, rivive e si rende efficace l’opera della nostra redenzione».
È questa la fede espressa con chiarezza e con cura anche nelle preghiere eucaristiche nelle quali, quando il sacerdote fa l’anamnesi, si rivolge a Dio in nome di tutto il popolo, gli rende grazie e gli offre «il pane santo della vita eterna e il calice dell’eterna salvezza»5, pregando perché, trasformati dallo Spirito Santo, tutti coloro che comunicano diventino un sacrificio accetto al Padre per la salvezza del mondo intero6.
Così, anche nel Messale ambrosiano, la regola della fede (lex credendi) e la norma della preghiera (lex orandi) sono costantemente in perfetta consonanza; la regola della fede ci dice infatti che, fatta eccezione per il modo di offrire che è differente, vi è piena identità tra il sacrificio della croce e la sua rinnovazione sacramentale nella Messa, che Cristo Signore ha istituito nell’ultima cena e ha ordinato agli apostoli di celebrare in memoria di lui. Ne consegue che la Messa è insieme sacrificio di lode, d’azione di grazie, di propiziazione e di espiazione.


1 Conc. Ecum. Tridentino, Sessione XXII, 17 settembre 1562: Denz.-Schönm., nn. 1738-1759.
2 Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 47; cf. Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, nn. 3, 28; Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale Presbyterorum Ordinis, nn. 2, 4, 5.
3 VI domenica di Pasqua, orazione sui doni; Sacramentarium Bergomense, ed. A. Paredi, n. 667; Sacramentario di Biasca, ed. O. Heiming, n. 636.
4 Messa vespertina nella cena del Signore, orazione sulle offerte; Sacramentarium Veronense, ed. L. C. Mohlberg, n. 93.
5 Cf. preghiera eucaristica I.
6 Cf. preghiera eucaristica IV.


 

3. Anche il mistero mirabile della presenza reale del Signore sotto le specie eucaristiche è affermato dal concilio Vaticano II7 e dagli altri documenti del magistero della Chiesa8, nel medesimo senso e con la medesima dottrina con cui il concilio di Trento l’aveva proposto alla nostra fede9.
Nella celebrazione della Messa, questo mistero è posto in luce non soltanto dalle parole stesse della consacrazione, che rendono Cristo presente per mezzo della transustanziazione, ma anche dal senso e dall’espressione esteriore di sommo rispetto e di adorazione di cui è fatto oggetto nel corso della liturgia eucaristica. Per lo stesso motivo, il Giovedì Santo, nella celebrazione della cena del Signore, e nella solennità del Corpo e del Sangue del Signore, il popolo cristiano è chiamato a onorare in modo particolare, con l’adorazione, questo mirabile Sacramento.


7 Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, nn. 7, 47; Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale Presbyterorum Ordinis, nn. 5, 18.
8 Cf. Pio XII, Lettera enciclica Humani Generis, 12 agosto 1950: A.A.S. 42 (1950) pp. 570-571; Paolo VI, Lettera enciclica Mysterium Fidei, 3 settembre 1965: A.A.S. 57 (1965) pp. 762-769; Solenne professione di fede, 3 giugno 1968, nn. 24-26: A.A.S. 60 (1968) pp. 442-443; Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, nn. 3f-9: A.A.S. 59 (1967) pp. 543-547.
9 Conc. Ecum. Tridentino, Sessione XIII, 11 ottobre 1551: Denz.-Schönm., nn. 1635-1661.


 

4. La natura del sacerdozio ministeriale, che è proprio del vescovo e del presbitero, in quanto offrono il sacrificio nella persona di Cristo e presiedono l’assemblea del popolo santo, è messa in luce, nella forma stessa del rito, dal posto eminente del sacerdote e dalla sua funzione. I compiti di questa funzione sono indicati e ribaditi con molta chiarezza nel prefazio della Messa crismale del Giovedì Santo, giorno in cui si commemora l’istituzione del sacerdozio. Il testo sottolinea la potestà sacerdotale conferita per mezzo dell’imposizione delle mani e descrive questa medesima potestà enumerandone tutti gli uffici: è la continuazione della potestà sacerdotale di Cristo, sommo sacerdote della nuova alleanza.


5. Questa natura del sacerdozio ministeriale mette a sua volta nella giusta luce un’altra realtà di grande importanza: il sacerdozio regale dei fedeli, il cui sacrificio spirituale raggiunge la sua piena realizzazione attraverso il ministero del vescovo e dei presbiteri, in unione con il sacrificio di Cristo, unico mediatore10. La celebrazione dell’Eucaristia è infatti azione di tutta la Chiesa. In essa ciascuno compie soltanto, ma integralmente, quello che gli compete, tenuto conto del posto che occupa nel popolo di Dio. È il motivo per cui si presta ora maggiore attenzione a certi aspetti della celebrazione che, nel corso dei secoli, erano stati talvolta alquanto trascurati. Questo popolo è il popolo di Dio, acquistato dal Sangue di Cristo, radunato dal Signore, nutrito con la sua parola; popolo la cui vocazione è di far salire verso Dio le preghiere di tutta la famiglia umana; popolo che, in Cristo, rende grazie per il mistero della salvezza, offrendo il suo sacrificio; popolo infine che, per mezzo della comunione al Corpo e al Sangue di Cristo, rafforza la sua unità. Questo popolo è già santo per la sua origine; ma in forza della sua partecipazione consapevole, attiva e fruttuosa al mistero eucaristico, progredisce continuamente in santità11.


10 Conc. Ecum. Vaticano II, Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale Presbyterorum Ordinis, n. 2.
11 Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 11.


 

Prova di una tradizione ininterrotta

6. Nell’enunciare le norme per la revisione del rito della Messa, il concilio Vaticano II ha ordinato, tra l’altro, che certi riti venissero «riportati all’antica tradizione dei santi Padri»12. Sono le stesse parole usate da san Pio V nella Costituzione apostolica Quo primum, con la quale, nel 1570, promulgava il Messale di Trento. In tempi davvero difficili, nei quali la fede cattolica era stata messa in pericolo circa la natura sacrificale della Messa, il sacerdozio ministeriale, la presenza reale e permanente di Cristo sotto le specie eucaristiche, a san Pio V premeva anzitutto salvaguardare una tradizione relativamente recente ingiustamente attaccata, introducendo il meno possibile di cambiamenti nel sacro rito. E in verità, il Messale del 1570 si differenzia ben poco dal primo Messale stampato nel 1474; e questo, a sua volta, riprende fedelmente il Messale del tempo di Innocenzo III. Allo stesso modo il Messale ambrosiano del 1594 non molto si differenzia dal Messale stampato nel 1475, avendo tuttavia attinto non poco dal Messale di san Pio V.


12 Cf. ibidem, n. 50.


 

7. Oggi però, questa «tradizione dei santi Padri», tenuta presente dai revisori responsabili del Messale di san Pio V, si è arricchita di innumerevoli studi di eruditi. Dopo la prima edizione del Sacramentario detto Gregoriano, nel 1571, gli antichi sacramentari romani e ambrosiani sono stati oggetto di numerose edizioni critiche; lo stesso si dica degli antichi libri liturgici ispanici e gallicani. E così il Messale ambrosiano del 1609 stampato per ordine del cardinale arcivescovo Federico Borromeo riporta assai fedelmente gli esemplari più antichi; una fedeltà ancora più grande ai testi antichi si ritrova nel Messale edito nel 1902 per ordine del beato cardinale arcivescovo Andrea Carlo Ferrari. Tutto questo aveva fatto riscoprire numerose preghiere fino allora ignorate, ma di non poca importanza per la vita dello spirito.
Data poi la scoperta di un buon numero di documenti liturgici, sono pure, attualmente, meglio conosciute le tradizioni dei primi secoli, anteriori alla formazione dei riti d’oriente e d’occidente. Inoltre, il progresso degli studi patristici ha permesso di appurare la teologia del mistero eucaristico attraverso l’insegnamento di Padri eminenti nell’antichità cristiana, come sant’Ireneo, sant’Ambrogio, san Cirillo di Gerusalemme, san Giovanni Crisostomo.


8. La «tradizione dei santi Padri» esige dunque che non solo si conservi la tradizione trasmessa dai nostri immediati predecessori, ma che si tenga presente e si approfondisca fin dalle origini tutto il passato della Chiesa e si faccia un’accurata indagine sui modi molteplici con cui l’unica fede si è manifestata in forme di cultura umana e profana così diverse tra loro, quali erano quelle in uso nelle regioni abitate da Semiti, Greci e Latini. Questo approfondimento più vasto ci permette di constatare come lo Spirito Santo accordi al popolo di Dio un’ammirevole fedeltà nel conservare immutato il deposito della fede, per grande che sia la varietà delle preghiere e dei riti. 
In mezzo a questa varietà, il rito ambrosiano «legittimamente riconosciuto e considerato sulla stessa base di diritto e di onore», secondo quanto dice il concilio Vaticano II,13 «è stato prudentemente e integralmente riveduto nello spirito della sana tradizione e gli è stato dato un nuovo vigore, come richiedono le circostanze e le necessità del nostro tempo»14.
Le innovazioni apportate al Messale romano, attentamente valutate, sono state spesso accolte. Del resto esse, più di una volta, fanno propria l’antica tradizione ambrosiana, così che lo stesso Messale ambrosiano può mutuare parecchio da quello romano, naturalmente salvaguardando ciò che costituisce la peculiare caratteristica della sua originaria tradizione. Mentre infatti alcuni dei principi e delle norme del concilio Vaticano II «possono e devono essere applicati sia al rito romano sia agli altrI riti», le norme di carattere pratico dello stesso concilio «devono intendersi come riguardanti il solo rito romano, a meno che si tratti di cose che per loro stessa natura si riferiscono anche ad altri riti»15.


13 Ibidem, n. 4.
14 Ibidem, n. 4.
15 Ibidem, n. 3.


 

Adattamento alle nuove condizioni

9. Il Messale, mentre attesta la norma della preghiera della Chiesa ambrosiana e salvaguarda il deposito della fede trasmesso dai recenti concili, segna a sua volta una tappa di grande importanza nella tradizione liturgica.
Quando i Padri del concilio Vaticano II ripresero le formulazioni dogmatiche del concilio di Trento, le loro parole risuonarono in un’epoca ben diversa nella vita del mondo. Per questo in campo pastorale essi hanno potuto dare suggerimenti e consigli che sarebbero stati impensabili quattro secoli prima.


10. Il concilio di Trento aveva già riconosciuto il grande valore catechistico contenuto nella celebrazione della Messa, ma non poteva trarne tutte le conseguenze pratiche. In realtà molti chiedevano che venisse concesso l’uso della lingua volgare nella celebrazione del sacrificio eucaristico.
Ma dinanzi a tale richiesta il concilio, considerate le circostanze di allora, ritenne suo dovere riaffermare la dottrina tradizionale della Chiesa, secondo la quale il sacrificio eucaristico è anzitutto azione di Cristo stesso: ne consegue che la sua efficacia non dipende affatto da come vi partecipano i fedeli. Ecco perché si espresse con queste parole decise e insieme misurate: «Benché la Messa contenga un ricco insegnamento per il popolo dei fedeli, i Padri non hanno ritenuto opportuno che venga celebrata indistintamente in lingua volgare»16. E condannò chi osasse affermare che «non si deve ammettere il rito della Chiesa romana, in forza del quale una parte del canone e le parole della consacrazione vengono dette a bassa voce; o che la Messa si deve celebrare soltanto in lingua volgare»17.
Nondimeno, se da una parte proibì l’uso della lingua parlata nella Messa, dall’altra ordinò ai pastori di supplirvi con un’opportuna catechesi: «Perché il gregge di Cristo non soffra la fame... il santo concilio ordina ai pastori e a tutti quelli che hanno cura d’anime di soffermarsi frequentemente, nel corso della celebrazione della Messa, o personalmente o per mezzo di altri, su questo o quel testo della Messa, e di spiegare, tra le altre cose, il mistero di questo santissimo sacrificio specialmente nelle domeniche e nei giorni festivi»18.


16 Conc. Ecum. Tridentino, Sessione XXII, 17 settembre 1562, Dottrina sul santissimo sacrificio della Messa, cap. 8: Denz.-Schönn., n. 1749.
17 Ibidem, can. 9: Denz.-Schönm., n. 1759.
18 Ibidem, cap. 8: Denz.-Schönm., n. 1749.


 

11. Convocato perché la Chiesa adattasse ai nostri tempi i compiti della sua missione apostolica, il concilio Vaticano II, come quello di Trento, ha esaminato profondamente la natura didattica e pastorale della liturgia19. E poiché non v’è ormai nessun cattolico che neghi la legittimità e l’efficacia del rito compiuto in lingua latina, il concilio ha ammesso senza difficoltà che «l’uso della lingua parlata può riuscire spesso di grande utilità per il popolo» e l’ha quindi autorizzata20.
L’entusiasmo con cui questa decisione è stata dovunque accolta, ha portato, sotto la guida dei vescovi e della stessa Sede Apostolica, alla concessione che tutte le celebrazioni liturgiche si possono fare in lingua viva, per una più piena comprensione del mistero celebrato21.


19 Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 33.
20 Ibidem, n. 36.
21 Cf. ibidem, n. 48: «Perciò la Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma che, comprendendolo bene nei suoi riti e nelle sue preghiere, partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente».


 

12. Nondimeno, poiché l’uso della lingua parlata nella sacra liturgia è uno strumento molto importante, per esprimere più chiaramente la comprensione credente del mistero celebrato e per permettere la piena partecipazione ad esso, il concilio Vaticano II ha insistito perché si mettessero in pratica certe prescrizioni del concilio di Trento che non erano state dovunque osservate, come il dovere di tenere l’omelia nelle domeniche e nei giorni festivi22; e la possibilità di intercalare ai riti determinate monizioni23.
Soprattutto, però, il concilio Vaticano II, nel consigliare «quella partecipazione perfetta alla Messa, per la quale i fedeli, dopo la comunione del sacerdote, ricevono il Corpo del Signore dal medesimo sacrificio»24, ha portato al compimento di un altro voto dei Padri tridentini, che, cioè, per partecipare più pienamente all’Eucaristia, «nelle singole Messe i presenti si comunicassero non solo con l’intimo fervore dell’anima, ma anche con la recezione sacramentale dell’Eucaristia»25.


22 Cf. ibidem, n. 52.
23 Cf. ibidem, n. 35, § 3.
24 Ibidem, n. 55.
25 Conc. Ecum. Tridentino, Sessione XXII, 17 settembre 1562, Dottrina sul santissimo sacrificio della Messa, cap. 6: Denz.-Schönm., n. 1747.


 

13. Mosso dal medesimo spirito e dallo stesso zelo pastorale, il concilio Vaticano II ha potuto riesaminare le decisioni di Trento a proposito della comunione sotto le due specie. Poiché attualmente nessuno mette in dubbio i principi dottrinali sul pieno valore della comunione sotto la sola specie del pane, il concilio ha permesso in alcuni casi la comunione sotto le due specie, con la quale, grazie alla forma più chiara del segno sacramentale, si ha modo di penetrare più profondamente il mistero al quale i fedeli partecipano26.


26 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 55.


 

14. In questo modo, mentre la Chiesa rimane fedele al suo compito di maestra di verità, conservando «le cose vecchie» cioè il deposito della tradizione, assolve pure il suo compito di esaminare e adottare con prudenza «le cose nuove» (cf. Mt 13, 52). 
Una parte di questo Messale adegua più visibilmente le preghiere della Chiesa ai bisogni del nostro tempo. Tali sono specialmente le Messe rituali e quelle per varie necessità, nelle quali si fondono felicemente tradizione e novità. Pertanto, mentre sono rimaste intatte molte espressioni attinte alla più antica tradizione della Chiesa e rese familiari dallo stesso Messale ambrosiano nelle sue varie edizioni, molte altre sono state adattate alle esigenze e alle condizioni attuali. Altre infine, come le orazioni per la Chiesa, per la santificazione del lavoro umano, per l’unione di tutti i popoli e per certe necessità proprie del nostro tempo, sono state interamente composte ex novo, traendo i pensieri e spesso anche i termini dai recenti documenti conciliari.
Così pure, in vista di una presa di coscienza della situazione nuova del mondo contemporaneo, è sembrato che non si recasse offesa alcuna al venerabile tesoro della tradizione, modificando alcune espressioni dei testi antichi, allo scopo di meglio armonizzare la lingua con quella della teologia attuale e perché esprimessero in verità la presente situazione della disciplina della Chiesa. Per questo motivo sono stati cambiati alcuni modi di esprimersi, che risentivano di una certa mentalità sull’apprezzamento e sull’uso dei beni terreni, e altri ancora che mettevano in rilievo una forma di penitenza esteriore propria della Chiesa di altri tempi.
In questo modo, le norme liturgiche del concilio di Trento sono state, su molti punti, completate e integrate dalle norme del concilio Vaticano II: tale concilio ha così condotto a termine gli sforzi fatti per accostare i fedeli alla liturgia, sforzi condotti per quattro secoli e con più intensità in un’epoca recente, grazie soprattutto allo zelo liturgico promosso da san Pio X e dai suoi successori e, a Milano, dagli arcivescovi ambrosiani.

 

 

Capitolo I
IMPORTANZA E DIGNITÀ
DELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA

 

15. La celebrazione della Messa, in quanto azione di Cristo e del popolo di Dio gerarchicamente ordinato, costituisce il centro di tutta la vita cristiana per la Chiesa universale, per quella locale, e per i singoli fedeli27. Nella Messa, infatti, si ha il culmine sia dell’azione con cui Dio santifica il mondo in Cristo, sia del culto che gli uomini rendono al Padre, adorandolo per mezzo di Cristo, Figlio di Dio, nello Spirito Santo28.
In essa inoltre la Chiesa commemora, nel corso dell’anno, i misteri della redenzione, in modo da renderli in certo modo presenti29. Tutte le altre azioni sacre e ogni attività della vita cristiana sono in stretta relazione con la Messa, da essa derivano e a essa sono ordinate30,


27 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 41; Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 11; Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale Presbyterorum ordinis, nn. 2, 5, 6; Decreto sull’ufficio pastorale dei vescovi Christus Dominus, n. 30; Decreto sull’ecumenismo Unitatis Redintegratio, n. 15; Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, nn. 3e, 6: A.A.S. 59 (1967) pp. 542, 544-545.
28 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. l0.
29 Cf. ibidem, n. 102.
30 Cf. ibidem, n. 10; Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale Presbyterorum Ordinis, n. 5.


 

16. È perciò di somma importanza che la celebrazione della Messa, o cena del Signore, sia ordinata in modo tale che i sacri ministri e i fedeli, partecipandovi ciascuno secondo il proprio ordine e grado, traggano abbondanza di quei frutti31, per il conseguimento dei quali Cristo Signore ha istituito il sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue e lo ha affidato, come memoriale della sua passione e risurrezione, alla Chiesa, sua dilettissima sposa32.


31 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, nn. 14, 19, 26, 28, 30.
32 Cf. ibidem, n. 47


 

17. Si potrà ottenere davvero questo risultato, se, tenuto conto della natura e delle altre caratteristiche di ogni assemblea liturgica, tutta la celebrazione verrà ordinata in modo tale da portare i fedeli a una partecipazione consapevole, attiva e piena, esteriore e interiore, ardente di fede, speranza e carità; partecipazione vivamente desiderata dalla Chiesa e richiesta dalla natura stessa della celebrazione, e alla quale il popolo cristiano ha diritto e dovere in forza del Battesimo33.


