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IL SOGNO DI NON MORIRE MAI E LA SPERANZA CRISTIANA

Pubblicato il 16/01/2025

L'imprenditore americano Bryan Johnson "promette" di sconfiggere la morte. Ma la vita eterna è un dono divino. 

Non morire. Siamo in guerra con la morte e le sue cause» è il claim del sito di Bryan Johnson (www.dontdie.bryanjohnson.com), che della sua iniziativa dice: «Siamo una comunità decentralizzata, unita nello sconfiggere la morte e nel costruire prosperità». Pochi giorni fa è uscito il documentario su Netflix, in inglese, su questo 47enne imprenditore statunitense che vuole "sconfiggere" la morte: il titolo è Don't Die, "Non morire". Su un altro sito collegato, Blueprint.bryanjohnson.com, l'imprenditore vende una serie di prodotti per la longevità che promettono di rallentare l'invecchiamento. Il trailer del documentario sintetizza il sogno di Bryan Johnson e le pratiche cui si sottomette per mantenere la giovinezza: segue una rigida routine quotidiana, fa uso di strumentazioni mediche sofisticatissime, si sottopone a periodiche trasfusioni (col plasma del figlio ventenne), ecc. La cosa non è priva di conseguenze economiche: spende 2 milioni di dollari per questo suo "sogno". Ma, a suo dire, invecchia solo 7 mesi ogni anno, guadagnando così "margini" di longevità. Insomma, si ritiene sulla buona strada verso l'immortalità. E nel frattempo ha fatto di questo suo progetto un po' distopico un marchio commerciale.

Vedere questo suo corpo presuntamente "perfetto" fa impressione. Ma davvero siamo vicini all'immortalità? E sarebbe così invidiabile una tale condizione? Di certo c'è che, specie all'inizio di un anno nuovo, il tempo che passa inesorabilmente ci affolla la testa di pensieri, talvolta un po' foschi. Come ci scrive un lettore, l'avanzare degli anni ci segna tutti e, piano piano, prende corpo un "fantasma" - l'ombra della morte - che non è piacevole affrontare. Ma la realtà ci impone di fare i conti con il limite: del fisico, ma anche della mente e del cuore. E in tempi dove in ogni campo si richiedono prestanza, forza e bellezza, si fa più fatica a mantenere una certa serenità di spirito di fronte allo spettro dell'invecchiamento.

Il fatto è che viviamo in un eterno "giovanilismo". Per carità, prenderci cura di noi stessi - del fisico, del benessere e, perché no, anche della bellezza - è positivo: sono doni di Dio vanno curati. Ma questa dimensione sta diventando un assoluto, a cui si sacrificano altri aspetti che non sono meno importanti: la cura dell'interiorità e delle relazioni, il saper imparare dalla vita e dai suoi smacchi, l'accettazione serena del cambiamento.

Un'ultima considerazione riguarda il nostro rapporto con la morte. Realtà quotidiana che era "palpabile" nelle generazioni passate, oggi abbiamo un po' perso questo "contatto" con la morte. E abbiamo smarrito la speranza cristiana che la rischiarava: la fede nella vita eterna, che è il frutto della risurrezione di Cristo. Ma la vita eterna cristiana è ben diversa da una immortalità da superuomo: non è una conquista umana, ma un dono divino. Che va molto oltre la nostra povera immaginazione. E speranza vuoi dire proprio questo: non siamo limitati solo all'orizzonte terreno. «Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore», ci rassicura il Signore. «Se no, vi avrei mai detto: "Vado a prepararvi un posto?"» (Giovanni 14, 4).


di: don Vincenzo Vitale
da: Credere 3/2025


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