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OGNI PAROLA È A SERVIZIO DELLA CELEBRAZIONE

Pubblicato il 01/01/2025

Se il silenzio è importante, lo è altrettanto la parola, in ogni sua forma. Perciò richiede la giusta attenzione

Se il silenzio è così importante nella Celebrazione eucaristica, è facile attendersi che lo sia anche la parola in ogni sua forma. Parola e gesto sono i principali mezzi di comunicazione nella pratica liturgica. Nella Presentazione della Cei alla terza edizione del Messale Romano si parla ampiamente della parola e del gesto liturgici a proposito dell'arte di celebrare e si cita un passaggio della Esortazione apostolica postsinodale sull'Eucaristia fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa, Sacramentum caritatis di Benedetto XVI (2007, n. 40). Testo che si avvantaggiava degli studi recenti in materia, nei quali si riporta la giusta «attenzione verso tutte le forme di linguaggio previste dalla liturgia: parola e canto, gesti e silenzi, movimento del corpo, colori delle vesti liturgiche. La liturgia, in effetti, possiede per sua natura una varietà di registri di comunicazione che le consentono di mirare al coinvolgimento di tutto l'essere umano». È il trionfo della comunicazione umana toccata creativamente dal genio divino.

A colui che utilizza la parola nella Liturgia, non si chiede di essere un abile attore, ma di mettere la sua arte di parlare a servizio dell'assemblea celebrante: non è inutile ricordare che egli deve sempre favorire il dialogo tra Dio e il suo popolo, dialogo che passa attraverso la sua bocca e la sua persona. Ricorda papa Francesco: «La fede ha bisogno di un ambito in cui si possa testimoniare e comunicare, e che questo sia corrispondente e proporzionato a ciò che si comunica. Per trasmettere un contenuto meramente dottrinale, un'idea, forse basterebbe un libro, o la ripetizione di un messaggio orale. Ma ciò che si comunica nella Chiesa, ciò che si trasmette nella sua tradizione vivente, è la luce nuova che nasce dall'incontro con il Dio vivo, una luce che tocca la persona nel suo centro, nel cuore, coinvolgendo la sua mente, il suo volere e la sua affettività, aprendola a relazioni vive nella comunione con Dio e con gli altri. Per trasmettere tale pienezza esiste un mezzo speciale, che mette in gioco tutta la persona, corpo e spirito, interiorità e relazioni. Questo mezzo sono i sacramenti, celebrati nella liturgia della Chiesa» (Lettera enciclica Lumen fidei, 2013, n. 40).

Ora, questa realtà va articolata in base alle diversità dei contesti della celebrazione liturgica, come descritto nell'Ordinamento generale del Messale romano (n. 38): «Nei testi che devono essere pronunciati a voce alta e chiara dal sacerdote, dal diacono, dal lettore o da tutti, la voce deve corrispondere al genere del testo, secondo che si tratti di una lettura, di un'orazione, di una monizione, di un'acclamazione, di un canto; deve anche corrispondere alla forma di celebrazione e alla solennità della riunione liturgica. Inoltre si tenga conto delle caratteristiche delle diverse lingue e della cultura specifica di ogni popolo...». Se si possono perdonare lievi tracce di cadenze regionali, sono inammissibili le dizioni scorrette.


di: don Carlo Cibien
da: Credere 5/2024


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