33 Cf. ibidem, n. 14.


 

18. Non sempre si possono avere la presenza e l’attiva partecipazione dei fedeli, che manifestano più chiaramente la natura ecclesiale dell’azione liturgica34. Sempre però la celebrazione eucaristica ha l’efficacia e la dignità che le sono proprie, in quanto è azione di Cristo e della Chiesa, nella quale il sacerdote compie il suo ministero specifico e agisce sempre per la salvezza del popolo. Perciò a lui si raccomanda di celebrare anche ogni giorno, avendone la possibilità, il sacrificio eucaristico35.


34 Cf. ibidem, n. 41.
35 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale Presbyterorum Ordinis, n. 13; Codice di Diritto Canonico (1983), can. 904.


 

19. Poiché inoltre la celebrazione dell’Eucaristia, come tutta la liturgia, si compie per mezzo di segni sensibili, mediante i quali la fede si alimenta, s’irrobustisce e si esprime36, si deve avere la massima cura nello scegliere e nel disporre quelle forme e quegli elementi che la Chiesa propone, e che, considerate le circostanze di persone e di luoghi, possono favorire più intensamente la partecipazione attiva e piena, e rispondere più adeguatamente al bene spirituale dei fedeli.


36 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 59.


 

20. Pertanto questo ordinamento si propone di esporre i principi generali per lo svolgimento della celebrazione dell’Eucaristia, e di presentare le norme per regolare le singole forme di celebrazione37.


37 Per la celebrazione della Messa in situazioni particolari si osservi quanto stabilito: per le Messe nei gruppi particolari cf. Sacra Congregazione per il Culto Divino, Istruzione Actio Pastoralis, 15 maggio 1969: A.A.S. 61 (1969) pp. 806-811; per le Messe con i fanciulli cf. Direttorio delle Messe con i fanciulli, l novembre 1973: A.A.S. 66 (1974) pp. 30-46; sul modo di unire le ore dell’ufficio con la Messa cf. Principi e norme per la Liturgia ambrosiana delle Ore, nn. 94-99; sul modo di unire alcune benedizioni e l’incoronazione dell’immagine della beata Vergine Maria con la Messa cf. Rituale romano, Benedizionale, Premesse generali, n. 28; Rituale romano, Rito per l’incoronazione dell’immagine della beata Vergine Maria, nn. 10, 14.


 

21. Ora, nella Chiesa particolare, la celebrazione dell’Eucaristia è l’atto più importante. Il vescovo diocesano, primo dispensatore dei misteri di Dio nella Chiesa particolare a lui affidata, è la guida, il promotore e il custode di tutta la vita liturgica38.
Nelle celebrazioni che si compiono sotto la sua presidenza, soprattutto in quella eucaristica, celebrata con la partecipazione del presbiterio, dei diaconi e del popolo, si manifesta il mistero della Chiesa. Perciò questo tipo di celebrazione eucaristica deve fungere da modello per tutta la diocesi.
Deve essere quindi impegno costante del vescovo fare in modo che i presbiteri, i diaconi e i fedeli comprendano sempre più il senso autentico dei riti e dei testi liturgici e così siano condotti a un’attiva e fruttuosa celebrazione dell’Eucaristia.
Allo stesso fine presti attenzione perché cresca la dignità delle medesime celebrazioni. A questo scopo risulta di grande importanza promuovere la cura per la bellezza del luogo sacro, della musica e dell’arte.


38 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Decreto sull’ufficio pastorale dei vescovi Christus Dominus, n. 14; Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 41.


 

22. Inoltre, perché la celebrazione corrisponda maggiormente alle norme e allo spirito della sacra liturgia e se ne avvantaggi l’efficacia pastorale, in questo ordinamento e nel rito della Messa vengono esposti le scelte e gli adattamenti possibili.


23. Questi adattamenti, che per lo più consistono nella scelta di alcuni riti o testi, cioè di canti, letture, orazioni, monizioni e gesti che siano più rispondenti alle necessità, alla preparazione e alla capacità di comprensione dei partecipanti, spettano al sacerdote celebrante. Tuttavia, il sacerdote ricordi di essere il servitore della sacra liturgia e che nella celebrazione della Messa a lui non è consentito aggiungere, togliere o mutare nulla a proprio piacimento39.


39 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 22.


 

 

Capitolo II
STRUTTURA, ELEMENTI E PARTI DELLA MESSA

 

I. STRUTTURA GENERALE DELLA MESSA

24. Nella Messa o cena del Signore, il popolo di Dio è chiamato a riunirsi insieme sotto la presidenza del sacerdote, che agisce nella persona di Cristo, per celebrare il memoriale del Signore, cioè il sacrificio eucaristico40. Per questo raduno locale della santa Chiesa vale perciò in modo eminente la promessa di Cristo: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18, 20). Infatti nella celebrazione della Messa, nella quale si perpetua il sacrificio della croce41, Cristo è realmente presente nell’assemblea riunita in suo nome, nella persona del ministro, nella sua parola e in modo sostanziale e permanente sotto le specie eucaristiche42.


40 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale Presbyterorum Ordinis, n. 5; Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 33.
41 Cf. Conc. Ecum. Tridentino, Sessione XXII, 17 settembre 1562, Dottrina sul santissimo sacrificio della Messa, cap. 1: Denz. Schönm., n. 1740; cf. Paolo VI, Solenne professione di fede, 30 giugno 1968, n. 24: A.A.S. 60 (1968) p. 442.
42 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 7; cf. Paolo VI, Lettera enciclica Mysterium Fidei, 3 settembre 1965: A.A.S. 57 (1965) p. 764; Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 9: A.A.S. 59 (1967) p. 547.


 

25. La Messa è costituita da due parti, la «liturgia della parola» e la «liturgia eucaristica»; esse sono così strettamente congiunte tra loro da formare un unico atto di culto43. Nella Messa, infatti, vengono imbandite tanto la mensa della parola di Dio quanto la mensa del Corpo di Cristo, e i fedeli ne ricevono istruzione e ristoro44. Ci sono inoltre alcuni riti che iniziano e altri che concludono la celebrazione.


43 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 56; Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 3: A.A.S. 59 (1967) p. 542.
44 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, nn. 48, 51; Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione Dei Verbum, n. 21; Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale Presbyterorum Ordinis, n. 4.


 

II. I DIVERSI ELEMENTI DELLA MESSA

Lettura della parola di Dio e sua spiegazione

26. Quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura, Dio stesso parla al suo popolo e Cristo, presente nella sua parola, annuncia il Vangelo. Per questo tutti devono ascoltare con venerazione le letture della parola di Dio, che costituiscono un elemento importantissimo della liturgia. E benché la parola di Dio nelle letture della Sacra Scrittura sia rivolta a tutti gli uomini di ogni epoca e sia da essi intelligibile, tuttavia una sua più piena comprensione ed efficacia viene favorita da un’esposizione viva e attuale, cioè dall’omelia, che è parte dell’azione liturgica45.


45 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, nn. 7, 33, 52.


 

27. Tra le parti proprie del sacerdote, occupa il primo posto la preghiera eucaristica, culmine di tutta la celebrazione. Seguono poi le orazioni, cioè: l’orazione all’inizio dell’assemblea liturgica, l’orazione a conclusione della liturgia della parola, l’orazione sui doni e l’orazione dopo la comunione. Queste preghiere, dette dal sacerdote nella sua qualità di presidente dell’assemblea nella persona di Cristo, sono rivolte a Dio a nome dell’intero popolo santo e di tutti i presenti46. Perciò giustamente si chiamano «orazioni presidenziali».


46 Cf. ibidem, n. 33.


 

28. Spetta ugualmente al sacerdote, per il suo ufficio di presidente dell’assemblea radunata, formulare alcune monizioni previste nel rito medesimo. Quando è indicato dalle rubriche, a chi presiede la celebrazione è permesso adattarle in parte affinché rispondano alla comprensione dei partecipanti. Tuttavia il sacerdote faccia in modo di conservare sempre il senso della monizione proposta nel Messale e l’esprima con poche parole. Così pure spetta al sacerdote che presiede guidare la proclamazione della parola di Dio e impartire la benedizione finale. Egli può inoltre intervenire con brevissime parole (o delegare altri ministri a farlo): per introdurre i fedeli alla Messa del giorno, dopo il saluto iniziale e prima dell’atto penitenziale; alla liturgia della parola, prima delle letture; alla preghiera eucaristica, prima di iniziare il prefazio, naturalmente mai nel corso della preghiera stessa; prima del congedo, per concludere l’intera azione sacra.

 

29. La natura delle parti «presidenziali» esige che esse siano proferite a voce alta e chiara e che siano ascoltate da tutti con attenzione47. Perciò, mentre il sacerdote le dice, non si devono sovrapporre altre orazioni o canti, e l’organo e altri strumenti musicali devono tacere.


47 Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Musicam Sacram, 5 marzo 1967, n. 14: A.A.S. 59 (1967) p. 304.


 

30. Il sacerdote infatti, in quanto presidente, formula preghiere a nome della Chiesa e della comunità riunita, talvolta invece anche a titolo personale, per poter compiere il proprio ministero con maggior attenzione e pietà. Tali preghiere, che sono proposte prima della proclamazione del Vangelo, alla preparazione dei doni e prima della comunione del sacerdote, si dicono sottovoce. 

 

Altre formule che ricorrono nella celebrazione

31. Poiché la celebrazione della Messa, per sua natura, ha carattere «comunitario»48, grande rilievo assumono i dialoghi tra chi presiede e i fedeli riuniti e le acclamazioni49. Infatti questi elementi non sono soltanto segni esteriori della celebrazione comunitaria, ma favoriscono e realizzano la comunione tra il sacerdote e il popolo.


48 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, nn. 26, 27; Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 3: A.A.S. 59 (1967) p. 542.
49 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 30.


 

32. Le acclamazioni e le risposte dei fedeli al saluto del sacerdote e alle orazioni, costituiscono quel grado di partecipazione attiva che i fedeli riuniti sono chiamati a porre in atto in ogni forma di Messa, per esprimere e ravvivare l’azione di tutta la comunità50.


50 Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Musicam sacram, 5 marzo 1967, n. 16a: A.A.S. 59 (1967) p. 305.


 

33. Altre parti, assai utili per manifestare e favorire la partecipazione attiva dei fedeli, spettano all’intera assemblea convocata; sono soprattutto l’atto penitenziale, la preghiera universale (detta anche preghiera dei fedeli), la professione di fede e la preghiera del Signore (cioè il Padre nostro).

 

34. Infine, tra le altre formule:
a) alcune costituiscono un rito o un atto a se stante, come l’inno Gloria, il salmo, l’Alleluia e il versetto prima del Vangelo (canto al Vangelo), il simbolo, il Santo, l’acclamazione dell’anamnesi e il canto di lode dopo la comunione;
b) altre, invece, accompagnano qualche rito, come i canti all’ingresso, dopo il Vangelo, allo spezzare del pane, alla comunione e l’eventuale canto di offertorio. 

 

Il modo di proclamare i vari testi

35. Nei testi che devono essere pronunciati a voce alta e chiara dal sacerdote, dal diacono, dal lettore, dal salmista o da tutti, la voce deve corrispondere al genere del testo, secondo che si tratti di una lettura, di un’orazione, di una monizione, di un’acclamazione, di un canto; deve anche corrispondere alla forma di celebrazione e alla solennità della riunione liturgica. Nelle rubriche e nelle norme che seguono, le parole «dire» oppure «proclamare » devono essere intese in riferimento sia al canto, sia alla recita, tenuto conto dei principi sopra esposti.

 

Importanza del canto

36. I fedeli, che si radunano nell’attesa della venuta del loro Signore, sono esortati dall’apostolo a cantare insieme «salmi, inni e cantici ispirati» (Col 3, 16). Infatti il canto è segno della gioia del cuore (cf. At 2, 46). Perciò dice molto bene sant’Agostino: «Il cantare è proprio di chi ama»51, e già dall’antichità si formò il detto: «Chi canta bene, prega due volte».


51 Sant’Agostino, Sermone 336, 1: PL 38, col. 1472 [cf. Opere di sant’Agostino XXXIII. Discorsi V. (273-340/A) Su i santi, Città Nuova, Roma 1986, pp. 950 (latino). 951 (italiano)].


 

37. Nella celebrazione della Messa si dia quindi grande importanza al canto, ponendo attenzione alla sensibilità del nostro popolo e alle possibilità di ciascuna assemblea liturgica. Anche se non è sempre necessario, per esempio nelle Messe feriali, cantare tutti i testi che per loro natura sono destinati al canto, si deve comunque fare in modo che non manchi il canto dei ministri e del popolo nelle celebrazioni domenicali e nelle feste di precetto. Nella scelta delle parti destinate al canto, si dia la preferenza a quelle di maggior importanza, e soprattutto a quelle che devono essere cantate dal sacerdote, dal diacono o dal lettore con la risposta del popolo, o dal sacerdote e dal popolo insieme52.


52 Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Musicam sacram, 5 marzo 1967, nn. 7, 16: A.A.S. 59 (1967) pp. 302, 305.


 

38. A parità di condizioni si dia la preferenza al canto ambrosiano, in quanto proprio della nostra liturgia, e al canto gregoriano, specialmente nelle celebrazioni capitolari in Duomo e nelle altre chiese dotate di collegio canonicale, come pure nelle comunità monastiche ambrosiane53. In ogni parrocchia sia proposto e usato un repertorio accessibile di canti in latino, ambrosiani e gregoriani, a cominciare da quelli relativi alle parti dell’ordinario della Messa come il Gloria, il simbolo della fede (Credo in unum Deum) e la preghiera del Signore (Pater
noster)54. Gli altri generi di musica sacra, specialmente la polifonia, quando si conformino pienamente allo spirito dell’azione liturgica, possono anch’essi validamente favorire la partecipazione dei fedeli55.


53 Cf. Diocesi di Milano, Sinodo 47°, Cost. 94 § 3c.
54 Cf. ibidem, Cost. 94 § 3c.; cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter OEcumenici, 26 settembre 1964, n. 59: A.A.S. 56 (1964) p. 891; Istruzione Musicam sacram, 5 marzo 1967, n. 47: A.A.S. 59 (1967) p. 314.
55 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 116; cf. anche il n. 30.


 

Gesti e atteggiamenti del corpo

39. I gesti e l’atteggiamento del corpo, sia del sacerdote, del diacono e dei ministri, sia del popolo, devono tendere a far sì che tutta la celebrazione risplenda per decoro e per nobile semplicità, che si colga il vero e pieno significato delle sue diverse parti e si favorisca la partecipazione di tutti. Si dovrà prestare attenzione affinché le norme, stabilite da questo ordinamento e dalla prassi secolare del rito ambrosiano, contribuiscano al bene spirituale comune del popolo di Dio, più che al gusto personale o all’arbitrio. L’atteggiamento comune del corpo, da osservarsi da tutti i partecipanti, è segno dell’unità dei membri della comunità cristiana riuniti per la sacra liturgia: manifesta infatti e favorisce l’intenzione e i sentimenti dell’animo di coloro che partecipano.

 

40. I santi Padri, profondamente consapevoli del carattere simbolico e del valore pedagogico della gestualità rituale, rivolsero una cura particolare alle diverse posture del corpo, quali la posizione eretta, rappresentativa della condizione propria del redento, reso libero dalla Pasqua di Cristo, lo stare seduti, segno del discepolo in ascolto o in meditazione, lo stare in ginocchio, segno di penitenza, supplica e adorazione (cf. Mt 2, 11); il capo devotamente inclinato, sostitutivo in certo modo dello stare in ginocchio.

a) I fedeli stiano in piedi dall’inizio del canto all’ingresso, o mentre il sacerdote si reca all’altare, fino alla conclusione dell’orazione all’inizio dell’assemblea liturgica compresa; durante il canto dell’Alleluia prima del Vangelo; durante la proclamazione del Vangelo; durante la preghiera universale o preghiera dei fedeli (secondo l’uso della tradizione ambrosiana, i fedeli possono anche inginocchiarsi, seguendo la monizione del diacono o di un ministro idoneo); all’orazione a conclusione della liturgia della parola; durante l’incensazione al termine della presentazione dei doni; durante la proclamazione del simbolo della fede e dall’orazione sui doni fino al termine della Messa, fatta eccezione di quanto è detto in seguito.

b) Stiano invece seduti durante la proclamazione delle letture prima del Vangelo e durante il salmo; all’omelia; durante la preparazione dell’altare mentre si esegue il canto dopo il Vangelo; alla preparazione dei doni all’offertorio e, se lo si ritiene opportuno, durante il sacro silenzio dopo la comunione.

c) S’inginocchino poi alla consacrazione, a meno che lo impediscano lo stato di salute, la ristrettezza del luogo, o il gran numero dei presenti, o altri ragionevoli motivi. Quelli che non si inginocchiano alla consacrazione, facciano un profondo inchino mentre il sacerdote genuflette dopo la consacrazione. 

d) Durante la preghiera eucaristica, al momento dell’anamnesi-offerta, i fedeli possono imitare il sacerdote, allargando a loro volta le braccia in forma di croce56.

e) Inoltre, durante il canto o la proclamazione del Padre nostro, si possono tenere le braccia allargate: questo gesto, opportunamente spiegato, si svolga in un clima intenso di preghiera. Per ottenere l’uniformità nei gesti e negli atteggiamenti del corpo in una stessa celebrazione, i fedeli seguano le indicazioni che il diacono o un altro ministro laico o lo stesso sacerdote danno secondo le norme stabilite nel Messale.


56 Cf. Giovanni Colombo, La comunità cristiana. Programma pastorale della diocesi di Milano per l’anno pastorale 1978-1979, LDC, Leumann (Torino) 1978, p. 37.


 

41. Fra i gesti sono comprese anche le azioni e le processioni: quella del sacerdote che, insieme al diacono e ai ministri, si reca all’altare; quella del diacono che porta all’ambone l’Evangeliario o il Libro dei Vangeli prima della proclamazione del Vangelo; quella con la quale i fedeli presentano i doni o si recano a ricevere la comunione. Conviene che tali azioni e
processioni siano fatte in modo decoroso, mentre si eseguono canti appropriati, secondo le norme stabilite per ognuna di esse.


Il silenzio

42. Si deve anche osservare, a suo tempo, il sacro silenzio, come parte della celebrazione57. La sua natura dipende dal momento in cui ha luogo nelle singole celebrazioni. Così, durante l’atto penitenziale e dopo l’invito alla preghiera, il silenzio aiuta il raccoglimento; dopo la lettura o l’omelia, è un richiamo a meditare brevemente ciò che si è ascoltato; dopo la comunione, favorisce la preghiera interiore di lode, di ringraziamento e di supplica. Anche prima della stessa celebrazione è bene osservare il silenzio in chiesa, in sacrestia, nel luogo dove si indossano le vesti liturgiche e nei locali annessi, perché tutti possano prepararsi devotamente e nei giusti modi alla sacra celebrazione.


57 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 30; cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Musicam Sacram, 5 marzo 1967, n. 17: A.A.S. 59 (1967) p. 305.


 

III. LE SINGOLE PARTI DELLA MESSA

A) Riti di introduzione

43. I riti che precedono la liturgia della parola, cioè il canto all’ingresso, il segno della croce, il saluto, l’atto penitenziale, il Gloria e l’orazione all’inizio dell’assemblea liturgica, hanno un carattere di inizio, di introduzione e di preparazione. Scopo di questi riti è che i fedeli, riuniti insieme, formino una comunità, e si dispongano ad ascoltare con fede la parola di Dio e a celebrare degnamente l’Eucaristia. In alcune celebrazioni connesse con la Messa i riti iniziali si omettono o si svolgono in maniera particolare. Casi specifici sono le grandi liturgie vigiliari e le diverse forme di liturgia vigiliare del sabato, che aprono l’Eucaristia domenicale con l’annuncio del Vangelo della risurrezione o con la lettura vigiliare. In queste occasioni tutto si svolge come prescritto dai rispettivi libri liturgici, a cominciare dal Libro delle Vigilie.


L’ingresso

44. Radunato il popolo, mentre il sacerdote fa il suo ingresso con il diacono e i ministri, si inizia il canto all’ingresso. La funzione propria di questo canto è quella di dare inizio alla celebrazione, favorire l’unione dei fedeli riuniti, introdurre il loro spirito nel mistero del tempo liturgico o della festività e accompagnare la processione del sacerdote e dei ministri. Quando si continua una celebrazione liturgica già iniziata, come nella processione della domenica delle Palme, nella processione che segue la benedizione delle candele nella festa della Presentazione del Signore (2 febbraio), nella processione per la solennità del titolo o del patrono e in genere quando si tratta di una vera processione e non di un semplice ingresso, molto opportunamente si possono cantare i dodici Kýrie eléison con la sallenda propria o un’antifona appropriata secondo il rito previsto nell’ordinario della Messa. In questo caso il canto all’ingresso viene eseguito dopo la sallenda, dove non sia diversamente indicato.


45. Il canto viene eseguito alternativamente dalla schola e dal popolo, o dal cantore e dal popolo, oppure tutto quanto dal popolo o dalla sola schola. Si può utilizzare sia il canto che si trova nell’Antifonale, sia quello del Messale, oppure un altro canto adatto all’azione sacra, al carattere del giorno o del tempo58, e il cui testo sia stato approvato dalla competente autorità. Se all’ingresso non ha luogo il canto, il testo proposto nel Messale viene letto o dai fedeli, o da alcuni di essi, o dal lettore. A questo scopo ci si preoccupi di preparare convenientemente i fedeli. È meno opportuno infatti che lo reciti il sacerdote stesso. Questa indicazione vale anche per gli altri canti della Messa.


58 Cf. Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Dies Domini, 31 maggio 1998, n. 50: A.A.S. 90 (1998) p. 745.


 

Saluto all’altare e al popolo radunato

46. Giunti in presbiterio, il sacerdote, il diacono e i ministri salutano l’altare con un profondo inchino. Quindi, in segno di venerazione, il sacerdote e il diacono lo baciano e il sacerdote, secondo l’opportunità, incensa la croce e l’altare.

 

47. Terminato il canto all’ingresso, il sacerdote, stando in piedi alla sede, con tutta l’assemblea si segna con il segno di croce. Poi il sacerdote con il saluto annuncia alla comunità riunita la presenza del Signore. Il saluto sacerdotale e la risposta del popolo manifestano il mistero della Chiesa radunata. Salutato il popolo, il sacerdote, o il diacono, o un ministro laico, può fare una brevissima introduzione alla Messa del giorno.


Atto penitenziale

48. Quindi il sacerdote invita all’atto penitenziale, che, dopo una breve pausa di silenzio, viene compiuto da tutta la comunità mediante una formula di confessione generale, e si conclude con l’assoluzione da parte del sacerdote, che tuttavia non ha lo stesso valore del sacramento della penitenza. La domenica, specialmente nel tempo pasquale, si può sostituire il consueto atto penitenziale, con la benedizione e l’aspersione dell’acqua in memoria del Battesimo59. L’atto penitenziale, secondo l’indicazione dei libri liturgici, si tralascia quando si compie il rito dei dodici Kýrie eléison, quando la Messa è unita ai vespri o alle lodi, nei funerali, nei matrimoni, nelle grandi liturgie vigiliari e nella liturgia vigiliare del sabato.


59 Cf. Rito per l’aspersione domenicale dell’acqua benedetta in Appendice al rito della Messa con il popolo, pp. 594-598.


 

Orazione all’inizio dell’assemblea liturgica

50. Poi il sacerdote invita il popolo a pregare; e tutti insieme con lui stanno per qualche momento in silenzio, per prendere coscienza di essere alla presenza di Dio e poter formulare nel cuore le proprie intenzioni di preghiera. Quindi il sacerdote dice l’orazione all’inizio dell’assemblea liturgica, per mezzo della quale viene espresso il carattere della celebrazione. Per antica tradizione della Chiesa, l’orazione è abitualmente rivolta a Dio Padre, per mezzo di Cristo, nello Spirito Santo60 e termina con la conclusione trinitaria, cioè più lunga, in questo modo:
– se è rivolta al Padre: Per Gesù Cristo, tuo Figlio, nostro Signore e nostro Dio, che vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli;
– se è rivolta al Padre, ma verso la fine dell’orazione medesima si fa menzione del Figlio e non è indicata un’altra conclusione: che vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Oppure: Per lui, nostro Signore e nostro Dio, che vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli;
– se è rivolta al Figlio e non è indicata un’altra conclusione: Tu che sei Dio, e vivi e regni con il Padre, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
Il popolo, unendosi alla preghiera, fa propria l’orazione con l’acclamazione Amen.
Nella Messa si dice una sola orazione all’inizio dell’assemblea liturgica; la stessa cosa vale anche per l’orazione a conclusione della liturgia della parola, per l’orazione sui doni e per l’orazione dopo la comunione.


60 Cf. Tertulliano, Adversus Marcionem, IV, 9: CCSL 1, p. 560; Origene, Disputatio cum Heracleida, n. 4, 24: SCh 67, p. 62; Statuta Concilii Hipponensi breviata, n. 21: CCSL 149, p. 39.


 

B) Liturgia della parola

51. Le letture scelte dalla Sacra Scrittura con i canti che le accompagnano costituiscono la parte principale della liturgia della parola; l’omelia, il canto dopo il Vangelo, la preghiera universale o preghiera dei fedeli e l’orazione a conclusione della liturgia della parola sviluppano e concludono tale parte. Infatti nelle letture, che vengono poi spiegate nell’omelia, Dio parla al suo popolo61, gli manifesta il mistero della redenzione e della salvezza e offre un nutrimento spirituale; Cristo stesso è presente, per mezzo della sua parola, tra i fedeli62. Il popolo fa propria questa parola divina con il silenzio e i canti; così nutrito, prega nell’orazione universale per le necessità di tutta la Chiesa e per la salvezza del mondo intero.


61 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 33.
62 Cf. ibidem, n. 7.


 

Il silenzio

52. La liturgia della parola deve essere celebrata in modo da favorire la meditazione; quindi si deve assolutamente evitare ogni forma di fretta che impedisca il raccoglimento. In essa sono opportuni anche brevi momenti di silenzio, adatti all’assemblea radunata, per mezzo dei quali, con l’aiuto dello Spirito Santo, la parola di Dio venga accolta nel cuore e si prepari la risposta con la preghiera. Questi momenti di silenzio si possono osservare, ad esempio, prima che inizi la stessa liturgia della parola, dopo la lettura e l’epistola (o altra lettura), e terminata l’omelia.


Le letture bibliche

53. Nelle letture viene preparata ai fedeli la mensa della parola di Dio e vengono loro aperti i tesori della Bibbia63. Conviene quindi che si osservi l’ordine delle letture bibliche, con il quale è messa meglio in luce l’unità dei due Testamenti e della storia della salvezza; non è permesso quindi sostituire con altri testi non biblici le letture e il salmo, che contengono la parola di Dio64, tranne il caso in cui, secondo la tradizione ambrosiana, nelle feste dei santi patroni si sostituisce la lettura tratta dalla Sacra Scrittura con la lettura agiografica debitamente approvata.


63 Cf. ibidem, n. 51.
64 Cf. Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Vicesimus quintus annus, 4 dicembre 1988, n. 13: A.A.S. 81 (1989) p. 910.


 

54. Nella celebrazione della Messa con il popolo, le letture si proclamano sempre dall’ambone.


55. Il compito di proclamare le letture, secondo la tradizione, non è competenza specifica di colui che presiede, ma di altri ministri. Le letture quindi siano proclamate da un lettore, il Vangelo sia invece proclamato dal diacono o, in sua assenza, da un altro sacerdote. Se non è presente un diacono o un altro sacerdote, lo stesso sacerdote celebrante legga il Vangelo; e se manca un lettore idoneo, il sacerdote celebrante proclami anche le altre letture. Secondo la tradizione liturgica ambrosiana, tutti i ministri che proclamano le letture chiedono e ricevono la benedizione di colui che presiede la celebrazione, grazie alla quale viene manifestato il principio dell’origine apostolica dell’annuncio. Dopo le singole letture il lettore pronuncia l’acclamazione, e il popolo riunito, con la sua risposta, dà onore alla parola di Dio, accolta con fede e con animo grato.


56. La lettura del Vangelo costituisce il culmine della liturgia della parola. Perciò la liturgia la distingue dalle altre letture con particolare onore: sia da parte del ministro incaricato di proclamarla, che si prepara con la benedizione o con la preghiera; sia da parte dei fedeli, i quali con le acclamazioni riconoscono e professano che Cristo è presente e parla a loro, e ascoltano la lettura stando in piedi; sia per mezzo dei segni di venerazione che si rendono all’Evangeliario. 

 

Il salmo

57. Alla lettura segue il salmo o il salmello, che è parte integrante della liturgia della parola e che ha grande valore liturgico e pastorale, perché favorisce la meditazione della parola di Dio. Il salmo deve corrispondere a ciascuna lettura e deve essere preso normalmente dal Lezionario. Conviene che il salmo sia eseguito con il canto in forma responsoriale, almeno per quanto riguarda la risposta del popolo. Il salmista, quindi, o cantore del salmo, canta o recita i versetti del salmo all’ambone o in altro luogo adatto; tutta l’assemblea ascolta restando seduta, e partecipa con il ritornello previsto dal Lezionario o con un altro analogo debitamente approvato, a meno che il salmo non sia cantato o recitato per intero senza ritornello. Se il salmo non può essere cantato, venga proclamato nel modo più adatto a favorire la meditazione della parola di Dio. Se si canta, oltre al salmo designato sul Lezionario, si può utilizzare un salmello, come indicato nell’Antifonale.


L’acclamazione prima
della proclamazione del Vangelo

58. Dopo la lettura che precede immediatamente il Vangelo, si canta l’Alleluia o un altro canto stabilito dalle rubriche, come richiede il tempo liturgico. Tale acclamazione costituisce un rito o un atto a se stante, con il quale l’assemblea dei fedeli accoglie e saluta il Signore che sta per parlare nel Vangelo e con il canto manifesta la propria fede. Viene cantato da tutti stando in piedi, sotto la guida della schola o del cantore, e, se il caso lo richiede, si ripete; il versetto invece viene cantato dalla schola o dal cantore.
a) L’Alleluia si canta in qualsiasi tempo, tranne in quaresima. I versetti si scelgono dal Lezionario oppure dall’Antifonale.
b) In tempo di quaresima, al posto dell’Alleluia si cantano l’acclamazione e il versetto riportati nel Lezionario prima del Vangelo. Si possono anche cantare l’acclamazione e il versetto che si trovano nell’Antifonale.


59. Quando vi è una sola lettura prima del Vangelo:
a) nel tempo in cui si canta l’Alleluia si può utilizzare o il salmo alleluiatico, o il salmo e l’Alleluia con il suo versetto, o solo il salmo o solo l’Alleluia;
b) nel tempo in cui l’Alleluia non si canta, si può utilizzare o il salmo o il versetto prima del Vangelo.
L’Alleluia e il versetto prima del Vangelo, se non si cantano, si possono tralasciare.


60. L’antifona prima del Vangelo, che si trova in alcuni giorni determinati (Natale del Signore, Epifania e Pasqua), se non viene cantata, è recitata da tutta l’assemblea.

 

L’omelia

61. L’omelia fa parte della liturgia ed è vivamente raccomandata65: è infatti necessaria per alimentare la vita cristiana. Essa deve consistere nella spiegazione o di qualche aspetto delle letture della Sacra Scrittura, o di un altro testo dell’ordinario o del proprio della Messa del giorno, tenuto conto sia del mistero che viene celebrato, sia delle particolari necessità di chi ascolta66.


65 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 52; Codice di Diritto Canonico (1983), can. 767, § 1.
66 Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter OEcumenici, 26 settembre 1964, n. 54: A.A.S. 56 (1964) p. 890.


 

62. L’omelia di solito sia tenuta personalmente dal sacerdote celebrante. Talvolta, potrà essere da lui affidata a un sacerdote concelebrante e, secondo l’opportunità, anche al diacono; mai però a un laico67. In casi particolari e per un giusto motivo l’omelia può essere tenuta anche dal vescovo o da un presbitero che partecipa alla celebrazione anche se non può concelebrare. Nelle domeniche e nelle feste di precetto l’omelia si deve tenere in tutte le Messe con la partecipazione del popolo e non può essere omessa, se non per un grave motivo. Negli altri giorni è raccomandata, specialmente nelle ferie di avvento, di quaresima e del tempo pasquale; così pure nelle altre feste e circostanze nelle quali è più numeroso il concorso del popolo alla chiesa68. È opportuno, dopo l’omelia, osservare una breve pausa di silenzio.


67 Cf. Codice di Diritto Canonico (1983), can. 767, § 1; Pontificia Commissione per l’interpretazione autentica del CIC, risposta al dubbio circa il can. 767, § 1: A.A.S. 79 (1987) p.  249; Istruzione interdicasteriale su alcune questioni circa la collaborazione dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti Ecclesiæ de mysterio, 15 agosto 1997, art. 3: A.A.S. 89 (1997) p. 864.
68 Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter OEcumenici, 26 settembre 1964, n. 53, in A.A.S. 56 (1964) p. 890.


 

63. Dopo l’omelia o, se non vi è l’omelia, subito dopo la lettura del Vangelo si canta o si recita il canto dopo il Vangelo, mentre si prepara l’altare. Durante il canto infatti, l’altare o mensa del Signore, che è il centro di tutta la liturgia eucaristica69, viene preparato dai ministri in vista della liturgia eucaristica, ponendovi sopra il corporale (o sindone), il purificatoio e i vasi sacri. Le norme sul modo di eseguire il canto sono le stesse del canto all’ingresso (cf. n. 45).


69 Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter OEcumenici, 26 settembre 1964, n. 91: A.A.S. 56 (1964) p. 898; cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 24: A.A.S. 59 (1967) p. 554.


 

La preghiera universale

64. Nella preghiera universale, o preghiera dei fedeli, il popolo risponde in certo modo alla parola di Dio accolta con fede e, esercitando il proprio sacerdozio battesimale, offre a Dio preghiere per la salvezza di tutti. È conveniente che nelle Messe con partecipazione di popolo vi sia normalmente questa preghiera, nella quale si elevino suppliche per la santa Chiesa, per i governanti, per coloro che portano il peso di varie necessità, per tutti gli uomini e per la salvezza di tutto il mondo70.


70 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 53.


 

65. La successione delle intenzioni sia ordinariamente
questa:
a) per le necessità della Chiesa;
b) per i governanti e per la salvezza di tutto il mondo;
c) per quelli che si trovano in difficoltà;
d) per la comunità locale.
Tuttavia in qualche celebrazione particolare, per esempio nella Confermazione e nel Matrimonio, la successione delle intenzioni può venire adattata maggiormente alla circostanza particolare.


66. Spetta al sacerdote celebrante guidare dalla sede la preghiera. Egli l’introduce con una breve monizione, per invitare i fedeli a pregare, e la conclude con l’orazione a conclusione della liturgia della parola, anticamente detta super sindonem. Le intenzioni che vengono proposte siano sobrie, formulate con una sapiente libertà e con poche parole, raccogliendo la preghiera di tutta la comunità. Le intenzioni si leggono dall’ambone o da altro luogo conveniente, da parte del diacono o del cantore o del lettore o da un fedele laico71. Il popolo, stando in piedi, esprime la sua supplica con un’invocazione comune dopo la formulazione di ogni singola intenzione, oppure pregando in silenzio. Secondo l’antica tradizione ambrosiana, lodevolmente si può usare l’invocazione Kýrie eléison. Quale espressione di umile supplica i fedeli possono mettersi in ginocchio, secondo quanto previsto dall’ordinario della Messa.


71 Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Inter OEcumenici, 26 settembre 1964, n. 56: A.A.S. 56 (1964) p. 890.


 

Orazione a conclusione della liturgia della parola

67. Terminate le intenzioni della preghiera universale, il sacerdote dice l’orazione a conclusione della liturgia della parola. Essa non va mai omessa, anche quando si tralasciasse la preghiera universale. Nella Messa si dice un’unica orazione a conclusione della liturgia della parola, che termina con una delle seguenti formule brevi: Per Cristo nostro Signore, se è rivolta al Padre; Egli (o che) vive e regna nei secoli dei secoli oppure Per lui che vive e regna nei secoli dei secoli, se, pur rivolta al Padre, verso il termine menziona il Figlio; Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli, se è rivolta al Figlio. Il popolo, unendosi alla preghiera fa propria l’orazione con l’acclamazione Amen.


C) Liturgia eucaristica

68. Nell’ultima cena Cristo istituì il sacrificio e convito pasquale per mezzo del quale è reso continuamente presente nella Chiesa il sacrificio della croce, allorché il sacerdote, che rappresenta Cristo Signore, compie ciò che il Signore stesso fece e affidò ai discepoli, perché lo facessero in memoria di lui72. Cristo infatti prese il pane e il calice, rese grazie, spezzò il
pane e li diede ai suoi discepoli, dicendo: «Prendete, mangiate, bevete; questo è il mio Corpo; questo è il calice del mio Sangue. Fate questo in memoria di me». Perciò la Chiesa ha disposto tutta la celebrazione della liturgia eucaristica in vari momenti, che corrispondono a queste parole e gesti di Cristo. Infatti:
1) nella preparazione dei doni, vengono portati all’altare pane e vino con acqua, cioè gli stessi elementi che Cristo prese tra le sue mani.
2) Nella preghiera eucaristica si rendono grazie a Dio per tutta l’opera della salvezza, e le offerte diventano il Corpo e il Sangue di Cristo.
3) Mediante la frazione del pane e per mezzo della comunione i fedeli, benché molti, si cibano del Corpo del Signore dall’unico pane e ricevono il suo Sangue dall’unico calice, allo stesso modo con il quale gli apostoli li hanno ricevuti dalle mani di Cristo stesso.


72 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 47; Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 3a, b: A.A.S. 59 (1967) pp. 540-541.


 

Il rito della pace e la preparazione dei doni

69. Prima che i doni vengano portati all’altare, secondo l’esortazione evangelica (cf. Mt 5, 23-24) ha luogo il rito della pace con il quale i fedeli, animati dalla parola di Dio, prima di celebrare il mistero eucaristico si manifestano reciprocamente l’amore fraterno. Il diacono o, qualora mancasse, lo stesso sacerdote che presiede la celebrazione proclama: Sia pace tra voi o un’altra simile monizione; e tutti si scambiano un segno di pace. Conviene che ciascuno dia la pace soltanto a chi gli sta vicino, in modo sobrio.


70. Quindi si portano all’altare i doni, che diventeranno il Corpo e il Sangue di Cristo. Secondo l’ininterrotta tradizione ambrosiana, è bene che i fedeli presentino il pane e il vino; il sacerdote o il diacono li riceve in luogo opportuno e adatto, recitando la formula prescritta e li depone sull’altare. Quantunque i fedeli non portino più, come un tempo, il loro proprio pane e vino destinati alla liturgia, tuttavia il rito della presentazione di questi doni conserva il suo valore e il suo significato spirituale. Si possono anche fare offerte in denaro, o presentare altri doni per i poveri o per la Chiesa, portati dai fedeli o raccolti in chiesa. Essi vengono deposti in luogo adatto, fuori della mensa eucaristica.


71. Il canto di offertorio accompagna sia la processione con la quale si portano i doni, sia la loro presentazione. Anche qualora non si svolga la processione dei doni è sempre possibile accompagnare con il canto i riti offertoriali. Le norme che regolano questo canto sono le stesse previste per il canto all’ingresso (cf. n. 45). L’antifona di offertorio, se non si canta, viene tralasciata.


72. Il sacerdote depone il pane e il vino sull’altare pronunciando le formule prescritte. Egli può incensare i doni posti sull’altare, quindi la croce e l’altare, per significare che l’offerta della Chiesa e la sua preghiera si innalzano come incenso al cospetto di Dio. Dopo l’incensazione dei doni, della croce e dell’altare, anche il sacerdote, in ragione del sacro ministero, e il popolo, per la sua dignità battesimale, possono ricevere l’incensazione dal diacono o da un altro ministro.


73. Quindi, se è necessario, il sacerdote lava le mani a lato dell’altare.

 

Simbolo o professione di fede

74. Prima di recitare l’orazione sui doni si proclama il simbolo, mediante il quale l’assemblea liturgica, apprestandosi a celebrare il mistero eucaristico, esprime la propria comunione con tutte le Chiese che, sparse nel mondo, professano l’unica fede nella santissima Trinità.


75. Il simbolo – ordinariamente quello niceno-costantinopolitano e, quando consentito, quello detto «degli apostoli» – deve essere cantato o recitato dal sacerdote insieme con il popolo: nelle domeniche; nelle solennità; nei giorni dell’ottava del Natale; nel sabato in traditione symboli; nei giorni dell’ottava di Pasqua e nelle Messe per i battezzati; nelle feste del Signore, della beata Vergine Maria, degli apostoli e degli evangelisti e nella festa di santa Maria Maddalena; si può dire anche in particolari celebrazioni più solenni. Se si canta, viene intonato dal sacerdote o, secondo l’opportunità, dal cantore o dalla schola, ed eseguito da tutti insieme o dal popolo alternativamente con la schola. Se non si canta, viene proclamato da tutti insieme o a cori alterni.


L’orazione sui doni

76. Deposte le offerte sull’altare e compiuti i riti che accompagnano questo gesto, il sacerdote pronuncia l’orazione sui doni: si conclude così la preparazione delle offerte e ci si prepara alla preghiera eucaristica. Nella Messa si dice un’unica orazione sui doni che si conclude con la formula breve: Per Cristo nostro Signore; se invece essa termina con la menzione del Figlio: Egli (o che) vive e regna nei secoli dei secoli. Il popolo, unendosi alla preghiera, fa propria l’orazione con l’acclamazione Amen.


La preghiera eucaristica

77. A questo punto ha inizio il momento centrale e culminante dell’intera celebrazione, la preghiera eucaristica, ossia la preghiera di azione di grazie e di santificazione. Il sacerdote invita il popolo a innalzare il cuore verso il Signore nella preghiera e nell’azione di grazie, e lo associa a sé nella solenne preghiera, che egli, a nome di tutta la comunità, rivolge a Dio Padre per mezzo del Signore Gesù Cristo nello Spirito Santo. Il significato di questa preghiera è che tutta l’assemblea dei fedeli si unisca insieme con Cristo nel magnificare le grandi opere di Dio e nell’offrire il sacrificio. La preghiera eucaristica esige che tutti l’ascoltino con riverenza e silenzio e vi partecipino con le acclamazioni previste nel rito.


78. Gli elementi principali di cui consta la preghiera eucaristica, si possono distinguere come segue:
a) L’azione di grazie (che si esprime particolarmente nel prefazio): il sacerdote, a nome di tutto il popolo santo, glorifica Dio Padre e gli rende grazie per tutta l’opera della salvezza o per qualche suo aspetto particolare, a seconda della diversità del giorno, della festa o del tempo.
b) L’acclamazione: tutta l’assemblea, unendosi alle creature celesti, canta o recita il Santo. Questa acclamazione, che fa parte della preghiera eucaristica, è cantata o proclamata da tutto il popolo con il sacerdote.
c) L’epiclesi: la Chiesa implora con speciali invocazioni la potenza dello Spirito Santo, perché i doni offerti dagli uomini siano consacrati, cioè diventino il Corpo e il Sangue di Cristo, e perché la vittima immacolata, che si riceve nella comunione, giovi per la salvezza di coloro che vi parteciperanno.
d) Il racconto dell’istituzione e la consacrazione: mediante le parole e i gesti di Cristo, si compie il sacrificio che Cristo stesso istituì nell’ultima cena, quando offrì il suo Corpo e il suo Sangue sotto le specie del pane e del vino, li diede da mangiare e da bere agli apostoli e lasciò loro il mandato di perpetuare questo mistero.
e) L’anamnesi: la Chiesa, adempiendo il comando ricevuto da Cristo Signore per mezzo degli apostoli, celebra il memoriale di Cristo, commemorando specialmente la sua beata passione, la mirabile risurrezione e la gloriosa ascensione al cielo.
f) L’offerta: nel corso di questo stesso memoriale la Chiesa, in modo particolare quella radunata in quel momento e in quel luogo, offre al Padre nello Spirito Santo il pane santo della vita eterna e il calice dell’eterna salvezza. La Chiesa desidera che i fedeli non solo offrano la vittima immacolata, ma imparino anche a offrire se stessi73 e così portino a compimento ogni giorno di più, per mezzo di Cristo mediatore, la loro unione con Dio e con i fratelli, perché finalmente Dio sia tutto in tutti74.
g) Le intercessioni: con esse si esprime che l’Eucaristia viene celebrata in comunione con tutta la Chiesa, sia celeste che terrena, e che l’offerta è fatta per essa e per tutti i suoi membri, vivi e defunti, i quali sono stati chiamati a partecipare alla redenzione e alla salvezza ottenuta per mezzo del Corpo e del Sangue di Cristo.
h) La dossologia finale: con essa si esprime la glorificazione di Dio; viene ratificata e conclusa con l’acclamazione del popolo: Amen.


73 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 48; cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 12: A.A.S. 59 (1967) pp. 548-549.
74 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 48; Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale Presbyterorum Ordinis, n. 5; Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 12: A.A.S. 59 (1967) pp. 548-549.


 

I riti di comunione

79. Poiché la celebrazione eucaristica è un convito pasquale, conviene che, secondo il comando del Signore, i fedeli ben disposti ricevano il suo Corpo e il suo Sangue come cibo spirituale. A questo mirano la frazione del pane e gli altri riti preparatori, che dispongono immediatamente i fedeli alla comunione.

 

a) La frazione del pane

80. Il sacerdote spezza il pane eucaristico, con l’aiuto, se è necessario, del diacono o di un sacerdote concelebrante, e mette una parte dell’ostia nel calice (immixtio) senza nulla dire. Il gesto della frazione del pane, compiuto da Cristo nell’ultima cena, che sin dal tempo apostolico ha dato il nome a tutta l’azione eucaristica, significa che i molti fedeli, nella comunione dell’unico pane di vita, che è il Cristo morto e risorto per la salvezza del mondo, costituiscono un solo corpo (cf. 1Cor 10, 17). Mentre si compiono la frazione del pane e l’immixtio, si esegue il canto allo spezzare del pane. Le norme sono le stesse riportate per il canto all’ingresso (cf. n. 45). Come per il canto all’ingresso, se non viene cantato, sia recitato.


b) La preghiera del Signore

81. Nella preghiera del Signore (Padre nostro) si chiede il pane quotidiano, nel quale i cristiani scorgono anche un particolare riferimento al pane eucaristico, e si implora la purificazione dei peccati, così che realmente i santi doni vengano dati ai santi. Il sacerdote rivolge l’invito alla preghiera, che tutti i fedeli dicono insieme con lui; ma soltanto il sacerdote vi aggiunge l’embolismo, che il popolo conclude con la dossologia (Tuo è il regno). L’embolismo, sviluppando l’ultima domanda della preghiera del Signore, chiede per tutta la comunità dei fedeli la liberazione dal potere del male. L’invito, la preghiera del Signore, l’embolismo e la dossologia, con la quale il popolo conclude l’embolismo, si cantano o si dicono ad alta voce.


c) La comunione

82. Il sacerdote si prepara con una preghiera silenziosa a ricevere con frutto il Corpo e il Sangue di Cristo. Lo stesso fanno i fedeli pregando in silenzio. Quindi il sacerdote mostra ai fedeli il pane eucaristico sulla patena o sul calice e li invita al banchetto di Cristo; poi insieme con loro esprime sentimenti di umiltà, servendosi delle prescritte parole evangeliche.


83. È vivamente da preferirsi che i fedeli, come lo stesso sacerdote è tenuto a fare, ricevano il Corpo del Signore con ostie consacrate nella stessa Messa e, nei casi previsti, partecipino al calice, perché, anche per mezzo dei segni, la comunione appaia meglio come partecipazione al sacrificio nell’atto della sua celebrazione75.


75 Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, nn. 31, 32: A.A.S. 59 (1967) pp. 558-559; Sacra Congregazione per la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione Immensæ Caritatis, 29 gennaio 1973, n. 2: A.A.S. 65 (1973) pp. 267-268.


 

84. Mentre il sacerdote assume il Sacramento si inizia il canto alla comunione: con esso si esprime, mediante l’accordo delle voci, l’unione spirituale di coloro che si comunicano, si manifesta la gioia del cuore e si pone maggiormente in luce il carattere ecclesiale della processione di coloro che si accostano a ricevere l’Eucaristia. Il canto si protrae durante la distribuzione del Sacramento ai fedeli76. Se però è previsto che dopo la comunione si esegua un inno, il canto di comunione s’interrompa al momento opportuno. Si faccia in modo che anche i cantori possano ricevere agevolmente la comunione.


76 Cf. Sacra Congregazione per i Sacramenti e il Culto Divino, Istruzione Inæstimabile Donum, 3 aprile 1980, n. 17: A.A.S. 72 (1980) p. 338.


 

85. Come canto alla comunione si può utilizzare quello dell’Antifonale, oppure un altro canto adatto, secondo le norme date per il canto all’ingresso (cf. n. 45). Se invece non si canta, l’antifona alla comunione proposta dal Messale sia recitata o dai fedeli, o da alcuni di essi, o dal lettore, altrimenti dallo stesso sacerdote dopo che questi si è comunicato, prima di distribuire la comunione ai fedeli.


86. Terminata la distribuzione della comunione, il sacerdote e i fedeli, secondo l’opportunità, pregano per un po’ di tempo in silenzio. Tutta l’assemblea può anche cantare un salmo o un altro cantico di lode o un inno.


87. Per completare la preghiera del popolo di Dio e anche per concludere tutto il rito di comunione, il sacerdote recita l’orazione dopo la comunione, nella quale invoca i frutti del mistero celebrato. Nella Messa si dice una sola orazione dopo la comunione, che termina con la conclusione breve, cioè:
– se è rivolta al Padre: Per Cristo nostro Signore;
– se è rivolta al Padre, ma verso la fine dell’orazione medesima si fa menzione del Figlio: Egli (o che) vive e regna nei secoli dei secoli;
– se è rivolta al Figlio: Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.
Il popolo fa sua l’orazione con l’acclamazione Amen.


D) Riti di conclusione

88. I riti di conclusione comprendono:
a) brevi avvisi, se necessari;
b) il saluto e la benedizione del sacerdote, che in alcuni giorni e in certe circostanze si può arricchire e sviluppare con un’altra formula più solenne;
c) il congedo del popolo da parte del diacono o del sacerdote, perché ognuno ritorni alle sue opere di bene lodando e benedicendo il Signore;
d) il bacio dell’altare da parte del sacerdote e del diacono e poi l’inchino profondo all’altare da parte del sacerdote, del diacono e degli altri ministri.

 

 

Capitolo III
UFFICI E MINISTERI NELLA MESSA

 

89. La celebrazione eucaristica è azione di Cristo e della Chiesa, cioè del popolo santo riunito e ordinato sotto la guida del vescovo. Perciò essa appartiene all’intero corpo della Chiesa, lo manifesta e lo implica; i suoi singoli membri poi vi sono interessati in diverso modo, secondo la diversità degli stati, dei compiti e dell’attiva partecipazione77. In questo modo il popolo cristiano, «stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato» (1Pt 2, 9), manifesta il proprio coerente e gerarchico ordine78. Tutti perciò, sia ministri ordinati sia fedeli laici, esercitando il loro ministero o ufficio, compiano solo e tutto ciò che è di loro competenza79.


77 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 26.
78 Cf. ibidem, n. 14.
79 Cf. ibidem, n. 28.


 

I. UFFICI DELL’ORDINE SACRO

90. Ogni legittima celebrazione dell’Eucaristia è diretta dal vescovo, o personalmente, o per mezzo dei presbiteri suoi collaboratori80. Quando il vescovo è presente a una Messa con partecipazione di popolo, è molto opportuno che celebri egli stesso l’Eucaristia e che associ a sé nell’azione sacra i presbiteri, come sacerdoti concelebranti. Questo si fa non tanto per accrescere la solennità esteriore del rito, ma per esprimere con maggior chiarezza il mistero della Chiesa, «sacramento di unità»81. Se il vescovo non celebra l’Eucaristia, ma ne affida il compito ad altri, allora è bene che lui stesso, indossati la croce pettorale, la stola e il piviale sopra il camice, presieda la liturgia della parola e impartisca la benedizione alla fine della Messa82.


80 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, nn. 26, 28; Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 42.
81 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 26.
82 Cf. Cæremoniale Episcoporum, nn. 175-186.


 

91. Anche il presbitero, che nella Chiesa ha il potere di offrire il sacrificio nella persona di Cristo in virtù della sacra potestà dell’ordine83, presiede il popolo fedele radunato in quel luogo e in quel momento, ne dirige la preghiera, gli annuncia il messaggio della salvezza, lo associa a sé nell’offerta del sacrificio a Dio Padre per Cristo nello Spirito Santo, distribuisce
ai fratelli il pane della vita eterna e lo condivide con loro. Pertanto, quando celebra l’Eucaristia, deve servire Dio e il popolo con dignità e umiltà, e, nel modo di comportarsi e di pronunciare le parole divine, deve far percepire ai fedeli la presenza viva di Cristo.


83 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 28; Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale Presbyterorum Ordinis, n. 2.


 

92. Il diacono, in forza della sacra ordinazione ricevuta, occupa il primo posto dopo il presbitero tra coloro che esercitano un ministero nella celebrazione eucaristica. Infatti il sacro ordine del diaconato già nella primitiva età apostolica fu tenuto in grande onore nella Chiesa84. Nella Messa il diacono ha come ufficio proprio: annunciare il Vangelo e talvolta predicare la parola di Dio, proporre ai fedeli le intenzioni della preghiera universale, servire il sacerdote, preparare l’altare e prestare servizio alla celebrazione del sacrificio, distribuire ai fedeli l’Eucaristia, specialmente sotto la specie del vino, ed eventualmente indicare al popolo i gesti e gli atteggiamenti da assumere.


84 Paolo VI, Lettera Apostolica Sacrum diaconatus ordinem, 18 giugno 1967: A.A.S. 59 (1967) pp. 697-704; Pontificale romano, Ordinazione del vescovo, dei presbiteri e dei diaconi, seconda edizione, 1992, n. 191.


 

II. I COMPITI DEL POPOLO DI DIO

93. I fedeli nella celebrazione della Messa formano la gente santa, il popolo che Dio si è acquistato e il sacerdozio regale, per rendere grazie a Dio, per offrire la vittima immacolata non soltanto per le mani del sacerdote ma anche insieme con lui, e per imparare a offrire se stessi85. Procurino quindi di manifestare tutto ciò con un profondo senso religioso e con la carità verso i fratelli che partecipano alla stessa celebrazione. Evitino perciò ogni forma di individualismo e di divisione, tenendo presente che hanno un unico Padre nei cieli, e perciò tutti sono tra loro fratelli.


85 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 48; Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 12: A.A.S. 59 (1967) pp. 548-549.


 

94. Formino invece un solo corpo, sia nell’ascoltare la parola di Dio, sia nel prendere parte alle preghiere e al canto, sia specialmente nella comune offerta del sacrificio e nella comune partecipazione alla mensa del Signore. Questa unità appare molto bene dai gesti e dagli atteggiamenti del corpo, che i fedeli compiono tutti insieme.


95. I fedeli non rifiutino di servire con gioia il popolo di Dio ogni volta che sono pregati di prestare qualche ministero o compito particolare nella celebrazione.


III. MINISTERI PARTICOLARI

Il ministero dell’accolito e del lettore istituiti

96. L’accolito è istituito per il servizio all’altare e per aiutare il sacerdote e il diacono. A lui spetta in modo particolare preparare l’altare e i vasi sacri, e, se necessario, distribuire la comunione, di cui è ministro straordinario, ai fedeli86. Nel ministero dell’altare, l’accolito ha compiti propri che egli stesso deve esercitare (cf. nn. 186-192).


86 Cf. Codice di Diritto Canonico (1983), can. 910, § 2; Istruzione interdicasteriale su alcune questioni circa la collaborazione dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti Ecclesiæ de mysterio, 15 agosto 1997, art. 8: A.A.S. 89 (1997) p. 871.


 

97. Il lettore è istituito per proclamare le letture della Sacra Scrittura, eccetto il Vangelo; può anche proporre le intenzioni della preghiera universale e, in mancanza del salmista, proclamare il salmo interlezionale. Nella celebrazione eucaristica il lettore ha un suo ufficio proprio (cf. nn. 193-197), che egli stesso deve esercitare.


Gli altri compiti

98. Se manca l’accolito istituito, si possono designare, per il servizio dell’altare in aiuto al sacerdote e al diacono, altri ministri laici, uomini e donne, che portano la croce, i ceri, il turibolo, la navicella, il pane, il vino, l’acqua. Essi possono essere anche incaricati di distribuire la comunione come ministri straordinari87.


87 Cf. Sacra Congregazione per la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione Immensæ Caritatis, 29 gennaio 1973, n. 1: A.A.S. 65 (1973) pp. 265-266; Codice di Diritto Canonico, can. 230, § 3.


 

99. Se manca il lettore istituito, altri laici, uomini e donne che siano adatti a svolgere questo compito e ben preparati, siano incaricati di proclamare le letture bibliche, affinché i fedeli maturino nel loro cuore, ascoltando le letture divine, un soave e vivo amore alla Sacra Scrittura88.


88 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 24.


 

100. È compito del salmista proclamare il salmo o un altro canto biblico che si trova tra le letture. Per adempiere convenientemente il suo ufficio, è necessario che il salmista possegga l’arte del salmodiare e abbia una buona pronuncia e una buona dizione.


101. Tra i fedeli esercita un proprio ufficio liturgico la schola cantorum o coro, il cui compito è quello di eseguire a dovere le parti che le sono proprie, secondo i vari generi di canto, e promuovere la partecipazione attiva dei fedeli nel canto89. Quello che si dice della schola cantorum, con gli opportuni adattamenti, vale anche per gli altri musicisti, specialmente per l’organista.


89 Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Musicam Sacram, 5 marzo 1967, n. 19: A.A.S. 59 (1967) p. 306.


 

102. È opportuno che vi sia un cantore o maestro di coro per dirigere e sostenere il canto del popolo. Anzi, mancando la schola, è compito del cantore guidare i diversi canti, facendo partecipare il popolo per la parte che gli spetta90.


90 Cf. ibidem, n. 21: A.A.S. 59 (1967) pp. 306-307.


 

103. Esercitano un servizio liturgico anche:
a) il sacrista, che prepara diligentemente i libri liturgici, le vesti liturgiche e quanto è necessario per la celebrazione della Messa.
b) Il commentatore, che, secondo l’opportunità, rivolge brevemente ai fedeli spiegazioni ed esortazioni per introdurli nella celebrazione e meglio disporli a comprenderla. Gli interventi del commentatore siano preparati con cura, siano chiari e sobri. Nel compiere il suo ufficio, il commentatore sta in un luogo adatto davanti ai fedeli, non però all’ambone.
c) Coloro che raccolgono le offerte in chiesa.
d) Coloro che accolgono i fedeli alla porta della chiesa, li dispongono ai propri posti e ordinano i loro movimenti processionali.


104. In analogia con il ministero del maestro delle celebrazioni liturgiche della chiesa metropolitana è bene che, almeno nelle chiese maggiori, vi sia un ministro competente o maestro delle celebrazioni liturgiche, incaricato di predisporre con cura i sacri riti, e di preparare i ministri e i fedeli laici a compierli con decoro, ordine e devozione.


105. I compiti liturgici, che non sono propri del presbitero o del diacono, e di cui si è detto sopra (cf. nn. 98-104), possono essere affidati, con la benedizione liturgica o con incarico temporaneo, a laici idonei, uomini e donne, scelti dal parroco o dal rettore della chiesa91.


91 Cf. Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi, Risposta al dubbio circa il can. 230, § 2: A.A.S. 86 (1994) p. 541.


 

IV. LA DISTRIBUZIONE DEI COMPITI E LA PREPARAZIONE DELLA CELEBRAZIONE

106. Un unico e medesimo sacerdote deve sempre esercitare l’ufficio presidenziale in tutte le sue parti, tranne ciò che è proprio della Messa in cui è presente il vescovo (cf. n. 90).


107. Se sono presenti più persone che possono esercitare lo stesso ministero, nulla impedisce che si distribuiscano tra loro le varie parti di uno stesso ministero o ufficio e ciascuno svolga la sua. Per esempio, un diacono può essere incaricato delle parti in canto e un altro del servizio all’altare; se vi sono più letture, converrà distribuirle tra più lettori, e così via. È da evitare che più persone si dividano fra loro un unico elemento della celebrazione: per es. che la medesima lettura sia proclamata da due lettori, uno dopo l’altro.


108. Se nella Messa con partecipazione di popolo vi è un solo ministro, egli può compiere diversi uffici.


109. La preparazione pratica di ogni celebrazione liturgica si faccia di comune e diligente intesa, secondo il Messale e gli altri libri liturgici, fra tutti coloro che sono interessati rispettivamente alla parte rituale, pastorale e musicale, sotto la direzione del rettore della chiesa e sentito anche il parere dei fedeli, per quanto li riguarda direttamente. Al sacerdote che presiede la celebrazione spetta però sempre il diritto di disporre ciò che a lui compete92.


92 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 22.


 

 

Capitolo IV
DIVERSE FORME DI CELEBRAZIONE DELLA MESSA

 

110. Nella Chiesa locale si deve dare il primo posto – lo richiede il suo significato – alla Messa cui presiede il vescovo circondato dal suo presbiterio93, dai diaconi e da tutti i ministri con la partecipazione piena e attiva del popolo santo di Dio. Si ha qui infatti una speciale manifestazione della Chiesa universale. Quando a presiedere è l’arcivescovo di Milano si manifesta pienamente anche la comunione della Chiesa ambrosiana e tale celebrazione assume un valore paradigmatico per tutte le comunità di rito ambrosiano. Per la celebrazione dell’arcivescovo si osservino le norme che si trovano nel Cerimoniale dei vescovi94, integrate con quelle riportate al capitolo IX del presente ordinamento.


93 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 41.
94 Cf. Cæremoniale Episcoporum, nn. 119-186.


 

111. Grande importanza si deve dare anche alla Messa celebrata con una comunità, specialmente parrocchiale; essa, infatti, soprattutto nella celebrazione comunitaria della domenica, manifesta la Chiesa universale in un momento e in un luogo determinato95.


95 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 42; Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 28; Decreto sulla vita e sul ministero sacerdotale Presbyterorum Ordinis, n. 5; Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 26: A.A.S. 59 (1967) p. 555.


 

112. Tra le Messe celebrate da determinate comunità, particolare importanza ha la Messa conventuale, che è parte dell’ufficio quotidiano, come pure la Messa detta «della comunità». E, sebbene queste Messe non comportino nessuna forma particolare di celebrazione, tuttavia è quanto mai conveniente che siano celebrate con il canto e soprattutto con la piena partecipazione di tutti i membri della comunità, sia di religiosi sia di canonici. In queste Messe perciò ognuno eserciti la sua funzione, secondo l’ordine o il ministero ricevuto. Anzi, conviene che tutti i sacerdoti non tenuti a celebrare individualmente per l’utilità pastorale dei fedeli, per quanto è possibile concelebrino in queste Messe. Inoltre tutti i sacerdoti membri della comunità, tenuti a celebrare individualmente per il bene pastorale dei fedeli, possono, nello stesso giorno, concelebrare anche la Messa conventuale o di comunità96. È preferibile infatti che i presbiteri presenti alla celebrazione eucaristica, se non sono scusati da una giusta causa, esercitino normalmente il ministero del proprio ordine e quindi partecipino come sacerdoti concelebranti, indossando le sacre vesti. Diversamente indossano il proprio abito corale o la cotta sopra la veste talare.


96 Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 47: A.A.S. 59 (1967) p. 565.


 

113. Per Messa con il popolo si intende quella celebrata con la partecipazione dei fedeli. Soprattutto nelle domeniche e feste di precetto, conviene, per quanto è possibile, che la celebrazione si svolga con il canto e con un congruo numero di ministri97; si può fare però anche senza canto e con un solo ministro.


97 Cf. ibidem n. 26: A.A.S. 59 (1967) p. 555; cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Musicam Sacram, 5 marzo 1967, nn. 16, 27: A.A.S. 59 (1967) pp. 305-308.


 

114. In ogni celebrazione della Messa, se è presente il diacono, compia il suo ufficio. È bene inoltre che un accolito, un lettore e un cantore assistano il sacerdote celebrante. Il rito qui sotto descritto prevede tuttavia la possibilità di usare un numero anche maggiore di ministri. 

 

Cose da preparare

115. L’altare sia ricoperto da almeno una tovaglia bianca. In ogni celebrazione sull’altare, o accanto a esso, si pongano almeno due candelabri con i ceri accesi, o anche quattro o sei, specialmente se si tratta della Messa domenicale o festiva di precetto; se celebra l’arcivescovo o il vescovo della diocesi, si usino sette candelabri. Inoltre, sull’altare, o vicino a esso, si
collochi la croce con l’immagine di Cristo crocifisso. Sulla croce, se è sospesa sopra l’altare, possono essere collocati i ceri prescritti, secondo l’usanza del rito ambrosiano98. I candelieri e la croce con l’immagine di Cristo crocifisso possono essere portati nella processione d’ingresso. Sopra l’altare si può collocare l’Evangeliario, distinto dal libro delle altre letture, a meno che non venga portato nella processione d’ingresso o nella processione al Vangelo.


98 Cf. Beroldus, ed. M. Magistretti (1894), p. 41 (cum tribus candelis accensis, una illa in summo crucis posita) e p. 126 (ostiarius observator debet accendere super crucem quinque candelas).


 

116. Si preparino pure:
a) accanto alla sede del sacerdote: il Messale e, se necessario, il libro dei canti;
b) sull’ambone: il Lezionario;
c) sopra la credenza: il calice, il corporale, il purificatoio e, secondo l’opportunità, la palla; la patena e le pissidi, se sono necessarie; il pane per la comunione del sacerdote che presiede, dei diaconi, dei ministri e del popolo; le ampolle con il vino e l’acqua, a meno che tutte queste cose non vengano presentate dai fedeli all’offertorio; un vaso con l’acqua da benedire se si compie il rito dell’aspersione; il piattello per la comunione dei fedeli; inoltre, se necessario, quanto occorre per lavarsi le mani. Il calice sia lodevolmente ricoperto da un velo, che può essere sempre di colore rosso o bianco, o del colore del giorno.


117. In sacrestia si preparino, secondo le varie forme di celebrazione, le vesti sacre (cf. nn. 341-352) del sacerdote, del diacono e degli altri ministri: 
a) per il sacerdote: camice, stola, casula o pianeta;
b) per il diacono: camice, dalmatica e stola; in caso però di necessità o di minore solennità, la dalmatica si può omettere;
c) per gli altri ministri: camici o altre vesti legittimamente approvate99. Tutti coloro che indossano il camice, usino il cingolo e l’amitto, a meno che per la forma stessa del camice non siano necessari. 
Nelle domeniche e nelle feste, qualora ci sia la processione d’ingresso e/o la processione al Vangelo, insieme alla croce da portare e ai candelabri con le candele accese, dove se ne prevede l’utilizzo, si predispongano anche: l’Evangeliario, il turibolo e la navicella con l’incenso.


99 Cf. Istruzione interdicasteriale su alcune questioni circa la collaborazione dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti Ecclesiæ de mysterio, 15 agosto 1997, art. 6: A.A.S. 89 (1997) p. 869.


 

A) Messa senza diacono

Riti di introduzione

118. Quando il popolo è radunato, il sacerdote e i ministri, rivestiti delle vesti sacre, si avviano all’altare. Nelle grandi liturgie vigiliari e nelle liturgie vespertine, che al sabato sera danno inizio alla domenica, i riti di introduzione si svolgono come descritto nel Libro delle Vigilie. Negli altri casi la processione avviene in quest’ordine:
a) i ministri con la navicella e il turibolo fumigante, se si usa l’incenso;
b) i ministri che portano i ceri accesi e, in mezzo a loro, l’accolito o un altro ministro con la croce (secondo la tradizione ambrosiana, l’immagine del Crocifisso è sempre rivolta verso colui che presiede la celebrazione);
c) gli accoliti e gli altri ministri;
d) il lettore, che può portare l’Evangeliario un po’ elevato, qualora non lo si porti dalla sacrestia nella processione al Vangelo e non siano previsti i Kýrie eléison nella navata centrale, ai piedi dell’altare;
e) il sacerdote che celebra la Messa.
Se si usa l’incenso, prima di incamminarsi il sacerdote pone l’incenso nel turibolo e lo benedice con un segno di croce, senza dire nulla.


119. Quando la celebrazione inizia con una solenne processione, accompagnata da un canto adatto, opportunamente i ministranti con la croce e le candele, giunti ai piedi dell’altare, si fermano rivolgendosi verso i fedeli mentre il clero e gli altri ministri si dispongono su due file rivolte l’una verso l’altra e il sacerdote presidente chiude la processione stando rivolto verso la croce: si cantano i dodici Kýrie eléison con una sallenda appropriata. Dopo la prima parte del Gloria al Padre il clero e i ministri si inchinano rivolgendosi verso la croce. All’inizio della seconda parte (come era), fatto l’inchino a colui che presiede, si dirigono verso l’altare (segue quanto descritto al n. 120). Terminata la sallenda si esegue il canto all’ingresso. Negli altri casi si esegue subito il canto all’ingresso (cf. nn. 44-45).


120. Arrivati all’altare, il sacerdote e i ministri fanno un inchino profondo, ma, se vi è il tabernacolo con il santissimo Sacramento, fanno la genuflessione. La croce con l’immagine di Cristo crocifisso, se portata in processione, viene collocata presso l’altare perché sia la croce dell’altare, che deve essere una soltanto, altrimenti si mette in disparte in un luogo degno. I candelabri invece si mettano sull’altare o accanto a esso; quando è portato nella processione iniziale, è bene che l’Evangeliario sia collocato sull’altare.


121. Il sacerdote accede all’altare e lo venera con il bacio. Poi, secondo l’opportunità, incensa la croce, la mensa e l’altare girandogli intorno.


122. Fatto questo, il sacerdote si reca alla sede. Terminato il canto all’ingresso, tutti, sacerdote e fedeli, rimanendo in piedi, fanno il segno della croce. Il sacerdote dice: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; il popolo risponde: Amen. Poi, rivolto al popolo, e allargando le braccia, il sacerdote lo saluta con una delle formule proposte. Egli stesso o un altro ministro può fare una breve introduzione alla Messa nel giorno.


123. Segue l’atto penitenziale, dopo il quale, fatta eccezione per i casi in cui questo viene omesso (cf. n. 48), nelle celebrazioni in cui è stabilito si canta o si recita il Gloria (cf. n. 49).
 

124. Quindi il sacerdote invita il popolo alla preghiera, dicendo a mani giunte: Preghiamo. E tutti insieme con il sacerdote pregano, per breve tempo, in silenzio. Poi il sacerdote, con le braccia allargate, dice l’orazione; al termine di questa, il popolo acclama: Amen.


Liturgia della parola

125. Terminata l’orazione, tutti siedono. Il sacerdote in modo molto breve può introdurre i fedeli alla liturgia della parola. Il lettore si reca all’ambone e proclama la lettura dal Lezionario, ivi collocato prima della Messa. Tutti ascoltano. Il lettore, prima di annunciare il titolo della lettura, inchinato verso il sacerdote, chiede la benedizione dicendo ad alta voce: Benedicimi, padre. Il sacerdote, ad alta voce, benedice con una delle formule seguenti:
– se la lettura è tratta dall’Antico Testamento, a eccezione dei libri sapienziali: La lettura profetica ci illumini e ci giovi a salvezza;
– se la lettura è tratta dai libri sapienziali dell’Antico Testamento: La lettura sapienziale ci illumini e ci giovi a salvezza;
– se la lettura è tratta dal Nuovo Testamento: La lettura apostolica ci illumini e ci giovi a salvezza;
– se la lettura è tratta dalla passione o dalla biografia del santo patrono o del titolare della Chiesa: La parola della Chiesa ci illumini e ci giovi a salvezza;
– se il medesimo lettore proclama le due letture che precedono la proclamazione del Vangelo: La parola di Dio ci illumini e ci giovi a salvezza;
– se è lo stesso lettore che proclama sia la lettura ecclesiastica sia quella biblica, il sacerdote benedice con la formula seguente: Leggi nel nome del Signore.
Invece di queste formule si può sempre usare quella breve: Leggi nel nome del Signore. Il lettore riceve la benedizione facendo il segno della croce. Per indicare la fine della lettura biblica, il lettore aggiunge: Parola di Dio. Tutti acclamano: Rendiamo grazie a Dio.
Per indicare la fine della lettura dalla passione o dalla biografia, il lettore aggiunge: Onore e gloria al Signore Nostro Gesù Cristo, che regna nei secoli dei secoli. Tutti acclamano: Amen.
Quindi si può osservare, secondo l’opportunità, un breve momento di silenzio affinché tutti meditino brevemente ciò che hanno ascoltato.


126. Segue il salmo. Il salmista, o lo stesso lettore, ne proclama i versetti, mentre il popolo risponde abitualmente con il ritornello.


127. Quando c’è l’epistola, il lettore, dopo aver chiesto la benedizione (se non è il medesimo che ha proclamato la lettura), la proclama dall’ambone; tutti l’ascoltano e alla fine rispondono con l’acclamazione, come è detto sopra (cf. n. 125). Quindi, secondo l’opportunità, si può osservare un breve momento di silenzio.


128. Poi tutti si alzano e si canta l’Alleluia o un altro canto, come richiesto dal tempo liturgico (cf. nn. 58-60).


129. Quando non è prevista la processione dalla sacrestia, mentre si canta l’Alleluia o un altro canto, se si usa l’incenso, il sacerdote lo mette nel turibolo e lo benedice. Quindi, a mani giunte, e inchinato profondamente davanti all’altare, dice sottovoce: Purifica il mio cuore.


130. Poi, se l’Evangeliario è sull’altare, lo prende e, preceduto dai ministri laici, che possono portare il turibolo e i ceri, si reca all’ambone, tenendo un po’ elevato l’Evangeliario. I presenti si rivolgono verso l’ambone, per manifestare una particolare riverenza al Vangelo di Cristo. L’Evangeliario può essere recato all’ambone partendo dalla sacrestia o da altro luogo adatto, a condizione che il Vangelo sia proclamato da un altro presbitero diverso dal sacerdote che presiede la celebrazione; durante la processione non si compie alcun gesto di venerazione né all’altare, né al presbitero celebrante.


131. All’ambone il sacerdote apre il libro, e, a mani giunte, dice: Il Signore sia con voi, mentre il popolo risponde: E con il tuo spirito; quindi: Lettura del Vangelo secondo N., tracciando con il pollice il segno di croce sul libro e sulla propria persona, sulla fronte, sulla bocca e sul petto, gesto che compiono anche tutti i presenti. Il popolo acclama, dicendo: Gloria a te, o Signore. Il sacerdote, se si usa il turibolo, incensa il libro (cf. nn. 282-283). Quindi proclama il Vangelo, concludendo con l’acclamazione: Parola del Signore, alla quale tutti rispondono: Lode a te, o Cristo. Il sacerdote bacia il libro senza dire nulla.


132. Quando manca il lettore, il sacerdote stesso proclama tutte le letture e il salmo stando all’ambone. Qui, se lo si usa, pone l’incenso nel turibolo, lo benedice e, inchinandosi profondamente, dice: Purifica il mio cuore.


133. Il sacerdote, stando alla sede o allo stesso ambone o, secondo l’opportunità, in un altro luogo idoneo, pronuncia l’omelia, al termine della quale si può osservare un momento di silenzio.


134. Dopo l’omelia o, se non vi è omelia, subito dopo la lettura del Vangelo, si canta o si dice a voce alta il canto dopo il Vangelo (cf. n. 63), mentre i ministri preparano l’altare.


135. Poi il sacerdote stando alla sede, a mani giunte, con una breve monizione invita i fedeli alla preghiera universale. Quindi, il cantore, il lettore o un altro ministro, dall’ambone o da un altro luogo conveniente, rivolto al popolo propone le intenzioni, mentre il popolo risponde supplicando. Alla fine il sacerdote, a braccia aperte, pronuncia l’orazione a conclusione della liturgia della parola (cf. n. 67).


Liturgia eucaristica

136. Dopo l’orazione a conclusione della liturgia della parola segue il rito della pace, secondo le norme già date (cf. n. 69), con l’invito Sia pace tra voi, o altre formule analoghe, e tutti si scambiano vicendevolmente un segno di pace e di amore fraterno. Chi presiede può dare il segno di pace ai ministri. Quindi ha inizio il canto di offertorio (cf. n. 71).
 

137. È bene che la partecipazione dei fedeli si manifesti con l’offerta del pane e del vino, per la celebrazione dell’Eucaristia, e con altri doni, per le necessità della Chiesa e dei poveri. Le offerte dei fedeli sono ricevute dal sacerdote, aiutato dall’accolito o da un altro ministro, che benedice i singoli offerenti dicendo: Ti benedica il Signore con questo tuo dono. Il pane e il vino per l’Eucaristia sono consegnati al sacerdote celebrante, che li depone sull’altare, mentre gli altri doni sono deposti in un altro luogo adatto (cf. n. 70).


138. All’altare il sacerdote riceve la patena con il pane; e, tenendola con entrambe le mani un po’ sollevata sull’altare, recita la formula prescritta. Quindi depone la patena con il pane sopra il corporale.


139. Poi, il sacerdote, stando a lato dell’altare, dalle ampolline presentate dal ministro versa il vino e un po’ d’acqua nel calice, dicendo sottovoce: Dal fianco aperto di Cristo. Ritornato al centro dell’altare, prende il calice e, tenendolo un po’ sollevato con entrambe le mani, pronuncia la formula prescritta; quindi depone il calice sul corporale e, se occorre, lo copre con la palla. Se non si fa il canto di offertorio o non si suona l’organo, il sacerdote, nella presentazione del pane e del vino, può dire ad alta voce una delle formule previste, alle quali il popolo risponde con la rispettiva acclamazione.


140. Deposto il calice sull’altare, il sacerdote, inchinandosi profondamente, dice sottovoce: Umili e pentiti.


141. Se si usa l’incenso, il sacerdote lo infonde nel turibolo, lo benedice senza nulla dire e incensa i doni, la croce e l’altare. Il ministro, stando a lato dell’altare, incensa chi presiede, poi il popolo.


142. Dopo la preghiera Umili e pentiti, oppure dopo l’incensazione, il sacerdote, stando a lato dell’altare, se è necessario, si lava le mani con l’acqua versatagli dal ministro.


143. Ritornato al centro dell’altare, il sacerdote, con le mani giunte, insieme con il popolo recita il simbolo (Credo – cf. nn. 74-75), quando prescritto. Nel dire le parole: E per opera dello Spirito Santo... si è fatto uomo, tutti si inchinano; nella domenica dell’Incarnazione (VI di avvento), nel Natale del Signore (25 dicembre) e nella solennità dell’Annunciazione (25 marzo) tutti genuflettono.


144. Poi il sacerdote dice, con le braccia allargate, l’orazione sui doni; al termine il popolo acclama: Amen.


145. Quindi il sacerdote inizia la preghiera eucaristica. Secondo le rubriche (cf. n. 369) ne sceglie una fra quelle che si trovano nel Messale o che sono approvate dalla Santa Sede. La preghiera eucaristica esige, per sua natura, di essere pronunciata dal solo sacerdote, in forza dell’ordinazione. Il popolo invece si associ al sacerdote con fede e in silenzio, e anche con gli interventi stabiliti nel corso della preghiera eucaristica, quali sono le risposte nel dialogo del prefazio, il Santo, l’acclamazione dopo la consacrazione e l’Amen dopo la dossologia finale, e altre eventuali acclamazioni approvate dal capo rito e confermate dalla Santa Sede. È assai conveniente che il sacerdote canti le parti della preghiera eucaristica che sono indicate in musica.


146. Il sacerdote, quando inizia la preghiera eucaristica, allargando le braccia, canta o dice: Il Signore sia con voi; mentre il popolo risponde: E con il tuo spirito. Prosegue: In alto i nostri cuori, e intanto innalza le mani. Il popolo risponde: Sono rivolti al Signore. Poi il sacerdote, con le braccia aperte, soggiunge: Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio, e il popolo risponde: È cosa buona e giusta. Poi il sacerdote, con le braccia allargate, continua il prefazio; al termine di esso, a mani giunte, canta o dice ad alta voce, insieme con tutti i presenti: Santo (cf. n. 78b).


147. Il sacerdote prosegue la preghiera eucaristica, secondo le rubriche indicate in ogni formulario della preghiera stessa. Se chi presiede è un vescovo, nelle preghiere, dopo le parole: il nostro papa N. soggiunge: e me, indegno tuo servo. O dopo le parole: del nostro papa N., aggiunge: di me indegno tuo servo. Se invece il vescovo celebra fuori della sua diocesi, dopo le parole: il nostro papa N. aggiunge: il mio fratello N., vescovo di questa Chiesa N., e me indegno tuo servo, o dopo le parole: del nostro papa N., aggiunge: del mio fratello N., vescovo di questa Chiesa N., e di me indegno tuo servo. Il vescovo diocesano o colui che è ad esso equiparato a norma del diritto, si deve nominare con questa formula: con il tuo servo il nostro papa N. e il nostro vescovo N.. Nella preghiera eucaristica è permesso nominare il vescovo coadiutore e gli ausiliari, non invece altri vescovi eventualmente presenti. Quando si dovessero fare più nomi, si dice con formula generale: e con il nostro vescovo N. e i vescovi suoi collaboratori. In ogni preghiera eucaristica tali formule si devono adattare, secondo le esigenze grammaticali.


148. Poco prima della consacrazione, il ministro, se è opportuno, avverte i fedeli con un segno di campanello. Così pure suona il campanello alla presentazione al popolo dell’ostia consacrata e del calice secondo le consuetudini locali. Se si usa l’incenso, quando, dopo la consacrazione, si mostrano al popolo l’ostia e il calice, il ministro li incensa.


149. Dopo la consacrazione, il sacerdote dice: Mistero della fede e il popolo risponde con un’acclamazione, scegliendo una formula fra quelle prescritte. Poi il sacerdote, restando al centro dell’altare, distende le braccia in forma di croce secondo quanto indicato dalla rubrica, e così possono fare anche tutti i fedeli (cf. 40d). Al termine della preghiera eucaristica, il sacerdote, prendendo la patena con l’ostia insieme al calice, ed elevandoli entrambi, pronuncia, lui solo, la dossologia conclusiva. Il popolo acclama: Amen. Poi il sacerdote depone la patena e il calice sopra il corporale.


150. Dopo la dossologia, che conclude la preghiera eucaristica, il sacerdote prende l’ostia, la spezza sopra la patena o sopra il calice e ne mette una particella nel calice; intanto la schola e il popolo cantano o recitano il canto allo spezzare del pane (cf. n. 80).


151. Terminato il canto allo spezzare del pane, il sacerdote, a mani giunte, dice la monizione che precede l’orazione del Signore e recita poi il Padre nostro, con le braccia allargate, insieme con il popolo.


152. Al termine del Padre nostro, il sacerdote, con le braccia allargate, dice da solo l’embolismo Liberaci, o Signore, dopo il quale il popolo acclama: Tuo è il regno.


153. Quindi il sacerdote, con le braccia allargate, dice ad alta voce la preghiera: Signore Gesù Cristo; terminata la preghiera, allargando e ricongiungendo le mani, annuncia la pace, dicendo verso il popolo: La pace e la comunione del Signore nostro Gesù Cristo siano sempre con voi. Il popolo risponde: E con il tuo spirito.


154. Allora il sacerdote dice sottovoce e con le mani giunte la preghiera alla comunione Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, oppure La comunione al tuo Corpo.


155. Terminata la preghiera, il sacerdote genuflette, prende l’ostia consacrata nella stessa Messa e, tenendola alquanto sollevata sopra la patena o sopra il calice, rivolto al popolo, dice: Ecco l’Agnello di Dio, e, insieme con il popolo, prosegue: O Signore, non sono degno.


156. Poi, rivolto all’altare, il sacerdote dice sottovoce: Il Corpo di Cristo mi custodisca per la vita eterna, e con riverenza si ciba del Corpo di Cristo. Quindi prende il calice, dicendo sottovoce: Il Sangue di Cristo mi custodisca per la vita eterna, e con riverenza beve il Sangue di Cristo.


157. Mentre il sacerdote si comunica, si inizia il canto alla comunione (cf. nn. 84-85).


158. Poi il sacerdote prende la patena o la pisside e si reca dai comunicandi, che normalmente si avvicinano processionalmente. Non è permesso ai fedeli prendere da se stessi il pane consacrato o il sacro calice, tanto meno passarselo di mano in mano. I fedeli si comunicano in piedi o in ginocchio. Quando si comunicano stando in piedi, si raccomanda che, prima di ricevere il Sacramento, facciano la debita riverenza.


159. Se la comunione si fa sotto la sola specie del pane, il sacerdote eleva alquanto l’ostia e la presenta a ciascuno dicendo: Il Corpo di Cristo. Il comunicando risponde: Amen, e riceve il Sacramento in bocca o sul palmo della mano, come preferisce. Il comunicando, appena ha ricevuto il pane consacrato, lo consuma totalmente. Se invece la comunione si fa sotto le due specie si segue il rito descritto a suo luogo (cf. nn. 287-293).


160. Nel caso siano presenti altri presbiteri, essi possono aiutare il sacerdote nella distribuzione della comunione. Se non ve ne sono a disposizione e il numero dei comunicandi è molto grande, il sacerdote può chiamare in aiuto i ministri straordinari, cioè l’accolito istituito, o anche altri fedeli a ciò deputati secondo il diritto100. In caso di necessità, il sacerdote può incaricare volta per volta fedeli idonei. Questi ministri (istituiti, deputati in modo stabile o incaricati di volta in volta) salgano all’altare per essere benedetti101 e ricevano dalla mano del sacerdote il vaso in cui si custodiscono le specie della santissima Eucaristia da distribuire ai fedeli.


100 Cf. Sacra Congregazione per i Sacramenti e il Culto Divino, Istruzione Inæstimabile Donum, 3 aprile 1980, n. 10: A.A.S. 72 (1980) p. 336; Istruzione interdicasteriale su alcune questioni circa la collaborazione dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti Ecclesiæ de mysterio, 15 agosto 1997, art. 8: A.A.S. 89 (1997) p. 871.
101 Cf. Rito della Messa con il popolo, p. 572.


 

161. Terminata la distribuzione della comunione, il sacerdote all’altare consuma subito e totalmente il vino consacrato rimasto; invece le ostie consacrate, che sono avanzate, o le consuma all’altare o le porta al luogo destinato alla conservazione dell’Eucaristia. Il sacerdote, ritornato all’altare, raccoglie i frammenti, se ce ne fossero; poi, stando all’altare o alla credenza, purifica la patena o la pisside sopra il calice, purifica poi il calice e lo asterge con il purificatoio. Se i vasi sacri sono stati astersi all’altare, il ministro li porta alla credenza. I vasi sacri da purificare, soprattutto se fossero molti, si possono anche lasciare, opportunamente ricoperti, sull’altare o alla credenza, sopra il corporale; la purificazione si compie subito dopo la Messa, una volta congedato il popolo.


162. Compiuta la purificazione, il sacerdote può ritornare alla sede. Si può osservare, per un tempo conveniente, il sacro silenzio, oppure cantare un salmo, un altro canto di lode o un inno (cf. n. 86).


163. Poi, stando alla sede o all’altare, il sacerdote, rivolto al popolo, dice a mani giunte: Preghiamo, e, a braccia allargate, dice l’orazione dopo la comunione, alla quale può premettere una breve pausa di silenzio, a meno che sia già stato osservato subito dopo la comunione. Al termine dell’orazione il popolo acclama: Amen.


Riti di conclusione

164. Detta l’orazione dopo la comunione, si possono dare, se occorre, brevi comunicazioni al popolo.


165. Poi il sacerdote, allargando le braccia, saluta il popolo, dicendo: Il Signore sia con voi; il popolo risponde: E con il tuo spirito, Kýrie eléison, Kýrie eléison, Kýrie eléison. Il sacerdote congiunge ancora le mani e subito, tenendo la mano sinistra sul petto e alzando la destra, soggiunge: Vi benedica Dio onnipotente, e, tracciando il segno di croce sopra il popolo, prosegue: Padre e Figlio e Spirito Santo. Tutti rispondono: Amen. In giorni e circostanze particolari, questa benedizione, secondo le rubriche, viene espressa e arricchita con un’altra formula più solenne. Il vescovo benedice il popolo secondo la formula a lui propria, tracciando tre volte il segno di croce.


166. Subito dopo la benedizione, il sacerdote, a mani giunte, aggiunge: Andiamo in pace e tutti rispondono: Nel nome di Cristo.


167. Infine il sacerdote venera l’altare con il bacio, e, fatto un profondo inchino all’altare insieme con i ministri laici, con loro si ritira.


168. Se alla Messa segue un’altra azione liturgica, si tralasciano i riti di conclusione, cioè il saluto, la benedizione e il congedo.


B) Messa con il diacono

169. Il diacono, quando è presente alla celebrazione eucaristica rivestito delle sacre vesti, eserciti il suo ministero. Egli infatti:
a) sta accanto al sacerdote e lo aiuta;
b) all’altare, svolge il suo servizio al calice e al libro;
c) proclama il Vangelo e può, per incarico del sacerdote celebrante, tenere l’omelia (cf. n. 62);
d) guida il popolo dei fedeli con opportune monizioni ed enuncia le intenzioni della preghiera universale;
e) aiuta il sacerdote celebrante nella distribuzione della comunione, purifica e ripone i vasi sacri;
f) compie lui stesso gli uffici degli altri ministri, secondo la necessità, quando nessuno di essi è presente.


Riti di introduzione

170. Il diacono incede a fianco del sacerdote; se porta l’Evangeliario, nel caso in cui la processione al Vangelo non parta dalla sacrestia (cf. infra n. 173), precede il sacerdote che presiede e gli eventuali sacerdoti concelebranti, tenendo il libro un po’ elevato.


171. Il diacono, se non porta l’Evangeliario, fa con il sacerdote nel modo consueto un profondo inchino all’altare e con lui lo venera con il bacio. Se invece porta l’Evangeliario, quando è giunto all’altare, vi si accosta, omettendo la riverenza. Quindi, deposto l’Evangeliario sull’altare, insieme con il sacerdote venera l’altare con il bacio. Infine, se si usa l’incenso, assiste il sacerdote nell’infusione dell’incenso nel turibolo e nell’incensazione della croce e della mensa; egli stesso poi completa l’incensazione dell’altare, girandogli intorno.


172. Incensato l’altare, insieme con il sacerdote si reca alla sede; qui rimane accanto al sacerdote, prestandogli servizio secondo le necessità.


Liturgia della parola

173. La processione al Vangelo parta di norma dalla sacrestia (o da un altro luogo adatto fuori dal presbiterio) dove è collocato l’Evangeliario. Il diacono, dopo aver infuso l’incenso, prende l’Evangeliario e lo porta tenendolo un po’ elevato, preceduto dal turiferario con il turibolo fumigante e dai ministri con i ceri accesi. Durante la processione non si compie alcun gesto di venerazione né all’altare né al presbitero celebrante. Qualora non fosse possibile partire dalla sacrestia (o da un altro luogo adatto fuori dal presbiterio), mentre si canta l’Alleluia o un altro canto, se si usa il turibolo, il diacono alla sede aiuta il sacerdote nell’infusione dell’incenso. Fatta la debita riverenza all’altare, prende l’Evangeliario che vi è stato collocato sopra e va all’ambone nel modo descritto. Qui, inchinandosi verso il sacerdote, chiede la benedizione dicendo ad alta voce: Benedicimi, padre. Il sacerdote lo benedice rispondendo ad alta voce: Il Signore sia nel tuo cuore. Il diacono fa il segno della croce, rispondendo Amen, poi saluta il popolo dicendo, a mani giunte, Il Signore sia con voi; quindi, alle parole Lettura del Vangelo secondo N., con il pollice segna il libro e poi se stesso sulla fronte, sulla bocca e sul petto, incensa il libro e proclama il Vangelo. La proclamazione del Vangelo può avvenire in canto o in forma letta; la proclamazione in canto è da incoraggiare soprattutto nelle liturgie più solenni. Terminata la proclamazione, il diacono acclama: Parola del Signore; tutti rispondono: Lode a te, o Cristo. Quindi venera il libro con il bacio e ritorna presso il sacerdote. Quando il diacono serve il vescovo, gli porta il libro da baciare. L’Evangeliario può rimanere sull’ambone o essere portato alla credenza o in altro luogo adatto e degno.


174. Se manca un altro lettore idoneo, il diacono proclami anche le altre letture.


175. Al canto dopo il Vangelo, il diacono con l’aiuto dell’accolito prepara l’altare, deponendovi sopra il corporale, il purificatoio e, a lato, il calice e la palla; spetta a lui la cura dei vasi sacri (cf. n. 63).


176. Alla preghiera dei fedeli, dopo l’introduzione del sacerdote, il diacono propone le varie intenzioni, stando abitualmente all’ambone.


Liturgia eucaristica

177. Prima che i doni vengano portati all’altare, il diacono dice: Sia pace tra voi o un altro simile invito. Il diacono riceve la pace dal sacerdote e la può dare ai ministri più vicini.


178. Dopo il rito della pace, il diacono sta accanto al sacerdote e lo aiuta nel ricevere i doni del popolo. Presenta al sacerdote la patena con il pane da consacrare; versa il vino e un po’ d’acqua nel calice, dicendo sottovoce: Dal fianco aperto di Cristo, e lo presenta poi al sacerdote.
Se si usa l’incenso, assiste il sacerdote nell’incensazione delle offerte, della croce e della mensa, poi lui stesso incensa il sacerdote e completa l’incensazione dell’altare girandogli attorno. Un ministro incensa il diacono e il popolo.


179. Durante la preghiera eucaristica, il diacono sta ai lati dell’altare e attende, quando occorre, al calice. Quindi dal racconto dell’istituzione fino all’ostensione del calice il diacono abitualmente sta in ginocchio. Se sono presenti più diaconi, uno di essi, al momento della consacrazione, può mettere l’incenso nel turibolo e incensare durante l’ostensione dell’ostia e del calice.


180. Alla dossologia finale della preghiera eucaristica, stando accanto al sacerdote, tiene sollevato il calice, mentre il sacerdote eleva la patena con l’ostia, finché il popolo non abbia acclamato: Amen.


181. Dopo che il sacerdote si è comunicato, il diacono riceve la comunione sotto le due specie dallo stesso sacerdote, quindi lo aiuta a distribuire la comunione al popolo. Se la comunione viene distribuita sotto le due specie, porge il calice a quanti si comunicano; poi, terminata la distribuzione, all’altare devotamente consuma subito il Sangue di Cristo che è rimasto, con l’aiuto, se il caso lo richiede, degli altri diaconi e presbiteri.


182. Terminata la distribuzione della comunione, il diacono ritorna all’altare con il sacerdote, raccoglie i frammenti, se ve ne fossero, quindi porta alla credenza il calice e gli altri vasi sacri, dove li purifica e riordina, come di norma, mentre il sacerdote ritorna alla sede. I vasi sacri da purificare si possono anche lasciare opportunamente ricoperti alla credenza, sopra il corporale; la purificazione si compia subito dopo la Messa, una volta congedato il popolo.


Riti di conclusione

183. Detta l’orazione dopo la comunione, il diacono dà al popolo, quando necessario, brevi comunicazioni, a meno che il sacerdote preferisca darle personalmente.


184. Se si usa la formula della benedizione solenne, il diacono dice: Inchinatevi per la benedizione. Dopo la benedizione del sacerdote, il diacono congeda il popolo dicendo, a mani giunte e rivolto verso il popolo: Andiamo in pace. Tutti rispondono: Nel nome di Cristo.


185. Quindi, insieme con il sacerdote, venera l’altare con il bacio e, fatto un profondo inchino, ritorna allo stesso modo come era venuto.


C) Compiti dell’accolito

186. I compiti che l’accolito può svolgere sono di vario genere; molti di loro si possono presentare contemporaneamente. Conviene quindi distribuire i vari compiti tra più accoliti; se però è presente un solo accolito, svolga lui stesso gli uffici più importanti, e gli altri vengano distribuiti tra più ministri.


Riti iniziali

187. Nella processione all’altare l’accolito, indossata una veste approvata (cf. n. 345), può portare la croce, affiancato da due ministri con i ceri accesi. Giunto all’altare, colloca la croce presso l’altare, affinché sia la croce dell’altare, altrimenti la ripone in un luogo degno. Quindi va al suo posto in presbiterio.


188. Durante l’intera celebrazione, è compito dell’accolito accostarsi, all’occorrenza, al sacerdote o al diacono, per presentare loro il libro o per aiutarli in tutto ciò che è necessario. Conviene pertanto che, per quanto possibile, occupi un posto dal quale possa svolgere comodamente il suo compito, sia alla sede sia all’altare.


Liturgia eucaristica

189. In assenza del diacono, durante il canto dopo il Vangelo, mentre il sacerdote rimane alla sede l’accolito depone sopra l’altare il corporale, il purificatoio, il calice e la palla. Quindi, se necessario, aiuta il sacerdote nel ricevere i doni del popolo e, secondo l’opportunità, porta all’altare il pane e il vino e li consegna al sacerdote. Se si usa l’incenso, egli presenta il turibolo al sacerdote e lo assiste poi nell’incensazione delle offerte, della croce e dell’altare. Quindi incensa il sacerdote e il popolo.


190. L’accolito istituito, se necessario, può, come ministro straordinario, aiutare il sacerdote nella distribuzione della comunione al popolo102. Se si fa la comunione sotto le due specie, in assenza del diacono, l’accolito presenta il calice ai comunicandi, o tiene lui stesso il calice, se la comunione si dà per intinzione.


102 Cf. Paolo VI, Lettera Apostolica Ministeria Quædam, 15 agosto 1972: A.A.S. 64 (1972) p. 532.


 

191. L’accolito istituito, terminata la distribuzione della comunione, aiuta il sacerdote o il diacono a purificare e riordinare i vasi sacri. In assenza del diacono l’accolito istituito porta i vasi sacri alla credenza e lì, come si usa abitualmente, li purifica, li asterge e li riordina.


192. Terminata la celebrazione della Messa, l’accolito e gli altri ministri, insieme al sacerdote e al diacono, ritornano in sacrestia processionalmente nello stesso modo e ordine con il quale erano arrivati.


D) Compiti del lettore

Riti iniziali

193. Nella processione all’altare, in assenza del diacono, il lettore, indossata una veste approvata (cf. n. 345), può portare l’Evangeliario tenendolo un po’ elevato; in tal caso procede davanti al sacerdote che presiede e agli eventuali sacerdoti concelebranti; altrimenti, incede con gli altri ministri.


194. Giunto all’altare, fa’ con gli altri un profondo inchino. Se porta l’Evangeliario, accede all’altare e ve lo depone. Quindi va a occupare il suo posto in presbiterio con gli altri ministri.
 

Liturgia della parola

195. Dopo aver chiesto e ricevuto la benedizione, il lettore proclama dall’ambone le letture che precedono il Vangelo. In mancanza del salmista, può anche proclamare il salmo dopo la lettura.


196. In assenza del diacono, dopo l’introduzione del sacerdote, può proporre dall’ambone le intenzioni della preghiera universale.


197. Se all’ingresso, dopo il Vangelo, allo spezzare del pane o alla comunione non si esegue un canto, le antifone indicate dal Messale vengano recitate a tempo debito o da tutti i fedeli o da alcuni di essi o da un lettore incaricato (cf. n. 45).


II. MESSA CONCELEBRATA

198. La concelebrazione, nella quale si manifesta assai bene l’unità del sacerdozio, del sacrificio e di tutto il popolo di Dio, è prescritta dal rito stesso: nell’ordinazione del vescovo e dei presbiteri, nella benedizione dell’abate e nella Messa crismale. È invece raccomandata, se l’utilità dei fedeli non richiede o suggerisce altro:
a) nella Messa vespertina nella cena del Signore;
b) nella Messa celebrata in occasione di concili, di raduni di vescovi e di sinodi;
c) nella Messa conventuale e nella Messa principale nelle chiese e negli oratori;
d) nelle Messe in occasione di incontri di sacerdoti, secolari o religiosi, qualunque sia il carattere di tali incontri103.
Al singolo sacerdote sia tuttavia permesso celebrare l’Eucaristia in modo individuale, non però nel tempo in cui nella stessa chiesa o oratorio si tiene la concelebrazione. Ma il giovedì della settimana autentica nella Messa vespertina nella cena del Signore, e nella Messa della veglia pasquale non è permesso celebrare in modo individuale.


103 Cf. Conc. Ecum. Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 57; Codice di Diritto Canonico (1983), can. 902.


 

199. I presbiteri pellegrini siano accolti volentieri nella concelebrazione eucaristica, purché sia riconosciuta la loro condizione di sacerdoti.


200. Quando vi è un numero considerevole di sacerdoti, se la necessità o l’utilità pastorale lo suggerisce, si possono svolgere anche più concelebrazioni nello stesso giorno; si debbono tuttavia tenere in tempi successivi o in luoghi sacri diversi104.


104 Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 47: A.A.S. 59 (1967) p. 566.


 

201. Spetta al vescovo, a norma del diritto, regolare la disciplina della concelebrazione in tutte le chiese e gli oratori della sua diocesi.
 

202. Particolare importanza si deve dare a quella concelebrazione in cui i presbiteri di una diocesi concelebrano con il proprio vescovo, soprattutto nei giorni più solenni dell’anno liturgico, nella Messa dell’ordinazione del nuovo vescovo diocesano o del suo coadiutore, o ausiliare, nella Messa crismale, nella Messa vespertina nella cena del Signore, nelle celebrazioni del santo fondatore della Chiesa locale o del patrono della diocesi, negli anniversari del vescovo e infine in occasione del sinodo o della visita pastorale. Per lo stesso motivo si raccomanda la concelebrazione tutte le volte che i sacerdoti si radunano insieme con il proprio vescovo, sia in occasione di esercizi spirituali, sia per qualche altro convegno. In tali circostanze viene manifestato in modo più evidente quel segno dell’unità del sacerdozio, come pure della Chiesa stessa, che è proprio di ogni concelebrazione105.


105 Cf. ibidem, p. 565.


 

203. Per motivi particolari, suggeriti dal significato del rito o della festa, è concesso celebrare o concelebrare più volte nello stesso giorno nei seguenti casi: 
a) chi ha celebrato o concelebrato al giovedì della settimana autentica la Messa crismale, può celebrare o concelebrare anche la Messa vespertina nella cena del Signore;
b) chi ha celebrato o concelebrato la Messa della veglia pasquale può celebrare o concelebrare la Messa nel giorno di Pasqua;
c) nel Natale del Signore tutti i sacerdoti possono celebrare o concelebrare le tre Messe, purché lo facciano nelle ore corrispondenti;
d) nel giorno della commemorazione di tutti i fedeli defunti, tutti i sacerdoti possono celebrare o concelebrare tre Messe, purché le celebrazioni avvengano in tempi diversi e osservando ciò che è stato stabilito per l’applicazione della seconda e terza Messa106;
e) chi in occasione del sinodo, della visita pastorale o di incontri sacerdotali concelebra con il vescovo o con un suo delegato, può di nuovo celebrare, per l’utilità dei fedeli. La stessa possibilità è data, con gli opportuni adattamenti, anche per le riunioni dei religiosi.

106 Cf. Benedetto XV, Costituzione Apostolica Incruentum Altaris Sacrificium, 10 agosto 1915: A.A.S. 7 (1915) pp. 401-404.



 

204. La Messa concelebrata, in qualunque forma si svolga, è ordinata secondo le norme che comunemente si devono osservare (cf. nn. 110-197), tenute presenti le varianti qui sotto indicate.


205. Nessuno mai vada o sia ammesso a concelebrare quando la Messa è già iniziata.


206. In presbiterio si preparino:
a) le sedi e i sussidi per i sacerdoti concelebranti;
b) sulla credenza: un calice di sufficiente capacità o più calici.
 

207. Se non è presente il diacono, i compiti a lui propri sono svolti da alcuni sacerdoti concelebranti. Se non vi sono gli altri ministri, le parti loro proprie si possono affidare ad altri fedeli idonei, altrimenti vengono assolte da alcuni sacerdoti concelebranti.


Riti di introduzione

208. I sacerdoti concelebranti, in sacrestia o in altro luogo adatto, indossano le vesti sacre che abitualmente si utilizzano nella celebrazione individuale. Tuttavia per un ragionevole motivo, come ad esempio un numero notevole di concelebranti e la mancanza di vesti liturgiche, i concelebranti, fatta sempre eccezione per il celebrante principale, possono indossare soltanto la stola sopra il camice.
 

209. Preparata ogni cosa in modo ordinato, si fa, come di consueto, la processione attraverso la chiesa fino all’altare. I sacerdoti concelebranti precedono il celebrante principale.


210. Giunti all’altare, i sacerdoti concelebranti e il celebrante principale, fatto un profondo inchino, venerano l’altare con il bacio, quindi si recano al posto loro assegnato. Il sacerdote celebrante principale, secondo l’opportunità, incensa la croce e l’altare; si reca poi alla sede.


Liturgia della parola

211. Durante la liturgia della parola, i sacerdoti concelebranti stanno al loro posto, e nel sedersi e nell’alzarsi si uniformano al celebrante principale. Iniziato il canto dell’Alleluia (o, in quaresima, una diversa acclamazione) tutti si alzano, tranne il vescovo, che, qualora la processione con l’Evangeliario muova dall’altare, impone l’incenso senza nulla dire e, terminato il canto dell’Alleluia (o, in quaresima, una diversa acclamazione), benedice il diacono o, se questo è assente, il sacerdote concelebrante che proclamerà il Vangelo. Tuttavia nella concelebrazione presieduta da un presbitero, il sacerdote concelebrante che proclama il Vangelo in assenza del diacono né chiede né riceve la benedizione del celebrante principale.


212. L’omelia è tenuta normalmente dal sacerdote celebrante principale o da uno dei sacerdoti concelebranti.


Liturgia eucaristica

213. La preparazione dei doni (cf. nn. 136-144) viene compiuta dal celebrante principale; gli altri sacerdoti concelebranti restano al loro posto.


214. Dopo che il celebrante principale ha recitato l’orazione sui doni, i sacerdoti concelebranti si avvicinano all’altare disponendosi attorno a esso, in modo però da non intralciare lo svolgimento dei riti, da permettere di vedere bene l’azione sacra e al diacono di avvicinarsi facilmente all’altare per svolgere il suo ministero. Il diacono eserciti il suo ministero all’altare, servendo quando è necessario al calice e al Messale. Tuttavia, per quanto è possibile, egli stia abbastanza arretrato, un po’ indietro rispetto ai sacerdoti concelebranti che si dispongono attorno al celebrante principale. Se i concelebranti sono molti, alcuni si dispongono attorno all’altare; tutti gli altri restano al loro posto. 
 

Modo di dire la preghiera eucaristica

215. Il prefazio viene cantato o proclamato dal solo sacerdote celebrante principale; il Santo viene cantato o proclamato da tutti i sacerdoti concelebranti insieme con il popolo e la schola.


216. Terminato il Santo, i sacerdoti concelebranti proseguono la recita della preghiera eucaristica, nel modo sotto indicato. Soltanto il celebrante principale compie i gesti, salvo indicazioni contrarie.


217. Le parti che sono pronunciate da tutti i sacerdoti concelebranti, in modo particolare le parole della consacrazione, che tutti sono tenuti a esprimere, si devono recitare sottovoce, in modo che venga udita chiaramente la voce del celebrante principale. In tal modo le parole sono più facilmente intese dal popolo. Le parti che devono essere dette insieme da tutti i sacerdoti concelebranti possono lodevolmente essere cantate.
 

a) Preghiera eucaristica I

218. Nella preghiera eucaristica I, solo il celebrante principale, con le braccia allargate, dice Padre clementissimo.


219. Il ricordo dei vivi (Ricòrdati, Signore) e l’In comunione conviene siano affidati a due diversi sacerdoti concelebranti che, l’uno dopo l’altro, dicono queste preghiere con le braccia allargate e ad alta voce.


220. Il solo celebrante principale, con le braccia allargate, dice Accetta con benevolenza, o Padre.


221. Da Santifica, o Dio fino a Ti supplichiamo, Dio onnipotente il celebrante principale compie i gesti, tutti i sacerdoti concelebranti però recitano insieme tutte le formule, in questo modo:
a) Santifica, o Dio: con le mani stese verso le offerte;
b) La vigilia e Dopo la cena: a mani giunte;
c) alle parole del Signore, con la mano destra stesa
verso il pane e il calice, se ciò sembra opportuno; alla loro presentazione, i sacerdoti concelebranti sollevano lo sguardo verso l’ostia consacrata e il calice, poi si inchinano profondamente;
d) Per questo, Padre con le braccia distese in forma di croce e Tu che hai voluto accettare con le braccia allargate;
e) Ti supplichiamo, Dio onnipotente: stando inchinati e a mani giunte fino alle parole: perché su tutti noi che partecipiamo a questo altare; poi, eretti, i sacerdoti concelebranti fanno il segno di croce alle parole: scenda la pienezza di ogni grazia e di ogni benedizione.


222. Il ricordo dei defunti (Ricòrdati, o Signore) e l’Anche a noi, tuoi ministri, ultimi e peccatori, conviene siano affidati ad altri due sacerdoti concelebranti che, l’uno dopo l’altro, dicono queste preghiere con le braccia allargate e ad alta voce.
 

223. Alle parole Anche a noi, tuoi ministri, ultimi e peccatori, tutti i sacerdoti concelebranti si battono il petto. Solo il celebrante principale dice: Per Cristo, Signore nostro, tu, o Dio.


224. In questa preghiera eucaristica, i testi da Santifica, o Dio a Ti supplichiamo, Dio onnipotente compreso, come pure la dossologia finale, si possono eseguire in canto.


b) Preghiera eucaristica II

225. Nella preghiera eucaristica II solo il celebrante principale, con le braccia allargate, dice Veramente santo.


226. Tutti i sacerdoti concelebranti recitano insieme tutte le formule da Ti preghiamo: santifica fino a Ti preghiamo umilmente, in questo modo:
a) Ti preghiamo: santifica: con le mani stese verso le offerte;
b) Egli, consegnandosi volontariamente e Allo stesso modo: a mani giunte;
c) Le parole del Signore, con la mano destra stesa verso il pane e il calice, se ciò sembra opportuno; alla loro presentazione, i sacerdoti concelebranti sollevano lo sguardo verso l’ostia consacrata e il calice, poi si inchinano profondamente;
d) Celebrando il memoriale con le braccia distese in forma di croce e Ti preghiamo umilmente con le braccia allargate.


227. Le intercessioni per i vivi: Ricòrdati, Padre e per i defunti: Ricòrdati anche, conviene siano affidate a due diversi sacerdoti concelebranti che, l’uno dopo l’altro, dicono queste preghiere con le braccia allargate e ad alta voce.


228. In questa preghiera eucaristica, i testi da Veramente santo a Ti preghiamo umilmente compreso, come pure la dossologia finale, si possono eseguire in canto.


c) Preghiera eucaristica III

229. Nella preghiera eucaristica III solo il celebrante principale, con le braccia allargate, dice Veramente santo.


230. Tutti i sacerdoti concelebranti recitano insieme tutte le formule da Ti preghiamo umilmente fino a Guarda con amore, in questo modo:
a) Ti preghiamo umilmente: con le mani stese verso le offerte;
b) Nella notte in cui veniva tradito e Dopo la cena a mani giunte;
c) Le parole del Signore, con la mano destra stesa verso il pane e il calice, se ciò sembra opportuno; alla loro presentazione, i sacerdoti concelebranti sollevano lo sguardo verso l’ostia consacrata e il calice, poi si inchinano profondamente;
d) Celebrando il memoriale con le braccia distese in forma di croce e Guarda con amore con le braccia allargate.
 

231. Le intercessioni: Lo Spirito Santo faccia di noi, e Ti preghiamo, o Padre, conviene siano affidate a due diversi sacerdoti concelebranti che, l’uno dopo l’altro, dicono queste preghiere con le braccia allargate e ad alta voce.


232. In questa preghiera eucaristica, i testi da Ti preghiamo umilmente a Guarda con amore compreso, come pure la dossologia finale, si possono eseguire in canto.


d) Preghiera eucaristica IV

233. Nella preghiera eucaristica IV il celebrante principale, da solo, con le braccia allargate, dice Noi ti lodiamo, Padre santo, fino a compiere ogni santificazione.


234. Tutti i sacerdoti concelebranti dicono insieme tutte le formule da Ora ti preghiamo, o Padre, fino a Guarda con amore, in questo modo:
a) Ora ti preghiamo, o Padre: con le mani stese verso le offerte;
b) Egli, venuta l’ora e Allo stesso modo: a mani giunte;
c) Le parole del Signore, con la mano destra stesa verso il pane e il calice, se ciò sembra opportuno; alla loro presentazione, i sacerdoti concelebranti sollevano lo sguardo verso l’ostia consacrata e il calice, poi si inchinano profondamente;
d) In questo memoriale con le braccia distese in forma di croce e Guarda con amore con le braccia allargate.


235. Le intercessioni: Ora, Padre, ricòrdati e Ricòrdati anche di coloro conviene siano affidate a due sacerdoti concelebranti che, l’uno dopo l’altro, dicono queste preghiere con le braccia allargate e ad alta voce.


236. In questa preghiera eucaristica, i testi da Ora ti preghiamo a Guarda con amore compreso, come pure la dossologia finale, si possono eseguire in canto.


e) Preghiera eucaristica V

237. Nella preghiera eucaristica V il celebrante principale, da solo, con le braccia allargate, dice Veramente santo, veramente benedetto fino a tutto possiamo sperare dalla tua misericordia.


238. Tutti i sacerdoti concelebranti recitano insieme tutte le formule da Per la redenzione del mondo fino a per la redenzione degli uomini in questo modo:
a) Per la redenzione del mondo con le braccia allargate;
b) Alla vigilia e dopo la cena a mani giunte;
c) Le parole del Signore, con la mano destra stesa verso il pane e il calice, se ciò sembra opportuno; alla loro presentazione, i sacerdoti concelebranti sollevano lo sguardo verso l’ostia consacrata e il calice, poi si inchinano profondamente;
d) Obbedendo al divino comando con le braccia distese in forma di croce e Manda a noi con le braccia allargate.


239. L’intercessione Guarda propizio a questo popolo che è tuo possesso conviene sia affidata a uno dei sacerdoti concelebranti, che dice questa preghiera da solo, con le braccia allargate e ad alta voce.


240. In questa preghiera eucaristica, i testi da Alla vigilia di patire a Manda a noi compreso, come pure la dossologia finale, si possono eseguire in canto.


f) Preghiera eucaristica VI

241. Nella preghiera eucaristica VI il celebrante principale, da solo, con le braccia allargate, dice Veramente santo, veramente benedetto fino a Gesù Cristo Figlio tuo.


242. Tutti i sacerdoti concelebranti recitano insieme tutte le formule da Egli, che è Dio infinito ed eterno fino a del Corpo e del Sangue del Signore in questo modo:
a) Egli, che è Dio infinito ed eterno con le braccia allargate;
b) La vigilia e dopo la cena a mani giunte;
c) Le parole del Signore, con la mano destra stesa verso il pane e il calice, se ciò sembra opportuno; alla loro presentazione, i sacerdoti concelebranti sollevano lo sguardo verso l’ostia consacrata e il calice, poi si inchinano profondamente;
d) Il mistero che celebriamo con le braccia distese in forma di croce e Manda tra noi con le braccia allargate.


243. L’intercessione Dégnati, o Dio conviene sia affidata a uno dei sacerdoti concelebranti, che dice questa preghiera da solo, con le braccia allargate e ad alta voce.


244. In questa preghiera eucaristica, i testi da La vigilia della sua passione a Manda tra noi compreso, come pure la dossologia finale, si possono eseguire in canto.


Riti di comunione

245. Mentre si canta o si dice il canto allo spezzare del pane alcuni dei sacerdoti concelebranti possono aiutare il celebrante principale nello spezzare le ostie per la comunione dei sacerdoti concelebranti e del popolo.


246. Quindi il celebrante principale, compiuta la immixtio, a mani giunte, dice la monizione prima della preghiera del Signore; poi, con le braccia allargate, recita il Padre nostro insieme con gli altri sacerdoti concelebranti e con il popolo a braccia allargate.


247. Il solo celebrante principale, con le braccia allargate, prosegue: Liberaci, o Signore, da tutti i mali. Al termine, tutti i sacerdoti concelebranti, insieme con il popolo, acclamano: Tuo è il regno.


248. Dopo La pace e la comunione del Signore, soltanto il celebrante principale recita sottovoce, a mani giunte, la preghiera: Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, oppure La comunione con il tuo Corpo e il tuo Sangue.


249. Terminata la preghiera prima della comunione, il celebrante principale genuflette e si scosta un poco dall’altare. I sacerdoti concelebranti, uno dopo l’altro, si accostano al centro dell’altare, genuflettono, prendono con devozione il Corpo di Cristo e, tenendo la mano sinistra sotto la destra, ritornano al loro posto. I sacerdoti concelebranti possono anche rimanere al loro posto e prendere il Corpo di Cristo dalla patena presentata ai singoli dal celebrante principale o da uno o più sacerdoti concelebranti; possono anche passarsi l’un l’altro la patena.


250. Poi il celebrante principale prende l’ostia consacrata nella stessa Messa e, tenendola un po’ sollevata sopra la patena o sopra il calice, rivolto al popolo dice: Ecco l’Agnello di Dio, e prosegue insieme con i sacerdoti concelebranti e il popolo, dicendo: O Signore, non sono degno.


251. Quindi il celebrante principale, rivolto verso l’altare, dice sottovoce: Il Corpo di Cristo mi custodisca per la vita eterna, e devotamente si comunica al Corpo di Cristo. Allo stesso modo si comunicano i sacerdoti concelebranti. Dopo di loro il diacono riceve dal celebrante principale il Corpo e il Sangue del Signore.


252. La comunione al Sangue di Cristo si può fare bevendo direttamente dal calice, per intinzione, con la cannuccia o con il cucchiaino.


253. Se si fa la comunione direttamente al calice, si può fare in uno di questi modi:
a) il celebrante principale, stando in mezzo all’altare, prende il calice, dicendo sottovoce: Il Sangue di Cristo mi custodisca per la vita eterna e beve al calice, che consegna poi al diacono o a un sacerdote concelebrante; quindi distribuisce la comunione ai fedeli (cf. nn. 157-159). I sacerdoti concelebranti, uno dopo l’altro, oppure a due a due, se vi sono due calici, si accostano all’altare, genuflettono, assumono il Sangue, astergono il labbro del calice e ritornano al loro posto.
b) Il celebrante principale, stando in mezzo all’altare, fa la comunione al Sangue del Signore nel modo consueto. I sacerdoti concelebranti possono rimanere al loro posto e far la comunione al Sangue del Signore bevendo al calice che viene loro presentato dal diacono o da uno dei sacerdoti concelebranti; oppure anche passandosi il calice l’un l’altro. Il labbro del calice viene sempre asterso da colui che beve o da chi lo presenta ai singoli. Dopo essersi comunicato, ognuno ritorna al suo posto.


254. Il diacono devotamente consuma all’altare tutto il Sangue di Cristo che è rimasto, con l’aiuto, se è il caso, di alcuni sacerdoti concelebranti, quindi porta il calice alla credenza, dove lui stesso o l’accolito istituito compie la purificazione, asterge il calice e lo riordina come di consueto (cf. n. 182).


255. La comunione dei sacerdoti concelebranti può anche essere ordinata in modo che i singoli comunichino al Corpo e, subito dopo, al Sangue del Signore presso l’altare. In questo caso, il celebrante principale si comunica sotto le due specie, come di consueto (cf. n. 156), attenendosi tuttavia al rito scelto nei singoli casi per la comunione al calice: rito al quale devono conformarsi tutti gli altri concelebranti. Dopo che il celebrante principale si è comunicato, il calice viene deposto al lato dell’altare, sopra un altro corporale. I sacerdoti concelebranti, uno dopo l’altro, si portano al centro dell’altare, genuflettono e si comunicano al Corpo del Signore; successivamente, al lato dell’altare, si comunicano al Sangue del Signore, secondo il rito adottato per la comunione al calice, come è detto sopra. La comunione del diacono e la purificazione del calice si svolgono secondo le modalità sopra indicate.


256. Se la comunione dei sacerdoti concelebranti si fa per intinzione, il celebrante principale si comunica al Corpo e al Sangue del Signore nel modo consueto, facendo però attenzione a lasciarne nel calice una quantità sufficiente per la comunione dei sacerdoti concelebranti. Poi il diacono, oppure uno dei sacerdoti concelebranti, dispone opportunamente il calice insieme con la patena che contiene le ostie, in mezzo all’altare o a un suo lato, sopra un altro corporale. I sacerdoti concelebranti, uno dopo l’altro, si accostano all’altare, genuflettono, prendono l’ostia, l’intingono nel calice e, tenendo il purificatoio sotto il mento, si comunicano; ritornano poi al loro posto, come all’inizio della Messa. Anche il diacono riceve la comunione per intinzione e risponde Amen quando un sacerdote concelebrante dice: Il Corpo e il Sangue di Cristo. Quindi il diacono, se è il caso con l’aiuto di alcuni sacerdoti concelebranti, all’altare, beve quanto è rimasto nel calice, poi lo porta alla credenza, dove egli stesso o l’accolito istituito compie la purificazione, asterge il calice e lo riordina come di consueto.


Riti di conclusione

257. Il celebrante principale compie i riti di conclusione nel modo consueto (cf. nn. 164-168), mentre i sacerdoti concelebranti rimangono al loro posto. 


258. I sacerdoti concelebranti, prima di allontanarsi dall’altare, fanno un profondo inchino. Il celebrante principale, invece, con il diacono venera l’altare con il bacio.


III. MESSA A CUI PARTECIPA UN SOLO MINISTRO

259. Nella Messa celebrata dal sacerdote con la sola presenza di un ministro che gli risponde, si osserva il rito della Messa con il popolo (cf. nn. 118-168). Il ministro, secondo l’opportunità, pronuncia le parti che spettano al popolo e, lodevolmente, legge i canti all’ingresso, dopo il Vangelo, allo spezzare del pane e alla comunione.


260. Se tuttavia il ministro è un diacono, egli compie gli uffici che gli sono propri (cf. nn. 169-185) e svolge le altre parti del popolo. 
 

261. La celebrazione senza ministro o senza almeno qualche fedele non si faccia se non per un giusto e ragionevole motivo. In questo caso si tralasciano i saluti, le monizioni e la benedizione al termine della Messa,


262. Prima della Messa i vasi sacri necessari si preparano o alla credenza o sull’altare al lato destro.


Riti di introduzione

263. Il sacerdote si accosta all’altare e, fatto con il ministro un profondo inchino, venera l’altare con il bacio e si reca alla sede. Se lo preferisce, il sacerdote può rimanere all’altare: in questo caso lì si prepara anche il Messale. Allora il ministro o il sacerdote recita l’antifona all’ingresso.


264. Quindi il sacerdote con il ministro, stando in piedi, si segna con il segno della croce e dice: Nel nome del Padre; rivolto al ministro lo saluta, scegliendo una delle formule proposte.


265. Poi compie l’atto penitenziale e, secondo le rubriche, dice il Gloria.


266. Poi, a mani giunte, dice Preghiamo e, dopo una conveniente pausa, dice, con le braccia allargate, l’orazione all’inizio dell’assemblea liturgica, al termine della quale il ministro risponde: Amen.


Liturgia della parola

267. Le letture, per quanto è possibile, si fanno dall’ambone o da un leggio.


268. Dopo l’orazione, il ministro legge la lettura e il salmo e, quando è prevista, l’epistola (o altra lettura) e il versetto alleluiatico, o un altro canto.


269. Quindi, il sacerdote, profondamente inchinato, dice: Purifica il mio cuore, poi legge il Vangelo. Alla fine dice: Parola del Signore, a cui il ministro risponde: Lode a te, o Cristo. Poi il sacerdote venera il libro con il bacio.


270. Poi il sacerdote, o il ministro, recita l’antifona dopo il Vangelo.


271. Segue la preghiera universale, che si può dire anche in questa Messa. Il sacerdote introduce la preghiera, mentre il ministro formula le intenzioni. Al termine il sacerdote dice l’orazione a conclusione della liturgia della parola, che non va mai tralasciata.


Liturgia eucaristica

272. Nella liturgia eucaristica tutto si svolge come nella Messa con il popolo, tranne ciò che segue.


273. Dopo l’acclamazione al termine dell’embolismo che segue il Padre nostro, il sacerdote dice la preghiera: Signore Gesù Cristo, che hai detto; quindi soggiunge: La pace e la comunione del Signore, e il ministro risponde: E con il tuo spirito
 

274. Poi il sacerdote dice sottovoce la preghiera Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, oppure La comunione con il tuo Corpo e il tuo Sangue; quindi genuflette, prende l’ostia e, se il ministro fa la comunione, si volta verso di lui. Tenendo l’ostia un po’ sollevata sopra la patena o sopra il calice, dice: Ecco l’Agnello di Dio e continua con lui: O Signore non sono degno. Rivolto poi verso l’altare, si comunica al Corpo di Cristo. Se invece il ministro non riceve la comunione, fatta la genuflessione il sacerdote prende l’ostia e, stando rivolto all’altare, dice sottovoce: O Signore, non sono degno, e Il Corpo di Cristo mi custodisca e quindi assume il Corpo del Signore. Quindi prende il calice e dice sottovoce: Il Sangue di Cristo mi custodisca e assume il Sangue.


275. Prima di dare la comunione al ministro, il ministro o lo stesso sacerdote legge l’antifona alla comunione.


276. Il sacerdote purifica il calice alla credenza o all’altare. Se il calice viene purificato all’altare, può essere portato alla credenza dal ministro o essere riposto sopra l’altare a lato.


277. Dopo aver purificato il calice, conviene che il sacerdote osservi una pausa di silenzio; poi dice l’orazione dopo la comunione.


Riti di conclusione

278. I riti di conclusione si svolgono come nella Messa con il popolo, tralasciato il congedo Andiamo in pace. Il sacerdote nel modo solito venera l’altare con il bacio e, fatto un profondo inchino, insieme al ministro si allontana.


IV. ALCUNE NORME DI CARATTERE GENERALE PER TUTTE LE FORME DI MESSA

La venerazione dell’altare e dell’Evangeliario

279. Secondo l’uso tramandato, la venerazione dell’altare e dell’Evangeliario si esprime con il bacio.


La genuflessione e l’inchino

280. La genuflessione, che si fa piegando il ginocchio destro fino a terra, significa adorazione; perciò è riservata al santissimo Sacramento e alla santa croce, dalla solenne adorazione nell’azione liturgica del venerdì nella passione del Signore fino all’inizio della veglia pasquale. Nella Messa vengono fatte dal sacerdote celebrante tre genuflessioni: dopo l’ostensione
dell’ostia; dopo l’ostensione del calice; prima della comunione. Ci si inginocchia anche quando si professa il mistero dell’incarnazione durante il Credo nella VI domenica di avvento, nella solennità del Natale e nella solennità dell’Annunciazione del Signore. Le particolarità da osservarsi nella Messa concelebrata sono indicate a suo luogo (cf. nn. 198-258). Se nel presbiterio ci fosse il tabernacolo con il santissimo Sacramento, il sacerdote, il diacono e gli altri ministri genuflettono quando giungono all’altare o quando si allontanano, non invece durante la stessa celebrazione della Messa. Inoltre genuflettono tutti coloro che passano davanti al santissimo Sacramento se non procedono in processione. I ministri che portano la croce processionale o i ceri, al posto della genuflessione fanno un inchino con il capo.


281. Con l’inchino si indicano la riverenza e l’onore che si danno alle persone o ai loro segni. Vi sono due specie di inchino: del capo e del corpo:
a) L’inchino del capo si fa quando vengono nominate insieme le tre divine Persone; al nome di Gesù, della beata Vergine Maria e del santo in onore del quale si celebra la Messa.
b) L’inchino di tutto il corpo, o inchino profondo, si fa: all’altare; mentre si dicono le preghiere Purifica il mio cuore e Umili e pentiti; nel simbolo (Credo) alle parole: E per opera dello Spirito Santo; nella preghiera eucaristica I alle parole: Ti supplichiamo, Dio onnipotente. Il lettore e il diacono compiono lo stesso inchino mentre chiedono la benedizione prima di proclamare le letture e il Vangelo. Inoltre il sacerdote, alla consacrazione, si inchina leggermente mentre proferisce le parole del Signore.


L’incensazione

282. L’incensazione esprime riverenza e preghiera, come è indicato nella Sacra Scrittura (cf. Sal 140, 2; Ap 8, 3).
L’uso dell’incenso in qualsiasi forma di Messa è facoltativo:
a) durante la processione d’ingresso;
b) all’inizio della Messa, per incensare la croce e l’altare;
c) alla processione e alla proclamazione del Vangelo;
d) quando sono stati posti sull’altare il pane e il calice, per incensare le offerte, la croce e l’altare, il sacerdote e il popolo;
e) alla presentazione dell’ostia e del calice dopo la consacrazione.


283. Il sacerdote, quando mette l’incenso nel turibolo, lo benedice tracciando un segno di croce, senza nulla dire. Con tre giri del turibolo si incensano: il santissimo Sacramento, la reliquia della santa croce e le immagini del Signore esposte alla pubblica venerazione, le offerte per il sacrificio della Messa, la croce dell’altare, l’Evangeliario, il cero pasquale, il sacerdote e il popolo. Con due giri si incensano le reliquie e le immagini della Vergine Maria e dei santi esposte alla pubblica venerazione, unicamente all’inizio della celebrazione, quando si incensa l’altare. L’incensazione dell’altare si svolge in questo modo:
a) Se l’altare è separato dalla parete, il sacerdote lo incensa sulla mensa, il diacono prosegue l’incensazione, girando intorno all’altare stesso.
b) Se l’altare è addossato alla parete, il sacerdote muovendosi incensa prima la parte destra poi quella sinistra. La croce, se è sopra l’altare o accanto ad esso, viene incensata prima dell’altare; se invece si trova dietro l’altare, viene incensata quando il sacerdote o il diacono le passa davanti.
Il sacerdote incensa le offerte prima dell’incensazione della croce e dell’altare con tre giri di turibolo, oppure facendo con il turibolo il segno di croce sopra le offerte.


La purificazione

284. Ogni volta che qualche frammento di ostia rimane attaccato alle dita, soprattutto dopo la frazione o dopo la comunione dei fedeli, il sacerdote asterga le dita sulla patena, oppure, se necessario, lavi le dita stesse. Così pure raccolga eventuali frammenti fuori della patena.


285. I vasi sacri vengano purificati dal sacerdote, dal diacono, o dall’accolito istituito, dopo la comunione, oppure dopo la Messa, possibilmente alla credenza. La purificazione del calice si fa con acqua o con acqua e vino, che poi chi purifica beve. La patena si asterga normalmente con il purificatoio. Si presti attenzione a che si consumi subito e totalmente all’altare quanto rimane del Sangue di Cristo dopo la distribuzione della comunione.


286. Se un’ostia o una particola scivolasse via, si raccolga con rispetto; se poi si versasse qualche goccia del Sangue del Signore, si lavi il luogo con acqua, e l’acqua si versi nel sacrario che si trova in sacrestia.


La comunione sotto le due specie

287. La santa comunione esprime con maggior pienezza la sua forma di segno, se viene fatta sotto le due specie. Risulta infatti più evidente il segno del banchetto eucaristico, e si esprime più chiaramente la volontà divina di ratificare la nuova ed eterna alleanza nel Sangue del Signore, ed è più intuitivo il rapporto tra il banchetto eucaristico e il convito escatologico nel regno del Padre107.


107 Cf. Sacra Congregazione dei Riti, Istruzione Eucharisticum Mysterium, 25 maggio 1967, n. 32: A.A.S. 59 (1967) p. 558.


 

288. I pastori d’anime si facciano un dovere di ricordare, nel modo più adatto, ai fedeli che partecipano al rito e ai presenti, la dottrina cattolica riguardo alla forma della comunione, secondo il concilio ecumenico di Trento. In particolare ricordino ai fedeli quanto insegna la fede cattolica: che, cioè, anche sotto una sola specie si riceve il Cristo tutto intero e il Sacramento in tutta la sua verità; di conseguenza, per quanto riguarda i frutti della comunione, coloro che ricevono una sola specie non rimangono privi di nessuna grazia necessaria alla salvezza108. Inoltre insegnino che nell’amministrazione dei sacramenti, salva la loro sostanza, la Chiesa ha il potere di determinare o cambiare ciò che essa ritiene più conveniente per la venerazione dovuta ai sacramenti stessi e per l’utilità di coloro che li ricevono, secondo la diversità delle circostanze, dei tempi e dei luoghi109. Nello stesso tempo però esortino i fedeli perché partecipino più intensamente al sacro rito, nella forma in cui è posto in maggior evidenza il segno del banchetto.


108 Cf. Conc. Ecum. Tridentino, Sessione XXI, 16 luglio 1562, Dottrina e canoni sulla comunione eucaristica, c. 1-3: Denz.-Schönm., nn. 1725-1729.
109 Cf. ibidem, c. 2: Denz.-Schönm., nn. 1728.


 

289. La comunione sotto le due specie non solo è permessa, ma è altresì raccomandata, oltre ai casi descritti nei libri rituali:
a) ai sacerdoti che non possono celebrare o concelebrare;
b) al diacono e agli altri che compiono qualche ufficio nella Messa;
c) ai membri delle comunità nella Messa conventuale o in quella che si dice «della comunità», agli alunni dei seminari, a tutti coloro che attendono agli esercizi spirituali o partecipano a un convegno spirituale o pastorale.
Il vescovo diocesano può stabilire per la sua diocesi norme riguardo alla comunione sotto le due specie, da osservarsi anche nelle chiese dei religiosi e nei piccoli gruppi. Allo stesso vescovo è data facoltà di acconsentire alla comunione sotto le due specie ogni volta che sembri opportuno al sacerdote al quale, come pastore proprio, è affidata la comunità, purché i fedeli siano ben preparati e non ci sia pericolo di profanazione del Sacramento o la celebrazione non risulti troppo difficoltosa per il gran numero di partecipanti o per altra causa. Circa il modo di distribuire ai fedeli la sacra comunione sotto le due specie e circa l’estensione delle facoltà, le conferenze episcopali possono stabilire norme, approvate dalla Sede Apostolica.


290. Quando si distribuisce la comunione sotto le due specie:
a) per il calice solitamente compie il servizio il diacono, o, in sua assenza, il sacerdote; o anche l’accolito istituito o un altro ministro straordinario della sacra comunione; o un fedele a cui, in caso di necessità, viene affidato questo compito per l’occasione;
b) ciò che rimane del Sangue viene consumato all’altare dal sacerdote, dal diacono o dall’accolito istituito che ha prestato servizio per il calice e che poi, nel modo solito, purifica, asterge e ordina i vasi sacri.
Ai fedeli che vogliono comunicarsi solo sotto la specie del pane, la sacra comunione si dia in questa forma. 


291. Per distribuire la comunione sotto le due specie, si devono preparare:
a) se la comunione si fa bevendo direttamente dal calice, o un calice di sufficiente grandezza o più calici, con attenzione tuttavia nel prevedere che la quantità del Sangue di Cristo da consumare alla fine della celebrazione non rimanga in misura sovrabbondante;

 

 

PAGINA IN ALLESTIMENTO